
Giobbe e gli altri (Argomento della conferenza del 26 marzo al Centro Gandhi di Ivrea)
Nel suo ultimo lavoro Elena Loewenthal (Contro il Giorno della Memoria, 2014) sostiene che, a fronte della fibrillazione inflativa che ogni anno, dal 2000, si genera per celebrare il Giorno della Memoria, prima di quella data e a decorrere dagli anni Cinquanta in poi, quasi mai la scuola affrontava la tragedia della Shoah. Ed è vero. Io infatti apprendo di questa vergognosa catastrofe solo da insegnante. Leggo Primo Levi in seguito a una lezione su Schelling, perché entrambi, per motivi differenti, riportano il celebre verso dell’Inferno di Dante: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate!". Fra le opere dello scrittore torinese trovo anche La ricerca delle radici, del 1981, nel quale l'autore apre con Giobbe una serie di figure per lui molto significative. Questo dunque, in breve, il percorso che mi ha condotto a una delle più controverse e dibattute figure bibliche. "Giobbe - scrive infatti Levi - è il giusto oppresso dall'ingiustizia". Dopo la lettura appassionata e una attenta analisi del testo, svolta naturalmente sulla scorta di altri esegeti, mi accorgo che il profilo di questo personaggio non ne esce così netto come mi sarei dovuto aspettare. Infatti, l’ingiustizia non sembra essere solo quella che egli, secondo Girard, subisce in quanto capro espiatorio di un sistema culturale fondato sul meccanismo vittimario e che più avanti stritolerà lo stesso Gesù, ma è anche quella che Giobbe medesimo genera, ancorché in modo inconsapevole e quindi irresponsabile. Con la sua condotta moralmente ma anche e proprio per ciò apparentemente ineccepibile (occorre guardare infatti anche al modo in cui Giobbe trascorre la sua intera vita fino a settant’anni prima di venire 'satanicamente' toccato dalla shekiyn ra, dalla piaga maligna), egli aderisce in toto a quel sistema, che è radicato sulla legge divina, ossia sulla logica retributiva presente nel Deuteronomio (7). Continuando, nel solito cerimoniale mattutino, a elargire le sue elemosine agli immancabili indigenti, ma non facendo al tempo stesso nulla per eliminare questa vergognosa piaga sociale, più che essere quell'aish tam veiashàr, quell’uomo integro e retto, quel giusto che subisce l'ingiustizia, questo facoltoso emiro arabo assimilato in terra di Uz appare piuttosto (è di questo che lo rimprovera l’amico Elifaz), come una di quelle tante figure gattopardesche a noi così tanto care e note, come uno che, proprio per il suo essere troppo ligio al sistema e con la sua azione apparentemente e socialmente irreprensibile, tende in definitiva a non modificare proprio nulla di quel sistema e quindi di fatto a conservare lo status quo. Cosa c’entra Giobbe con la Shoah? C'entra. Perché dopo Auschwitz, ci ha ammoniti Adorno, più che il diritto si ha il dovere di dubitare anche delle figure più insospettabili.
Franco Di Giorgi
Giobbe e gli altri in versione pdf
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