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Inserito il - 03 novembre 2013 : 23:15:04
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Jiamu a la funtàna
Dedicato ai figli di Limpidi sparsi per il mondo che, in memoria delle dolorose esperienze passate dagli avi, lontani dal clamore e dalla facile notorietà, affrontano e svolgono quotidianamente il loro lavoro con intelligenza e rettitudine. Dedicato agli amanti della libertà.
(Ubaldo Doré)
 Foto della fontana prima del restauro da facebook Limpidi...paese da scoprire
"Jiamu a la funtàna?" ("Andiamo alla fontana?") Era questa la domanda che le donne di Limpidi si ponevano tra di loro la sera dopo che, sfinite, si erano ritirate dai campi, dove avevano coadiuvato per tutta la giornata gli uomini nella diuturna fatica contadina, o avevano faticato nelle numerose altre incombenze domestiche. Com'era loro consuetudine, il rifornimento dell'acqua potabile lo facevano nella serata, non prima però di aver cucinato quella manciata di erbe selvatiche che, mescolate a un pugno di fagioli, costituiva il consueto alimento del nucleo familiare. Non ritenevano consigliabile andare l'indomani mattina. Infatti, nelle prime ore della giornata era usuale che si trovasse un considerevole numero di persone: se non si era tra i primi ad arrivare, per potere riempire tutti i recipienti rispettando la regola del turno, "la vicènda", occorreva fare una sosta alquanto prolungata con perdita di tempo molto prezioso. Questo compito, d'altra parte, era in pratica impossibile svolgerlo poiché c'era tanto altro da fare. Se quel giorno non c'era la necessità di seguire gli uomini nei campi ... (continua)
Andiamo alla fontana saggio completo
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michelenat
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Inserito il - 04 novembre 2013 : 18:11:32
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Ciao Ubaldo, Soltanto tu, con la tua incredibile memoria, potevi portare alla luce un amaro spaccato di vita che ha visto protagonisti i nostri sfortunati antenati. "Jamu a la funtana?" Quante volte sarà stata ripetuta questa frase tra le donne limpidesi e chissà quanto sofferenza si celava in quella fragile "gozza" la cui acqua a mala pena era sufficiente per cuocere quella manciata di erbe selvatiche che mescolate ad un pugno di fagioli costituiva il consueto alimento del nucleo familiare". Io quel periodo non l'ho vissuto, ai miei tempi c'erano già le tre fontane ben distribuite nell'abitato con un flusso d'acqua costante che soddisfacevano pienamente non solo le esigenze di Limpidi ma anche quelle dei paesi viciniori. Tu parli della fonte di "fimmaneja" con tanta naturalezza come se per andarci ci volessero cinque minuti: ma così non era. Se non ricordo male si trovava quasi a metà strada tra Limpidi e Melicuccà e gli assetati acquaioli impiegavano più di un'ora per effettuare il loro modesto rifornimento. A casa non portavano di certo acqua fresca!... Hai resuscitato un compendio storico della nostra terra: la sete, i raccolti risicati, i soprusi, la sofferenza umana, l'alluvione del 1959 che spazzò via tutte le "Angre" nella valle di "Cavurà". Quest'ultimo avvenimento è stato devastante per tante famiglie che nel corso di una notte si videro privati delle loro uniche proprietà. Una tragedia!... La parte che mi ha maggiormente colpito è quella dove tu rievochi gli stenti e i sacrifici di quei "poveracci che per recuperare ore di lavoro a fine giornata non rientravano in famiglia ma pernottavano in aperta campagna dormendo su giacigli di paglia o su guaine di granturco "fuschi", in capanne "pagghjiara" erette per l’occorrenza". Questo sì!... Me lo ricordo!... In merito rammento un episodio: frequentavo la quinta elementare ed il Direttore Giuseppe De Lorenzo una mattina si è presentò in classe per effettuare la sua ispezione periodica. Ci fece tante domande e una me la ricordo ancora: <<ditemi quali sofferenze affrontano i nostri contadini per garantire un pezzo di pane alla propria famiglia>>. Ovviamente le risposte che abbiamo date si somigliavano tutte, si basavano sullo sforzo fisico, sul sudore della fronte, sui raccolti risicati e così via. Il Direttore ci esortava : <<e poi?... e poi?...>> Tutti ci trovavamo impacciati ma non sapevamo dire altro. Quando si rese conto che avevamo esaurite le risposte a voce bassa, come se non volesse farsi sentire, ci disse: <<ma come, non sapete che i nostri contadini spesso sono costretti a dormire all'aperto, sotto un albero, esposti al freddo e alle intemperie? Nessuno vi ha mai detto che quando la "fiumara" all'improvviso si ingrossa e diventa impossibile guadarla questi nostri sfortunati fratelli rimangono bloccati in aperta campagna senza cibo, senza nulla e per lenire i morsi della fame devono andare alla ricerca di qualche bacca selvatica o di qualche granchio nei terreni paludosi?... Non sapete che nel passato qualche giovane ci ha lasciato la vita?..>> Poi di colpo alzò il tono della voce e con uno sguardo di fuoco ci inchiodò ai banchi: <<quando vedete per le vie del paese qualche anziano contadino, malaticcio, lacero, con la barba lunga che si trascina a stento, fermatevi... aiutatatelo... e... serbategli tutto il rispetto che merita, ricordatevi che è uno sventurato contadino limpedese!...>>. Smise di parlare che quasi piangeva!... Il tuo scritto dovrebbe essere oggetto di lezione scolastica ed è un vero peccato che a Limpidi non ci sono più le scuole. Mi auguro che lo legga qualche maestro e ne faccia l'uso che giustamente merita.
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