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Storia  di  Dasà - Altre Notizie

Mike Arruzza

Mike Arruzza, pittore dasaese: Questa è la mia vita

Associazione Culturale Dasaese: Programma Manifestazioni "AGOSTO INSIEME 2008"

Articolo 13/05/2008 di Valerio Colaci (calabria Ora) sulla Festa per la Promozione della Squadra di Calcio del Dasà (341kb)

Articolo 09/02/2008 di Giuseppe Parrucci (Quotidiano della Calabria)  su  D. Michel Cordiano contro la legge 194

Articolo 07/02/2008 di Valerio Colaci (calabria Ora) sul Carnevale 2008 a Dasà

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Convegno Pittori e Scultori di Calabria

Il giorno 20 agosto 2007 si è svolto a Dasà in Piazza dei Caduti la presentazione del libretto di Antonio Tripodi "Pittori e Scultori di Calabria. Le famiglie Corrado e Valentino di Dasà e Arena".
Il convegno è stato patrocinato dall'amministrazione comunale di Dasà e dall'amministrazione provinciale di Vibo Valentia.



Moderato dal dott. Pietro Corrado l'evento ha visto gli interventi dell'assessore alla cultura e vicesindaco Audenzia Maggio, del sindaco Gabriele Corrado, del presidente della Provincia di Vibo Valentia Gaetano Ottavio Bruni, dell'assessore provinciale alla cultura Gregorio Ciccone, dell'arch. M. Panarello e dello stesso autore.
Vi sono stati anche tre interventi di personaggi presenti nel pubblico: arch. Corradino Corrado, dr Vincenzo Farina e dott. Francesco Romanò.
La scenografia è stata molto suggestiva con presentazione di 19 opere dei pittori in questione.
Al seguente link si possono vedere alcuni momenti del convegno.

Video You-tube convegno

Donwload Video-Foto-Convegno pittori e scultori di Calabria alta qualità visualizzabile sul pc con windows media player (27,6 MB)

Video-Foto Dasà

 

 CANALE:  http://it.youtube.com/altomesima

Donwload video-foto-Dasà alta qualità visualizzabile sul pc con windows media player (17,4 MB)

Dasà: Mostra pittorica di Raffaele Ierardo

Raffaele Ierardo,  nato nel 1951 a Dasà (VV) e residente a Francica (VV), ritorna nel suo paese natio con una mostra pittorica che sta tenendo in questi giorni pasquali presso la sede dell'Associazione culturale dasaese in Largo S. Giovanni.

Per indole persona esteriormente allegra e forse intimamente triste ma sicuramente buona, riflessiva ed al contempo con un forte bagaglio di conoscenze acquisite nei lunghi anni di emigrazione trascorsi all'estero durante la sua gioventù.

Disponibile al massimo verso il prossimo e poco fortunato in alcuni momenti della sua vita ma reattivo come lo sono solo le persone di gran cuore e nel caso del Ierardo anche di talento artistico.

Il suo ritorno a Dasà è nelle sue opere il suo esservi sempre stato. Ora come allora, da piccoli. Nei suoi quadri traspare il mondo contadino con la sua suggestiva ruralità mediterranea che si tinge di colori fantastici, personali ed allegri che emanano poesia quasi a mostrare soltanto il bello di quel mondo che è il suo mondo.

Bellezza nella semplicità dei luoghi ritratti che nasconde la fatica e la sofferenza ma non i valori scomparsi della civiltà contadina. Mondo antico reso attuale, vivo e bello in tante sue opere attraverso colori che incantano.

Autodidatta in quanto a formazione artistica ma formatosi sulla scia del suo maestro d'arte Francesco Mangialardi. In poche opere l'imitazione del Mangialardi è volutamente palese in altre il tratto personale del Ierardo emerge prepotentemente allegro e scivolante da un mondo moderno quasi assente nei suoi quadri.

Nel Ierardo artista maturo la modernità non appare quasi mai nelle sue opere; è emigrazione, distacco dai luoghi natii ed emarginazione forse e non merita l'esser presente. Ierardo preferisce ritrarre il periodo pre-emigrazione in quanto si confonde con la sua infanzia e con l'innocenza di tale età.

Ha finora esposto in numerose città partecipando a mostre e rassegne, ottenendo premi e riconoscimenti. I critici dicono di Lele Ierardo «Nella sua pittura dona freschezza e lirici slanci al linguaggio espressivo, con cui reinterpreta la realtà e gli elementi della vita quotidiana, collegandovi qua e là significati simbolici. Spesso la sua figurazione si riveste di impressionistiche vibrazioni, specialmente quando ripropone immagini colte "en plein air" traendole dall'amorosa osservazione della sua terra, delle sue bellezze e delle atmosfere mediterranee da cui è suggestivamente avvolta».

Indirizzo: via Fratelli Colloca 10 89851 Francica (Vibo Valentia) tel. 0963/502404

15 aprile 2006
Domenico Capano

Fonte: Gazzetta Altomesima Online

 

Piccola storia intorno al macinino da caffè di zia Rosa

Il macinino da caffè di zia Rosa è sempre posizionato in posti ben visibili nella casa di mia madre.
Ogni oggetto datato o che custodiamo con cura, a prescindere dal suo valore, è spesso simbolo o testimone di eventi e ricordi tristi o felici che siano e, forse anche il macinino di zia Rosa lo è.

....

mimc
11 settembre 2005

Documento completo: "Piccola storia intorno al macinino da caffè di zia Rosa*.pdf 168 KB

Fonte: Gazzetta Altomesima Online

 

 

Uno Scherzo Curioso - giovedì 18 agosto 2005 at 13.02

Dasà VV. Grande successo di pubblico ha riscosso la commedia “Uno scherzo curioso” di Antonio Sette e Bruno Stramandinoli, tenutasi ieri sera a Dasà.
Il luogo, in cui si è svolta la commedia, è stato sapientemente organizzato in simil modo ad un teatro all’aperto con miglioramento dell’ascolto e della vista rispetto agli anni precedenti; la commedia ha registrato la presenza di oltre 600 spettatori, collocatisi sulle scalinate della chiesa matrice e sulla platea artificiale organizzata lungo Corso Umberto I.
Il gran pubblico ha seguito con attenzione e divertimento gli artisti del luogo nella loro performance teatrale, frutto di oltre un mese di prove serali.
Tutti gli attori hanno dato il massimo di impegno ed il pubblico non ha lesinato loro applausi; fra gli attori emerge Nicola Covalea un giovane dasaese con la recitazione nel sangue e meritevole da tempo di piazze e teatri ben più importanti.
Ad aiutare la serata vi è stata una riscoperta dello stare insieme del pubblico residente ed emigrati-turisti che numerosi quest’anno sono ritornati al paese natio.
Questo dato sulle presenze turistiche è in contraddizione col dato nazionale e probabilmente spiegabile in parte con la ridotta disponibilità economica impedente vacanze più costose.
Per parte nostra sicuramente dobbiamo migliorare nel modo di rapportarci con gli emigrati-turisti, fuggendo da stupidi luoghi comuni, non dimenticandoci mai del contributo economico e culturale che sanno apportare a questa nostra piccola comunità, che appartiene anche loro.

mimc
18 agosto 2005

Fonte: Gazzetta Altomesima Online

 

Dasà. Dopo i lavori di ristrutturazione dell'antica struttura di San Lorenzo
Aperto il centro polifunzionale
In chiesa il quadro dedicato alla Madonna del Rosario
*

DASA'. L'antica località di San Lorenzo, nel territorio di Arena ma da sempre di proprietà della Confraternita del Ss. Rosario, ha ripreso a vivere, divenendo nuovamente luogo pulsante di spiritualità e di preghiera per il quale molti secoli fa era nato. Nei giorni scorsi, infatti, è stata inaugurata la nuova struttura polifunzionale, un'opera voluta intensamente dal parroco don Pietro Cutuli, che è anche commissario della Confraternita. Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti, oltre ai tanti fedeli e confratelli, il vescovo della diocesi Domenico Tarcisio Cortese, i parroci di Arena e Dasà, autorità civili e militari.
«Sono veramente felice ­ ha detto il vescovo ­ che sia stato recuperato questo luogo che testimonia le nostre origini, le nostre profonde radici culturali e spirituali. Assieme a Soreto di Dinami, San Pietro Spina, al convento dei Domenicani di Soriano e alla Certosa di Serra, la località di San Lorenzo è destinata a diventare terra di incontro con Dio, nel segno della preghiera e della spiritualità».
Un ruolo che questo posto incantevole aveva dai tempi antichi, quando, nel 1200, vi sorgeva un convento di monaci basiliani da cui dipendevano Santa Chiarella di Monteleone, Santa Maria della Natività di Moladi e Santa Maria dell'Itria di Serrata. Il monastero, a cui era annessa una chiesetta, venne distrutto dal terribile terremoto del 1783. Ripristinata sommariamente negli anni '50 del secolo scorso, la struttura venne in seguito abbandonata.
I lavori di ristrutturazione a cui la località San Lorenzo è stata sottoposta di recente, progettati dall'architetto Corradino Corrado, sono stati resi possibili grazie al contributo della diocesi e ai tanti volontari che hanno lavorato per mesi. Sull'altare della chiesetta campeggia un bellissimo quadro della Madonna del Rosario di Pompei, realizzato dal noto artista locale Mike Arruzza. Un'opera che nella sua dolcezza invita a guardare verso l'alto, verso il cielo, a sublimare le nostre azioni quotidiane. Ai due lati della Vergine, due "finestre": da una parte una veduta di Dasà e dall'altra San Lorenzo. Artistici, poi, l'ambone e il Crocefisso, entrambi scolpiti in legno. I banchi e altre suppellettili sono stati offerti dalla comunità.
Il centro polifunzionale, oltre a costituire un richiamo di spiritualità, sarà anche un centro dall'alta valenza sociale, punto di aggregazione e di confronto, di condivisione di comuni ideali, quelli che le nostre generazioni hanno ereditato da antichi modi di intendere la vita e l'esistenza.
La realizzazione della struttura, inoltre, assume un altro bel significato, assurgendo a simbolo dell'operosità di questa gente, che davanti alle occasioni di riappropriazione della propria storia si unisce, diventa compatta e solidale. Un esempio di dignità e di coerenza nei confronti dei principi che sottendono alla religione in generale e alle Confraternite nello specifico. Da queste parti l'attaccamento alle radici religiose è davvero encomiabile. I confratelli della Congrega del Rosario, ma anche tutti gli altri cittadini, da oggi avranno, dunque, un nuovo punto di riferimento, quel San Lorenzo che da molti anni era stato abbandonato e che adesso riacquista vitalità, riproponendosi come faro di religiosità e di socialità per i giovani e per tutti coloro che sanno ancora recuperare piccoli spazi di preghiera e di colloquio con Colui che tra qualche giorno tornerà a nascere, a farsi uomo per salvare l'uomo.


* Articolo di Franco Pagnotta  "Il Quotidiano della Calabria" online del 17 Dicembre 2004

 

Intitolazione Biblioteca a Pier Giovanni Salimbeni *

Il 29 dicembre 2003, si è svolta in Dasà una cerimonia-convegno d’intitolazione della struttura biblioteca, sita in viale Aldo Moro, al poeta Pier Giovanni Salimbeni; struttura che dovrebbe essere adibita in un prossimo futuro a biblioteca polifunzionale.
Al convegno organizzato dall’amministrazione comunale di Dasà e dall’associazione culturale dasaese erano presenti, in veste di relatori: il sindaco prof. Francesco Antonio Romanò, l’assessore alla cultura Saverio Carrà, il presidente dell’associazione culturale Domenico Maneli, l’editore Pellegrini giunto da Cosenza, il giornalista ed archivista dott. Ferdinando Scarmozzino, lo storico ing. Antonio Tripodi ed il moderatore prof. Francesco Romanò.
La sala conferenze, della struttura intitolata, era gremita di un pubblico paziente ed attento tanto da meritare ciò una sottolineatura nell’intervento dell’editore Walter Pellegrini.
I lavori, che per tanti versi sono sembrati una riedizione parziale del convegno svoltosi all’archivio di stato di Vibo Valentia il 4 novembre 2002, sono stati aperti dall’intervento del Sindaco il quale cita, tra le altre cose, una notizia sul Salimbeni poco nota ai giovani ed a chi non era presente al convegno di Vibo, ossia che “negli anni sessanta era presente in Dasà un circolo culturale Pier Giovanni Salimbeni”; ricorda tra l’altro che “nessuna via o struttura è mai stata dedicata a personaggi di Dasà e che proseguendo da quest’intitolazione nel prossimo futuro l’amministrazione comunale rimedierà dedicando alcune vie a dasaesi che nel corso degli anni hanno dato lustro al paese. Ha aggiunto che prossimamente sarà dedicata al Salimbeni la via d’ingresso al paese (per chi proviene da Vibo Valentia); precisamente il tratto dal fiume Petriano fino all’ufficio postale”.
Pier Giovanni Salimbeni, come certamente sapranno i frequentatori di questo portale, è nato a Limpidi di Acquaro nel 1721 e morto a Dasà nel 1792. Un personaggio, definito dai relatori, con una poliedricità di interessi che andavano dalla musica alla poesia e che fondò nel 1786 una scuola di “belle lettere” e filosofia nel paese.
Interessante, ma a tratti flèmma, la lettura del S. fatta dal dott. Scarmozzino che conclude in crescendo il suo intervento riprendendo parzialmente la conclusione sulla figura del S. fatta dall’ex preside del liceo classico di Vibo Valentia prof. Giacinto Namia in occasione del convegno all’archivio di stato: “… tuttavia una lettura più attenta e paziente … del Rabbino … può aiutare a rilevare momenti di schietta commozione … per la storia dell’ethos e della cultura calabrese”.
Il “Rabbino”, come detto dal moderatore Francesco Romanò, è la principale opera letteraria del Salimbeni e di essa esistono due copie soltanto una alla biblioteca nazionale di Napoli e l’altra alla biblioteca comunale “De Nobili” di Catanzaro.
Colto e ricco di particolari è stato l’intervento dello storico Tripodi che non manca di autosottolinearlo simpaticamente. Esordisce scusandosi con la platea per non essere riuscito a preparare come avrebbe voluto il suo intervento per mancanza di tempo, ma da una piccola critica, da egli fatta sull’organizzazione dei lavori “perdonabile”, emergerebbe che: “Il suo Nome è stato inserito nei manifesti di pubblicizzazione dell’evento a sua insaputa o quantomeno senza che egli avesse dato piena disponibilità alla partecipazione al convegno”.
Il prof. Francesco Romanò uno dei maggiori esperti del Salimbeni, avendone dedicato un lungo saggio nel suo libro Domestici Lari, nel suo spaziante intervento fa un’analisi del contesto storico in cui S. visse “in pieno Illuminismo” e non esita a definirlo a più riprese un conservatore, come oggi si direbbe, non ritrovando egli nelle opere del poeta traccia alcuna di quel movimento culturale che attraversò l’Europa e Napoli città dove S. studiò.
“Il contesto storico - disse, a noi profani, un giorno una nostra amica, studentessa di filosofia - è stato quel concetto il quale una volta che ebbi a pieno assimilato fecero sì che i mie sforzi per comprendere la filosofia finissero, oltre che proiettarmi in una visione dei fatti accaduti nel passato la più obiettiva possibile”.
Tornando al convegno, dopo due ore finiscono gli interventi dei relatori e quando il moderatore coinvolge il pubblico presente, chiede la parola l’avv. Gaetano Corrado che non esita a rivolgere una forte e dettagliata critica alla scelta operata a favore del poeta Salimbeni, evidenziando come Dasà aveva dato i natali allo storico e pluridecorato colonnello medico Raffaele Palmieri meritevole a suo dire di avere intitolata la struttura biblioteca. L’ora era tardi e mezza sala abbandona il convegno, ormai avviato al termine, ed il sindaco invita l’avv. Corrado a rimanere al tema Salimbeni aggiungendo che in futuro prenderanno in considerazione, per eventuali intitolazioni, altri cittadini oltre il poeta Pier Giovanni Salimbeni.
mimc

* articolo della gazzetta altomesima online di domenica 11 gennaio 2004 at 18.26

***

Società e fede a Dasà tra ‘700 e ‘800  (1*)

 Antonio Tripodi

  Studioso - Ricercatore

Il centro abitato di Dasà, nel versante tirrenico delle Serre calabresi, fu uno dei dieci casali della contea poi marchesato di Arena fino all’eversione della feudalità decretata il 2 agosto1806 durante il periodo di occupazione passato alla storia come decennio francese. In provincia di Catanzaro fu comune autonomo fino al 1992, anno del passaggio alla nuova provincia di Vibo Valentia.
La documentazione disponibile consente di sapere che il paese esisteva l’anno 1466. Il nome è riportato in un’inchiesta agrario-fiscale ordinata dal re Ferrante I d’Aragona per punire i feudatari che a lui si erano ribellati durante la guerra contro gli Angioini conclusasi con la conquista del Regno di Napoli ( 1).
Le scarse notizie statistiche informano che la popolazione era di 1.143 abitanti nel 1785, di 1.359 nel 1815, di 1723 nel 1849, di 1.546 nel 1856 e di 1607 nel 1881 ( 2).
Per sostegno dello spigolo della facciata della chiesa matrice nel 1782 fu costruito un Balluardo seu Palastro di conci granitici irregolari, sul quale in seguito furono collocate una stele del 1583 ed una croce anch’esse di pietra granitica. Il composito monumento è chiamato la croce di pietra, nella voce dialettale a  cruc’i petra ( 3). I sedili di muratura adiacenti erano il circolo ricreativo all’aperto per gli incontri serali e festivi dei nostri antenati.
L’industria della seta doveva essere abbastanza fiorente, e le piantagioni di gelsi rientravano nelle colture maggiori. La località alla periferia nord dell’abitato tuttora chiamata i ciezi è certamente la stessa che nel 1784 era detta li celsi ( 4).
Il magnifico Nicola Anzoise l’1 luglio 1767 esibì al notaio per la registrazione la licenza per poter acquistare seta in tutta la provincia fino al 5 aprile del seguente anno. Negli anni dal 1786 al 1798 ottenne l’autorizzazione per il commercio della seta il magnifico Rosario Martirani. Titolare di uguale licenza per le annate 1787-88 e 1789-90 fu il barone dr Vincenzo Calcaterra, che il 31 luglio 1790 fece da garante per l’esercizio dell’attività al magnifico Antonino Olivieri ( 5).
Quelli che maggiormente trassero profitto dall’industria serica furono i fratelli Rosario e Vincenzo Martirani, che con la piovra dei loro affari raggiungevano tutti gli undici luoghi abitati del marchesato d’Arena. Nella città di Monteleone nel 1794 avevano appaltato ad estinto di candela per quattro anni le Bilancie delle sete di Arena, Acquaro, Dasà e Lìmpidi (ora frazione d’Acquaro) per complessive 2.189 libbre annue ( 6).
L’anno 1786 due persone di Ciano (ora frazione di Gerocarne) si impegnarono di restituire con seta i 28,00 ducati ricevuti in prestito dal dr Vincenzo Parandelli di Dasà ( 7).
Il sig. Domenico D’Alessandria di Monteleone nel 1787 con due obblighi, uno del 12 aprile e l’altro del 13 maggio, s’assicurò seta per 164,80 ducati complessivi ( 8).
L’olivicultura, abbastanza diffusa, richiedeva che fossero in funzione molti trappeti, e la produzione alimentava un fiorente mercato oleario. Nell’obbligo si stabilivano il tempo ed il luogo della consegna, e che l’olio doveva essere di buona qualità, ricettibile, e mercantibile, fuori acqua morga ( 9).
Oltre ai capitalisti locali, si rivolgevano verso la produzione di questa zona anche privati cittadini e mercanti della città di Monteleone.
Intermediario di fiducia per l’affidamento di tali incombenze era il dr fis. Francesco Salimbeni, il quale nell’amministrazione del feudo d’Arena ricoprì le cariche pubbliche di cassiere generale dal 1769 al 1773 e di sindaco generale nel 1797-1801.
Nel territorio era molto attiva la produzione dei laterizi. I lavori di scavo che si eseguono per nuove costruzioni intorno al vecchio centro abitato riportano alla luce resti di fornaci delle quali non si hanno notizie a memoria di uomo. In una località olivetata distante meno di un kilometro dal paese, detta la  calcara, fino agli anni ’50 erano in funzione due fornaci per la cottura di tegole e mattoni.
Il prezzo delle tegole da 4,50 ducati al migliaio andò diminuendo ad iniziare dal 1784 fino al quasi dimezzamento quattro anni dopo. Si registrò un leggero rialzo nel 1789, e si tornò nel 1790 alle quotazioni di due anni prima (10).
La vicinanza dei boschi offriva un’altra importante fonte di reddito con la lavorazione del legname delle località  Alù e Castagnitello, con richieste provenienti anche da paesi anche alquanto distanti da Dasà.
Obblighi per la fornitura di legname di vario tipo furono stipulati nel 1785 con l’arciprete di Filandari, e nel 1786 col sig. Annunziato Sarlo di Fràncica e con mastro Antonio Sìlipo il quale stava eseguendo i lavori di lavori di costruzione della cattedrale della nuova Mileto dopo il terremoto del 1783 (11).
Nell’industria del legname era impegnato mastro Nicola Galati, trasferitosi da Acquaro a Dasà dopo il matrimonio con donna Domenica Minà, il quale lavorava associato con altri tre suoi fratelli domiciliati in Acquaro e due mastri della vicina Lìmpidi (12).
Nello stesso ramo di attività lavoravano in società i mastri Giuseppe Fogliaro e Francesco Turcaloro (13).
L’esistenza di un alveare si rileva dalla donazione d’un fondo di tre mezzarolate e di alcuni mobili ed utensili e di una camera palaziata attaccata col suo palazzo, […], e proprio quella dove al p(rese)nte vi è la cocina con un casello di Api, fatta il 20 luglio 1758 dal magnifico Lorenzo Capimolla in favore di Domenico Sìmari che nessun compenso aveva ricevuto in molti anni di servizio (14).
Il magnifico Domenico Maria Bruni gestiva una piccola manifattura di crivi per la cernita della farina. Nel 1796 acquistò i cerchi da mastro Saverio Gargano, e dallo stesso e dai mastri arenesi Antonino Iorfino e Giuseppe Corbo tre anni dopo (15).
Lo stesso Bruni il 6 luglio 1799 comprò da mastro Pasquale Lochiatto due conci di fiscoli per il trappeto, detti tuttora sportine nel linguaggio locale, al prezzo di 2,80 ducati per ciascun concio (16).
Si apprende l’esistenza di una dolceria da un obbligo del 16 maggio 1797 per mezzo del quale il magnifico Francescantonio Montagnese dichiarò di dover consegnare al  patron  Antonio Accorinti di Parghelìa olio per l’importo di 39,00 ducati, dei quali era rimasto debitore per tanto melazzo  fornitogli (17).
Nell’arte del ricamo era versata donna Caterina Lacquaniti, che in qualità appunto di maestra di racamo  il 14 giugno 1770 stimò il corredo della magnifica Isabella Luzzi che andava sposa al dr fis. Paolo Cotronea di Pìzzoni (18). La gentildonna era nativa di Palmi, e si stabilì a Dasà dopo il matrimonio col dr Nicola Parandelli celebrato il 9 ottobre 1759 nella chiesa matrice della sua città (19). Si conserva di lei un velo di seta gialla ricamato l’anno 1758 per la croce processionale dell’ancora attiva confraternita dell’Immacolata della quale il futuro marito era stato priore due anni prima. Rimasta vedova nel 1786, morì il 4 gennaio 1814.
Nel corso del ‘700 e fino all’eversione della feudalità, le notizie reperite nei protocolli notarili e nei fascicoli della Regia Udienza mostrano come l’ufficio di Sindaco generale dello “Stato”d’Arena  fu esercitato per molti anni da cittadini di Dasà o diventati tali per immigrazione a seguito di matrimonio. La serie si apre col magnifico Silvio Parandelli (1735, 1740,1742), e seguono il mag.co Stefano Politi (1749-50), il dr Domenico Antonio Parandelli (1750-51), il notaio Antonino Nicola Scaramuzzino (1752), il mag.co Giuseppe Antonio Filardo (1752-55), il dr fis. Nicola Carnì (1755-56), il mag.co Giovanni Mondilli (1757), il mag.co Domenico Calcaterra (1758-59), il notaio Paolo Corrado (1760-64), il mag.co Lorenzo Capimolla (1767-68), il notaio Domenico Viterbo (1769-73), il sig. Nicola Anzoise (1774), il mag.co Paolo Bruno (1776-77), il mag.co Francesco Luzzi (1778-80), il dr fis. Nicola Carnì (1781), il mag.co (orefice) Rosario Barbaro (1782-86), il barone dr Vincenzo Calcaterra (1787-89), di nuovo il dr fis. Nicola Carnì (1791), il dr fis. Francesco Salimbeni (1797-01) ed il dr Vincenzo Parandelli (1802-03).
L’attività di ceraioli era esercitata dagli Anzoise e dai Palmieri, e dal notaio Paolo Corrado. Si rivolgevano ad essi le richieste anche dai paesi vicini (20).
Nella produzione dei fuochi artificiali era presente mastro Gioacchino Scamardì. La notorietà fu raggiunta da un ramo della famiglia Bruni, e ne sono prove le commissioni ricevute nel 1767 e nel 1773 da mastro Giuseppe Bruni per gli spari in occasioni di feste in Bivongi (21). Il soprannome u maschieri  è ancora in uso per indicare i discendenti di quei fochisti.
Non era sconosciuto il gioco del lotto. La gestione nel 1786 fu appaltata, con la provvisione del 4% sulle giocate, in febbraio dal sig. Giuseppe Aragona, di Monteleone abitante in Dasà, ed alla fine di giugno dal magnifico Antonino Olivieri (22).
Il paese subì danni a causa dei terremoti del 6 dicembre 1743, del 5-7 febbraio 1783 che provocò 52 morti sotto le macerie ed altri nei giorni successivi a causa delle ferite riportate, del 12 ottobre 1791, e certamente anche di quello che l’8 marzo 1832 fu avvertito nella vicina Arena (23).
Nei primi anni del ‘700 fu iniziata la costruzione della nuova chiesa matrice dedicata a San Nicola vescovo, della quale la prima notizia è contenuta in un istrumento stipulato il 20 settembre 1527 sul suo sagrato (24).
L’apertura al culto avvenne solennemente il 6 dicembre 1775 con la processione per la traslazione del Santissimo Sacramento dalla chiesa filiale della Consolazione che per tutta la durata dei lavori aveva assolto alla funzione di parrocchiale (25).
L’anno 1729 fu completata la chiesa della confraternita dell’Immacolata, che il 16 maggio 1587 era stata fondata nella chiesa della Consolazione, e l’11 febbraio fu sepolto il primo confratello. Oltre all’altare maggiore, nel 1777 erano eretti gli altari della Sacra Famiglia e di San Francesco di Paola con i rispettivi quadri. Lo stesso anno fu impiantata la Via Crucis  e furono commissionate le quattordici tele al pittore Giacomo Arbascià di Monteleone. La devozione al Sacro Cuore di Gesù, introdotta nel 1775, fu confermata nel 1822 con l’aggregazione della confraternita alla primaria arciconfraternita romana (26). La chiesa fu demolita l’anno 1930, e l’attuale fu benedetta il 7 settembre 1947.
La confraternita del Santissimo Rosario, confermata il 14 aprile 1588, il 6 ottobre 1838 trasferì la propria sede dalla cadente chiesa di San Giovanni Battista in quella della Consolazione nella quale tuttora è attiva (27).
Per le devozioni familiari e personali nella chiesa filiale della Consolazione erano eretti gli altari o cappelle :
- del  Rosario, posta a latere sinistro ab ingressu  dalla porta maggiore, fondata dal sac. Vincenzo Scopacasa con bolla emessa il 17 ottobre 1600 da mons. Marcantonio Del Tufo, vescovo di Mileto. Il sac. Antonino Scopacasa, durante il rito della presa di possesso della cappellania, l’8 luglio 1754 baciò la figura del SS.mo Rosario collocata sopra l’altare (28).
- della Madonna della Grazia, nella quale l’8 maggio 1688 il chierico Pietro Iogà aveva fondato una Messa col canto l’anno  per ascendere al sacerdozio (29). Nell’altare il 30 ottobre 1711, dopo aver ottenuto la concessione dal sac. Pietro suo nipote ex sorore, Giovanni Corrado eresse una cappellania di una messa ogni settimana per il figlio Antonino, chierico avviato al sacerdozio (30).
Nei verbali delle visite pastorali dal 1717 al 1753 il patronato fu riconosciuto ai Iogà ed ai Corrado, e dal 1766 in poi solo a questi ultimi (31). Senz’altro i Iogà erano decaduti, e non potevano provvedere agli oneri del mantenimento della cappella.
- della Madonna del Carmine, col jus nominandi del cappellano spettante al priore del convento di San Domenico di Soriano. Si celebravano due messe ogni settimana nel 1696, e nel 1751 l’altare era già demolito perché interdetto da otto-dieci anni (32).
- dell’Immacolata, nel cimitero comunicante con la sagrestia della chiesa. Si ha notizia dalle visite pastorali del 3 luglio 1748, dell’11 luglio 1753 e del 10 luglio 1759 (33).
- del Nome di Gesù, la cui esistenza nel 1635 è nota da un strumento del 5 marzo 1671. Nel 1777 era l’unico altare traslato nella chiesa matrice di recente aperta al culto (34).
- del Crocefisso, esistente già nel 1642 sotto il titolo delle Anime del Purgatorio, che cambiò dopo che nel 1655 fu acquistata per 31,00 ducati la statua scolpita dal napoletano Giuseppe Maresca . L’artistica opera dal gennaio 1961 troneggia sopra l’altare maggiore (35).
- di Sant’Antonio di Padova, visitata nel 1630 e di patronato della famiglia Gaetano che l’aveva precedentemente fondata. Passata già nel 1716 ai Parandelli, che davanti avevano il sepolcro familiare, era ancora ad essi assegnata nel 1794 (36).
- di San Gregorio taumaturgo, menzionata nel 1716 quando era patronato dei Minniti, ai quali subentrarono i Sigillò che vicino costruirono il sepolcro per la famiglia. Sopra l’altare era collocato un quadro o una statua che nel 1753 necessitava di un restauro (37).
- di San Francesco d’Assisi e San Francesco di Paola, nella quale sul finire del ‘600 il sac. Giovandomenico Bartone aveva fondato tre messe settimanali, alle quali ne aggiunsero altre tre i sac. Francesco e Pietro Minà di Cesare suoi nipoti. Il patronato, dei Minà nel 1716, era anche dei loro parenti Luzzi nel 1766. La cappella nel 1794 non fu menzionata (38).
La tradizionale
‘ncrinata, detta altrove affruntata od anche cumprunta, che richiama fedeli anche di altri paesi, si svolgeva e tuttora si svolge il martedì dopo Pasqua sul mezzogiorno. Si riscontra in un documento del 1711 la prima notizia della sacra rappresentazione dell’incontro di Cristo con la Madre dopo la di lui Risurrezione (39).
L’annuale fiera dell’Immacolata, documentata sin dall’anno 1649, era ed ancora è l’occasione per far compere sia per i cittadini che per i tanti forestieri provenienti dai centri viciniori.
In località Sambrasi, ora periferia dell’abitato, si teneva già nel ‘600 una fiericciola  intorno ad una chiesetta dedicata a San Biagio caduta probabilmente col terremoto del 6 dicembre 1743 (40).
Nel 1791 fu pubblicato il “Catasto onciario”, compilato nel 1782, e che pertanto riportava le situazioni patrimoniali e demografiche precedenti al terremoto del febbraio 1783.
L’anno 1824 i rapporti tra il comune di Arena e quelli di Acquaro, Dasà e Dinàmi divennero tesi perché i decurionati degli ultimi tre paesi avevano trasmesso al sovrano una richiesta per il trasferimento del capoluogo mandamentale a Dasà che per gli altri due era meno decentrato di Arena posto sopra un colle ad un’estremità del territorio circondariale.
L’uno e l’altro dei due comuni contendenti inviarono alle autorità competenti alcune memorie per evidenziare ciascuno le proprie migliori condizioni di ricettività e di ambiente. In Dasà c’erano quaranta galantuomini e civili, e tra questi si contavano sei avvocati, tre medici e due chirurghi, due speziali di medicina e due speziali manuali, e quattro notai. Invece in Arena i galantuomini e civili erano soltanto undici, e comprendevano un medico ed uno speziale manuale, e due notai.
La contesa ebbe il suo epilogo nel mese di agosto del 1830, con la salomonica decisione di lasciare tutto come prima onde evitare i sconcerti inseparabili da tale innovazione (41).
Nei secoli XVIII e XIX illustrarono la propria terra il padre minimo Gennaro Mattei (Dasà, 02/07/1657- Nicòtera 25/01/1725), vescovo di Nicòtera, il canonico Tommaso Scaramuzzino (Dasà, 1695 ? – Mileto, 24/04/1769), penitenziere e poi arciprete della chiesa cattedrale di Mileto, il notaio-poeta Piergiovanni Salimbeni (Limpidi, 21/05/1721 – Dasà, 09/09/1792),

 i fratelli avvocato-filosofo Nicola (Dasà, 1770 ? – 07/02/1830) e medico-filosofo Nicola (Dasà, 1773 ? – 10/01/1858) Calcaterra del barone dr Vincenzo (42), gli scultori Nicola Corrado (Dasà, 1802 ? – 01/09/1856), Gabriele Corrado di Nicola (Dasà, 03/01/1829 – 21/01/1888), Gabriele di Pasquale (Dasà, 30/04/1816 - ? ), il pittore Pasquale Corrado (Dasà, 1810 ? – 05/06/1866) (43).

n o t e
sigle ed abbreviazioni :
AS VV = Archivio di Stato di Vibo Valentia
ASD M = Archivio storico diocesano di Mileto
AS CZ = Archivio di Stato di Catanzaro
AP= Archivio parrocchiale
AC=Archivio della confraternita
not. = protocollo del notaio
istr. = istrumento
ob.= obbligo
v p = verbali delle visite pastorali
cart.= cartella
fasc.= fascicolo
f.= foglio
p.= pagina

1) E. PONTIERI, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 295.
2) L. IZZO, La popolazione calabrese nel secolo XIX, Napoli 1965, p. 278.
3) A. TRIPODI, La vecchia “croce di pietra” a Dasà, in “Brutium” LXIX (1990), nn. 2-3, p. 45 ; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra Cinquecento e Ottocento, Reggio Calabria 1994, pp. 333-334.
4) AS VV, not. G. M. Salimbeni, istr. 29/09/1784.
5) AS VV, not. Piergiovanni Salimbeni, ob. 01/07/1767, per N. Anzoise; not. N. Bruni , ob. 22/06/1786, 06/07/1787, 22/06/1788, 22/06/1789, 28/06/1790, 08/07/1791, 02/07/1792, 06/07/1793, 28/06/1794, 11/06/1795, 23/07/1796, 17/07/1797, 24/07/1798, per R. Martirani; ob. 12/07/1787, 29/07/1789, per V. Calcaterra; ob. 31/07/1790, per A. Olivieri.
6) AS VV, not. N. Bruni, istr. 30/07/1784.
7) AS VV, not. N. Bruni, ob. 18/06/1786.
8) AS VV, not. N. Bruni, ob. 12/04 e 13/05/1787.
9) AS VV, not. N. Bruni, ob. 04/12/1785, ecc.
10) AS VV, not. N. Bruni, ob. 15/12/1784, 30/01-02/02- 08/02-20/02/1785, 06/12/1786, 12 e 13/02-19/08/1787, 02/03/1788,28-29/03/1789,19/03-30/04-18/11-19/12/1790, 12/12/1802; A. TRIPODI, La Madonna della Consolazione – Dasà, Vibo Valentia 1983, p. 15.
11) AS VV, not. N. Bruni, ob. 11/11/1785, 26/11/1786, 11/07-26/11/1788, 06/01/1794; A. TRIPODI, La Madonna … , p. 15.
12) AS VV, ibidem.
13) AS VV, not. N. Bruni, ob. 28/06/1786 e 24/10/1789.
14) AS VV, not. A. Imeneo, istr. 20/07/1758.
15) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 13/11/1796, 19/02/1799, 06/10/1799.
16) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 06/07/1797.
17) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 16/05/1797.
18) AS VV, not. P. Corrado, cap. matr. 14/06/1770.
19) AP Palmi, Liber matrimoniorum
20) AS CZ, Regia Udienza, cart. A, 18, XII; ASD M, Libro dei conti della cappella del Santissimo Sacramento di Acquaro, anno 1758 - 59, f. 130v.
21) AS CZ, Libro dei conti della venerabile cappella di Mamma Nostra […] di Bivongi, ff. 21, 21v, 37v.
22) AS VV, not. N. Bruni, ob. 17/02 e 29/06/1786.
23) AS CZ, Intendenza, cart. 4/72; A. TRIPODI, Il terremoto dell’8 marzo 1832 nelle Serre e nel Poro, in “Rivista storica calabrese” ns XVI (1995), nn. 1-2, pp. 281-292.
24) ASD M, Libro degli istrumenti di San Lorenzo; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 11.
25) ASD M, Libro delle rendite della cappella del Santissimo Sacramento di Dasà, f. 348; A. TRIPODI, La storia cinque volte secolare della chiesa della Consolazione di Dasà, in “Calabria Sconosciuta” XII (1989) n. 43, p. 115; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, p. 110.
26) AC Immacolata di Dasà, Registro delle deliberazioni; A. TRIPODI, Nella pianura di Cannazzi e del Salvatore, in “Rogerius” V (2002), n. 2; A: TRIPODI, La Madonna … , p. 55.
27) ASD M, Dasà - cart. Confraternite ; A. TRIPODI, La chiesa di San Giovanni Laterano e il convento di Santa Maria della Pietà di Dasà in Calabria Ultra, in “Analecta Augustiniana” LXI (1998), p. 87.
28) ASD M, Processo civile per il beneficio del Ss.mo Rosario; AS VV, not. P. Corrado, istr. 08/07/1754; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 37.
29) ASD M, Bollario 1662-1693, f. 159v; F. VON LOBSTEIN (a cura di), Bollari dei vescovi di Mileto, Pietrabissara 1998, p. 51; A. TRIPODI, La Madonna … , pp. 37-38.
30) AS VV , not. D. Ciancio, istr. 30/10/1711.
31) ASD M, v p, vol. 8°, ff. 78 e 278; vol. 9°, ff. 265, 398 e 843; vol. 10°, ff. 91, 171, 514 e 1207; vol. 11°, f. 265; vol. 12°, ff. 211 e 750; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 37-38.
32) AS CZ, Platea della chiesa di Santa Maria della Consolazione di Dasà, f. 43; ASD M, v p, vol. 10°, f. 1209; A. TRIPODI, La Madonna …, pp. 38-39.
33) ASD M, v p, vol. 10°, f. 516, vol. 11°, ff. 266 e 1078; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 39.
34) AS CZ, Pergamene; ASD M, v p, vol. 12°, f. 750; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 40.
35) ASD M, Libro d’introito ed esito della Cappella del Purgatorio di Dasà, anno 1654/1655; A. TRIPODI, Un crocefisso ligneo nella chiesa parrocchiale di Dasà, in “Brutium” LXII (1983), n. 4, pp.6-7; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 265-270; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 41.
36) ASD M, v p, vol. 5°, f. 196; vol. 7°, f. 519; vol. 12bis, f. 185; A. TRIPODI, La Madonna … , p. 41.
37) ASD M, v p, vol. 7°, f. 519; vol. 11°, f. 265; A. TRIPODI, La Madonna …, pp. 40-41.
38) ASD M, v p, vol. 7°, f. 518; vol. 12°, f. 411; vol. 12bis, ff. 185-187; A. TRIPODI, La Madonna …, pp. 39-40.
39) AS VV, not. D. Ciancio, istr. 26/11/1711; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 25.
40) ASD M, vp, vol. 10°, ff. 170-173. La chiesa di San Biagio non fu visitata.
41) AS CZ, Intendenza, cart. 212/A, fasc. 2 e 9; A. TRIPODI, Il capoluogo circondariale – Ottocentesca controversia tra i comuni di Arena e di Dasà, in “Historica” XLVIII (1995), n. 4, pp. 191-194; A. TRIPODI, La Madonna …, p.14.
42) A. TRIPODI, La Madonna … , p. 17.
43) A. TRIPODI, Sull’arte in Calabria (I), in “Hipponiana” II (1994), n. 5, pp. 21-22.

(1*) Questo articolo e' stato presentato, dall'ing. Antonio Tripodi, nel convegno all'Archivio di Stato di Vibo Valentia, del 4 novembre 2002, sul tema: Salimbeni Pier Giovanni  notaio, filosofo, poeta nella Dasà del sec. XVIII

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SULL’ARTE IN CALABRIA  (2*)

 

Per quanto si riferisce alla storia dell’arte in Calabria, sia per quella autoctona che per quella d’importazione, ancora il molto rimane da scrivere.
Mai si sono affrontate serie ricerche indirizzate all’acquisizione di quelle notizie che avrebbero consentito la conoscenza dei tanti artisti che nel corso dei secoli impegnarono i loro estri per l’abbellimento delle chiese dei grandi e piccoli paesi della regione.
Si sarebbe scoperto che anche nelle chiese degli sperduti casali, dei quali la maggior parte è da tempo cancellata dalla geografia calabrese, si custodivano le testimonianze delle devozioni di uomini vissuti ed operanti in tempi di ristrettezze economiche e di grandi rivolgimenti politici e sociali.
La consultazione dei pochi inventari e guide regionali dati finora alle stampe rivela, alla verifica dei contenuti particolari, l’improvvisazione e la superficialità del reperimento delle notizie.
Le calamità naturali e casuali, delle quali la terra ballerina in alcun tempo potè lamentare l’assenza, davano un apporto determinante alla distruzione delle opere d’arte. Terremoti ed incendi, che con la loro furia riducevano pubblici e privati edifici in cumuli di pietre e calcinacci o in spessi strati di cenere fra spezzoni di muri anneriti dal fumo, non risparmiavano statue lignee e tele o tavole dipinte.
Nella nostra epoca la scomparsa delle notizie sul patrimonio artistico è da ricercarsi nel disinteresse e nell’incuria riservate sia alle opere fisse che a quelle mobili.
In occasione della sostituzione dello scannello di una statua processionale, operazione necessaria per renderlo idoneo alla fissazione al tronetto per mezzo di bulloni, neanche lontanamente si pensava di rifare l’iscrizione per perpetuarne la data d’esecuzione ed il nome dell’autore.
Non meglio si comportavano, e tuttora si comportano, certi cosiddetti restauratori che trovavano e trovano meno impegnativo nascondere il finto marmo delle facce degli scannelli con poche pennellate di colore uniforme, eliminando dalla vista anche eventuali firme di artisti o scritte dedicatorie. Si preoccupavano e si preoccupano costoro di dipingere ai piedi del santo, con colore quasi sempre giallo, un rombo contenente il loro nome e cognome preceduto da un pomposo restaurò a dimostrazione di somma ignoranza di arte e di storia.
Le mancanze delle firme e/o delle date sui quadri, nella maggioranza dei casi è dovuta a riduzioni delle dimensioni per collocarli in cornici più piccole ( 1), oppure ad asportazioni delle parti inferiori che essendo a contatto con i vasi di fiori sono colpite dall’umidità e quindi inevitabilmente soggette al distacco degli strati di pittura. Nel passato erano frequenti le bruciature causate dalle candele votive o da quelle necessarie per l’illuminazione degli altari.
In Calabria non solo le chiese, ma anche alcune dimore gentilizie, erano ornate di stucchi eseguiti da artisti locali o provenienti dalla vicina Sicilia o da Napoli.
Il primo documento rintracciato è un contratto del 10 ottobre 1661. Quel giorno Filippo Grimaldi, originario Ianuense, educato vero in Regno di Sicilia, si impegnò con la comunità agostiniana di Monteleone di eseguire la stuccatura della cappella di San Gregorio taumaturgo eretta dentro la Chiesa nova del loro convento sotto il titolo di San’Agostino entro il mese di maggio dell’anno seguente per il compenso di 115,00 ducati da esigere in cinque rate ( 2).
Nel corso del ‘700 abitava a Bianco (RC) lo stuccatore Natale Falduti trasferitosi da Monteleone. Nel biennio 1775/76 lavorò nella cappella del Santissimo Sacramento del paese e nella chiesa matrice di Bruzzano, ora Bruzzano Zaffirio (RC) ( 3).
Nel 1759 mastro Santo Solano di Nicòtera ornò di stucchi la chiesa dei Minori Conventuali di Tropèa. Il compenso fu pattuito in 220,00 ducati, dei quali 20,00 in contanti ed il resto con l’avanzamento dei lavori ( 4).
I fratelli Matteo e Giovanni Frangipane di Pizzo nel 1771 eseguirono i lavori di stuccatura nelle quattro cappelle del convento dei Domenicani di Soriano, al prezzo di 35,00 ducati per ognuna. L’1 agosto dello stesso anno il magnifico Giovanni Frangipane, certamente il medesimo stuccatore, si ebbe 40,00 ducati per il disegno della cappella di San Pietro martire, ch’era la prima di quelle stuccate in collaborazione con suo fratello Matteo ( 5).
L’arte dello stucco nell’Ottocento inoltrato era esercitata da mastro Biagio Muzzi e da altri maestri di cognome Barillaro, tutti nativi dell’allora villaggio di Serra che nel 18 ebbe il nome di Serra San Bruno.
Il primo eseguì la stuccatura della volta della chiesa dell’Addolorata di Serra, concordemente attribuita a Domenico Barillaro (Serra, 1788-1829). Ma questi nel contratto stipulato dal notaio Bruno Vinci il 7 febbraio 1818 si costituì in qualità di primo consultore della confraternita dell’Addolorata, qualificandosi falegname ed asserendo di essere maggiorenne, mentre il Muzzi assunse l’obbligo di portare a compimento il lavoro entro dieci anni. La clausola che gli stucchi dovevano essere proseguiti sotto la direzione di esso Mastro Domenico Barillaro, il quale principiò detta opera poteva significare che ne aveva fornito il disegno. Per cui, se non si trattò di un illecito, l’esecuzione di quei meravigliosi stucchi deve essere riconosciuta a mastro Biagio Muzzi ( 6).
Risulta da una delibera della confraternita del S.mo Rosario di Dasà, sotto la data del 23 gennaio 1855, che avrebbe dovuto realizzare di stucco la cappella il mastro serrese Michele Barillari ( 7). Ma costui neanche l’avrà iniziata, perché il lavoro fu eseguito, anche se non completamente, nel 1860-61 dall’architetto Francesco Barillari anch’egli di Serra (8). Lo stesso, il 24 maggio 1862, si obbligò di ornare di stucchi la volta della chiesa della Consolazione per 1.250,00 lire entro il mese di settembre di tre anni dopo ( 9). Nulla, purtroppo, rimane di queste due opere. La cappella fu certamente danneggiata dal crollo della volta a causa del terremoto che si abbattè la notte tra il 7 e l’8 settembre 1905.
Per lo stucco della chiesa matrice di Dasà tra il 1852 e l’inizio del 1853 lavorò mastro Giuseppe Riga di Pizzo (10), il quale poteva essere l’omonimo architetto che il 18 ottobre 1852 reclamava il compenso di 6,00 ducati dovutigli per aver espletato l’incarico ricevuto dal sindaco di formare, e stabilire la pianta della Chiesa Matrice di Arena cinque anni prima (11).
I fratelli Basilio e Giuseppe Riga, quest’ultimo probabilmente da identificare col precedente, il 10 gennaio 1847 si obbligarono di completare di stucco in stile corinzio, entro il 31 dicembre 1850, per 400,00 ducati di manodopera la chiesa parrocchiale di Francavilla Angìtola (12).
Nella scultura e nell’intaglio ebbe rinomanza la scuola serrese che tra i suoi rappresentanti annoverava alcuni artigiani-artisti delle famiglie Pisani, Regio, Scrivo, Zaffino e De Francesco.
La documentazione per gli Scrivo inizia con Antonio e Vincenzo, attivi tra la seconda metà del ‘700 e gli inizi dell’ ‘800, dei quali il secondo fu l’indiscusso maestro per gli artisti serresi suoi contemporanei (13).
Le statue scolpite da Antonio (il Crocefisso, il San Rocco, l’Immacolata, la Sant’Anna, il San Giuseppe, l’attribuibile Assunta ) sono custodite nelle chiese della sua città natale (14). Quelle di Vincenzo sono sparse in tutta la Calabria centrale : l’Immacolata a Serra, il San Michele Arcangelo del 1804 e la Madonna del Carmine del 1798 a Cinquefrondi, il San Francesco di Paola del 1792 a Vazzano, la Madonna della Grazia del 1796 a Francavilla Angitola, il Salvatore del 1797 a Pazzano, la Madonna dell’Itria del 1798 a Polìstena, l’Immacolata del 1800 a Tritanti (fraz. di Maròpati), il gruppo dell’Annunziata di Sant’Angelo (fraz. di Gerocarne). Suo è il disegno dell’altare maggiore della chiesa dell’Assunta di Spinetto a Serra, intagliato nel 1799 dal serrese Raffaele De Francesco (15).
Nell’Ottocento, a Serra era attivo Raffaele Regio. Sono da lui firmate e datate la Madonna del Buon Consiglio (1823) nella chiesa della confraternita della Grazia di Arena e gli Angeli reggenti il busto di San Nicodemo (1849) nella chiesa parrocchiale di Màmmola.
Sono noti dal 1833 e dal 1816 rispettivamente Venanzio Pisani e Vincenzo Zaffino, dei quali le sculture lignee sono visibili anche in chiese della regione alquanto distanti dalla cittadina dove nacquero ed avevano impiantato la propria bottega artistica.
Il primo fu anche ritrattista e pittore. Siccome ritraeva i defunti, a Serra a quel tempo si usava dire mu ti pitta don Vinanziu per augurare .. la morte a qualcuno ! Sono del Pisani due statue raffiguranti entrambe l’Immacolata, una del 1833 a Paradìsoni (fraz. di Briàtico) e l’altra del 1837 a Càroni (fraz. di Limbadi), il Cri-sto Risorto a Sant’Eufemia d’Aspromonte, l’Immacolata e il San Nicola del 1826 a Monterosso, l’Addolorata del 1834 nel museo diocesano di Nicòtera, ed altre in alcune chiese della regione.
Lo Zaffino, o Zaffiro come si legge su qualche scannello, scolpì nel 1836 l’Immacolata per la chiesa omonima di Polìstena, il San Michele Arcangelo ora nella chiesa cattedrale di Santa Severina, il gruppo dei Santi Cosma e Damiano nel 1816 per la chiesa di Sant’Eufemia d’Aspromonte e lo stesso soggetto nel 1824 per la chiesa di Soriano Calabro (16).
Serrese era Domenico Rossi che per la chiesa della Madonna della Grazia di Pìzzoni nel 1818 intagliò l’altare maggiore, che fu dipinto e dorato tre anni dopo dal suo concittadino Vincenzo Zaffino (17).
I fratelli Salerno eseguirono nel 1855 l’intaglio di due confessionali di legno per il santuario della Madonna della Montagna di Polsi, eretto nel territorio di San Luca in una amena valle dell’Aspromonte (18).
Opera di marmo di bottega serrese è l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Màmmola, scolpito nel 1834 da Salvatore Pisano.
Marmorari serresi erano Vincenzo Drago e Luigi Vadalà, che nel 1854 eseguirono l’altare di San Francesco di Paola nella chiesa matrice di Santa Caterina Ionio, e Michele Barillari autore nel 1852 dell’altare della cappella di Sant’Agazio nella chiesa cattedrale di Squillace.
Nella chiesa parrocchiale di Santa Barbara di Dàvoli gli altari marmorei della titolare e della Madonna del Rosario furono scolpiti entrambi da artisti serresi, il primo nel 1759 da mastro Giuseppe Pisani e l’altro nel 1782 dai mastri Antonio, Giuseppe e Vincenzo Pisani.
Nella prima metà dell’Ottocento in Dasà iniziò la propria attività artistica la famiglia Corrado. Il primo ad operare fu Nicola, del quale sono note la statua di Santa Maria di Pajeradi venerata nella sua chiesetta presso Stefanàconi (19), firmata e datata 1839, e l’Assunta del 1844 nell’omonima collegiata di Cròpani. Senz’altro sono da attribuire allo stesso il San Giuseppe col Bambino della chiesa della confraternita dell’Immacolata di Dasà recante sullo scannello un’iscrizione devozionale del 1836, la Madonna di Portosalvo che fu “scolpita a Dasà nel 1846” custodita nella chiesa parrocchiale dell’omonima frazione di Vibo Valentia, ed il San Michele Arcangelo della chiesa della confraternita dell’Immacolata di Pizzo che “Corrado di Dasà” scolpì nel 1852.
L’attività artistica di Nicola fu esercitata negli stessi anni dai cugini paterni Pasquale pittore e Gabriele scultore, e continuata dai figli Pasquale e Gabriele anche questi scultori. Stante la contemporaneità dei due statuari di nome Gabriele, e di entrambi la paternità di Nicola, non è possibile stabilire a chi di loro sono da assegnare le statue della Madonna del Carmine (1868) e di San Francesco di Paola (1872) della chiesa parrocchiale di Dasà, il San Giuseppe col Bambino (187.) della chiesa parrocchiale di Fràncica (20), la Madonna del Carmine (1858) della chiesa parrocchiale di Rosarno, il San Pietro (1859) nella chiesa parrocchiale di Ciano (fraz. di Gerocarne).
Il pittore Pasquale è presente nella chiesa della confraternita dell’Immacolata di Dasà con i quadri de L’orazione di Gesù nell’orto del 1841 e de Il trionfo dell’Immacolata del 1866.
L’altro scultore di nome Pasquale, chiamato dai concittadini don Pascale testazza e ricordato come devoto del dio Bacco, ha eseguito statue per le chiese dei paesi vicini. Si conoscono l’Annunziata (1895) nella chiesa parrocchiale di Sorianello, l’Immacolata (1897) della chiesa della confraternita della Grazia di Arena ed il San Nicola (1904) di Ciano.



Quando si parla o si scrive delle opere prodotte fuori dalla regione, il riferimento corre sempre alla presenza degli ordini religiosi, che si rivolgevano ai loro confratelli napoletani o siciliani, e spesse volte anche romani, che intervenivano per stipulare i contratti con gli artisti locali per l’esecuzione dei lavori che nelle tante comunità si volevano realizzare (21).
Ma anche gli studenti, i funzionari, i mercanti, i pellegrini, ritornando nei propri paesi avevano modo di magnificare altari e paramenti, quadri e statue, calici ed ostensori ammirati nelle chiese delle località visitate o nelle quali avevano a lungo o per breve tempo soggiornato.
Inoltre, non solo all’ombra di quei cantieri continuamente aperti ch’erano i grandi complessi conventuali, ma in tanti luoghi dove proficuamente avevano svolto attività alcuni artisti impiantavano botteghe gestite da collaboratori che avevano il compito di recarsi presso i committenti per verificarne le richieste e stipulare i contratti che i principali ratificavano con altro istrumento entro un termine stabilito.
In questi laboratori-agenzie effettuavano l’apprendistato i tanti giovani locali, che illustrarono la loro ed attualmente nostra terra in ogni epoca della sua travagliata storia.
Le segnalazioni riportate in questa ricerca sono state reperite in contratti notari-li, in scritture di archivi ecclesiastici, in saggi di storia locale, in guide regionali, in studi monografici, nelle visite ad alcune chiese.



ARENA
Sono attribuite allo scalpello del napoletano Gennaro Franzese le statue lignee del Cristo Risorto e di San Michele Arcangelo, custodite nella chiesa matrice (22). Queste furono donate alla confraternita di San Michele dall’arciprete Giovandomenico Gullà col testamento del 17 giugno 1764. Il sacerdote non ne indicò la provenienza, ma dichiarò di averle pagate una 120,00 e l’altra 80,00 ducati (23).
Lo scultore Gennaro Franzese è documentato attivo a Napoli nel quarantennio dal 1718 al 1757 (24).

DASA’
Il napoletano Giuseppe Maresca, documentato attivo in quella città tra il 1645 ed il 1665, è l’autore del Crocefisso ligneo che nel 1981 fu rimosso dalla cappella laterale per essere collocato sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale dei santi Nicola e Michele. Scolpito nel 1655 e costato 31,00 ducati, fu esposto la prima volta alla venerazione dei fedeli il Giovedì Santo, quell’anno il 25 del mese di marzo (25).

DINAMI
Per pagare in Napoli il prezzo della statua di San Rocco il sig. Carlo Gallucci il 19 giugno 1757 contrasse un debito di 30,00 ducati all’interesse dell’8 % accen-dendo l’ipoteca su un fondo di quindici tomolate con vigna, olivi, gelsi bianchi e neri, ed altri alberi fruttiferi (26).

FILOGASO
Nella chiesa del villaggio di Panaja, ora rione di Filogàso, si conservano le statue lignee di San Vito e di Santa Rosalìa, entrambe di artisti napoletani.
L’arrivo della prima, scolpita da Giacomo Colombo per il compenso di 60,00 ducati, fu festeggiato il 26 dicembre 1719 con una spesa di 7,00 ducati. Oltre al denaro, l’artefice ebbe in regalo mezzo cantaro (= 44,550 Kg) di fichi secchi del valore di 2,50 ducati (27).
La statua di Santa Rosalìa del 1734 è opera di Carmine Lantricine, che aveva la bottega nel Largo del Castello al Pontone della Guardiola del Regio Palazzo Vecchio. Il prezzo di 52,00 ducati fu pagato in tre rate (28).

FRANCAVILA ANGITOLA
La statua lignea del protettore San Foca martire fu commissionata ad un artista romano l’anno 1663 dal padre Simpliciano Cilurso del convento agostiniano di Santa Maria della Croce eretto tra Francavilla e Castelmonardo (ora Filadelfia). Scolpita a figura intera, non è noto quando gli fu data la forma che già aveva alla fine del XIX secolo (29).
Il simulacro era conservato nel citato convento, e veniva concesso ogni anno dal padre superiore al sindaco per la celebrazione della festa con l’obbligo di restituirlo il giorno seguente. L’anno 1685 fu definitivamente donato alla comunità francavillese.

MILETO
Opera di un non nominato scultore romano è la statua lignea di San Rocco della chiesa parrocchiale della Badia della Santissima Trinità, commissionata nel 1744 dal canonico Pierdomenico Scoppa, poi vescovo di Gerace, in ringraziamento per lo scampato pericolo della peste che l’anno prima aveva afflitto la vicina Sicilia (30).

PARADISONI di Briàtico
La statua lignea del patrono San Pietro apostolo è firmata da un certo Domenico De Lavielio e datata 1708. Il cognome non può che essere di un artista napole-tano.

PIZZONI
Nella nicchia dell’altare maggiore della chiesa della (ora estinta) confraternita di Santa Maria della Grazia è custodita la statua lignea della Madonna col Bambi-no dello stesso titolo. Sulla faccia anteriore dello scannello si legge che quella fu eseguita a preclaro artifice Mancinio neapolitano nel XVIII secolo. L’artista è senza dubbio Tommaso Mancini, lo stesso che negli anni 1754-‘55 intagliò il coro ligneo della chiesa del convento della vicina Soriano (31).

SANT’ONOFRIO
La committenza napoletana è documentata dal 1770 al 1907, anche se solo del-le due opere più recenti sono stati trasmessi i nomi degli artisti (32).
La prima statua lignea fu quella del patrono Sant’Onofrio eremita, del 1770, restaurata nel 1845 ed andata perduta a causa del terremoto dell’8 settembre 1905. L’attuale è opera della ditta Calderozzo, e fu benedetta il 27 agosto 1907.
La statua di San Gaetano da Tiene fu fatta a spese dell’arciprete Gaetano Perri-ni (1742-1783), che la benedisse il 2 aprile 1777.
Si raccolsero con una questua i 70,00 ducati pagati nel 1822 per l’acquisto della statua di San Rocco, a cura dell’arciprete Agostino Greco (1818-1825).
La devozione di Vincenzo Denaro nel 1884 dotò la comunità santonofrese della statua dell’Addolorata.
L’arciprete Pasquale Marcello (1894-1954) il 30 novembre 1902 benedisse la statua dell’Immacolata, opera di Raffaele Della Campa.

SORIANO CALABRO
I padri domenicani il 21 maggio 1754 stipularono il contratto con il Sigr Tomaso Mancini, M(aest)ro Intagliatore della Città di Napoli per l’esecuzione del coro ligneo della chiesa del loro convento, da consegnare entro un anno dalla data dell’istrumento. Il pattuito prezzo di 570,00 ducati, dopo i 70,00 versati in contanti, sarebbe stato versato a 25,00 ducati ogni mese con l’impegno del saldo al termine del lavoro (33).
Per i lavori di marmo prestò la propria opera il perugino o romano Giuseppe Scaglia, che il 28 maggio 1709 fu saldato del credito per l’esecuzione dei sette pi-lastri grandi della chiesa commissionatigli il 26 luglio 1694. Lo scultore morì a Soriano il 22 febbraio 1718, e fu sepolto nella fossa della confraternita di Gesù e Maria Santissima del Rosario eretta nella chiesa del convento, ed ancora attiva (34).
La cappella del Santissimo Rosario fu eseguita negli anni 1767-’68 dai mar-morari napoletani Raimondo Varvella, Giovanni Martino e Francesco Scalabrini, con i quali i padri pattuirono il prezzo di 1.100,00 ducati. Il danaro veniva versato settimana per settimana, e mese per mese dal procuratore del convento. Si apprende dall’istrumento del 9 novembre 1768 che in allustrare i marmi aveva lavorato mastro Sabato Trotta, che percepiva 0,27.6 ducati al giorno (35).

TROPEA
Il maestro intagliator lapidum Francesco da Milano il 13 aprile 1489 s’obbligò con due gentiluomini di Tropea, Barnaba Caputo e Ferdinando Bongiovanni, di scolpire un sepolcro di marmo con due figure giacenti per una chiesa di quella città (36). Non è dato sapere a quale famiglia appartenesse il sepolcro, e neanche se ne sia scampato qualche pezzo alle tante distruzioni.

VIBO VALENTIA
Scolpita nel 1897 da F. Gangi e R(affaele) Della Campa di Napoli, si venera nella chiesa arcipretale la statua della Madonna della Grazia, offerta a devozione di mons. Francesco Franco e con l’obolo dei fedeli. Seduta sopra una nuvola, la Madonna tiene il Bambino in braccio in mezzo a tre angioletti e cinque serafini.

GEROCARNE
L’anno 1925, nel soffitto della restaurata chiesa parrocchiale di Santa Maria de Latinis, edificio a tre navate iniziato alla fine del ‘700 e portato a termine nel 1815, il messinese Cosimo Sampietro rappresentò in un trittico l’epopea dell’Assunzione della Madonna al cielo.
Il pittore dipinse anche cinque quadri ad olio su tela, che ornano il presbitero. L’immagine della Madonna col Bambino è collocata sopra l’altare maggiore, ed ai lati stanno le figure di San Rocco, di San Sebastiano, della Cena, e di Mosè nel deserto. L’artista ricevette complessivamente 14.000,00 lire di compenso (37).

MILETO
In fondo alla navata laterale a destra di chi entra nella chiesa cattedrale è posta la statua marmorea del vescovo San Nicola protettore della diocesi. Sulla faccia anteriore della base quadrata si legge l’anno 1549 ed il nome del vescovo Quinzio De Rusticis committente (38), del quale è anche scolpito lo stemma. Si è da alcuni storici assegnata allo scalpello dello scultore Francesco Rustici fiorentino, e sono note autorevoli attribuzioni a cinquecenteschi statuari romani o napoletani (39).

MONTEROSSO CALABRO
L’organaro napoletano Filippo Basile il 6 aprile 1719 s’obbligò con Antonio Lombardo e Domenico Chirico, procuratori della cappella del Santissimo Sacra-mento il primo e della chiesa di Santa Maria del Soccorso l’altro, di fornire due organi per il compenso di 295,00 ducati. La clausola che gli organi dovevano es-sere della medesima qualità, e grandezza di quelli ha fatto nella Madre Chiesa di Panaija, e nella Chiesa di S(an)to Nicola di detta Terra di Panaija (ora rione di Filogàso) mostra che in precedenza l’organaro aveva ricevuto commesse dalle citate chiese (40).

PIZZO
In un fascicolo del fondo Esiti comunali conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro è contenuta la documentazione per la costruzione di un’artistica fontana nella piazza della città, allo Spuntone vicino al non più esistente monumento eretto in onore del re Ferdinando I di Borbone (41). Sulla facciata posteriore del degno redatto dall’architetto Pietro Frangipane (42) si legge la data del 14 agosto 1824. Ma dopo poco più di un anno al progetto si è voluto apportare una modifica, e di quella il disegno è andato disperso.
Le fasi della costruzione della fontana furono contrassegnate da contrattempi di ogni genere. Valgano per tutti i cambi degli appaltatori, col terzo dei quali il contratto fu stipulato nel 1836. E tutto concorre a pensare che anche quella monumentale fontana sia da collocarsi fra le tante opere mai portate a compimento !



n o t e

.1) Si cita il quadro ad olio su tela dell’Immacolata con San Nicola vescovo, nella chiesa
della confraternita dell’Immacolata di Dasà, che fino al 1860 fu adibito per velo della
nicchia l’altare maggiore.
.2) AS VV, not. G. B. Lombardo, istr. 10/10/1661; A. TRIPODI, Opere di artisti siciliani
per le chiese calabresi : diocesi di Mileto e di Tropea (secc. XVI-XVIII), in Messina e la
Calabria (Atti del I colloquio calabro-siculo, Reggio Calabria-Messina, 21-23/11/1986),
Messina 1988, pp. 39-40; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra Cinquecento e Ottocento,
Messina 1994, p. 262.
.3) SAS Lc, not. L. Pisani, ob. 03/12/1775 e 17/11/1776.
.4) AS VV, not. G. B. Cimino, ob. 06/01/1759.
.5) AS VV, not. F. A. Ferrari, ob. 17/01/1771; not. G. Ruggiero, ob. 01/08/1771.
.6) AS VV, not. B. Vinci, istr. 07/02/1818.
.7) A cfr Rosario di Dasà, Registro delle deliberazioni.
.8) AS VV, not. V. Bruni, istr. 30/10/1860.
.9) AS VV. not. V. Bruni, istr. 24/05/1862.
10)
10) AS CZ, fondo Intendenza, fasc. 212 A/13.
11) SAS LT, not. F. G. Palmarelli, istr. 10/01/1847; F. ACCETTA, Francavilla Angitola, Vi-bo Valentia 1999, pp. 134-135.
12) O. BRINDISI, Famiglia Scrivo : Una tradizione che continua, Vibo Valentia 1988, pp. 7 e 15.
13) T. CERAVOLO - S. LUCIANI - D. PISANI, Serra San Bruno e la Certosa, Vibo Valen-tia 1997, pp. 67, 99, 102, 112.
14) AS VV, not. B. Vinci, ob. 19/02/1799; A. TRIPODI, Spigolature documentarie per la storia del Serrese, in “Rogerius” IV (2001), n. 2, pp 136-137, ora alla p. di questo vo-lume.
15) AS VV, not. F. Dafinà, istr. 03/11/1823; A. TRIPODI, Notizie per la storia dell’arte e dell’artigianato in Calabria (II), in “Brutium” LXVI (1987), n. 3, pp. 5-6; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, p. 275.
16) Le notizie sono riportate in un’iscrizione ai lati dell’altare.
17) Polsi è frazione di San Luca (RC).
18) A. ARCELLA, Appunti su Stefanàconi, Vibo Valentia 1985, p. 107.
19) L’ultima cifra della data è coperta da una maldestra pennellata impressa da un restauratore per nulla rispettoso delle memorie artistiche.
21) A. TRIPODI, Stuccatori, pipernieri, marmorari, intagliatori nel real convento di San
Domenico in Soriano (I) e (II), in “Brutium” LXIII (1984), n. 3 e n. 4, pp. 2-5 e 21-24; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 313-324.
22) G. B. MARZANO, Scritti, vol. 4°, Vibo Valentia Marina 1942, p. 211. L’autore erra nell’indicare il Franzese nativo di Lucca.
23) AS VV, not. G. D. Francese, test. 17/06/1764.
24) N. PICE, Una confraternita popolare nel XVIII secolo : San Michele Arcangelo, in Cul-tura e società in Puglia e Bitonto nel sec. XVIII, Bitonto 1994, pp. 258/61 e 270; T. FIT-TIPALDI, Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, p. 63.
25) ASD M, Libro dove stanno notate l’entrate della Cappella dell’Anime del Purgatorio di Dasà, ff. 52/52v; A. TRIPODI, Un Crocefisso del ‘600 nella chiesa parrocchiale di Dasà, in “Brutium” LXII (1983), n. 4, pp. 6-7; ora in A. TRIPODI, In Calabria … , pp. 265-270.
26) ASD M, fondo confraternite, cartella Dinàmi.
27) ASD M, Libro dell’universal Cappella di Santo Vito della terra di Panaja, ff. 11-14; B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, Napoli 1742 rist. a-nast. Bologna 19.., vol. 2°, p. 391; G. A. GALANTE, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872 rist. anast. s. l. e d., pp. 47e 331. Nelle chiese di Santa Caterina a Formiello e dell’Ospedaletto in Napoli si conservano statue marmoree eseguite da Giacomo Colombo, alcune su disegni del pittore Francesco Solimena (1647-1747) del quale era compatre. Se non erano due omonimi contemporanei, il Colombo era scultore del marmo e del legno.
28) ASD M, Libro magistrale della venerabile Cappella di Santa Rosalìa di Panaja, ff. 6-7, e copia dell’obbligo del notaio D. Empoli di Napoli del 18/09/1734.
29) O. SIMONETTI, Cenno biografico sovra l’Antiocheno Martire S. Foca, protettore della città di Francavilla in Calabria Ultra 2, Monteleone 1882, p. 27, nota n. 1.
30) D. TACCONE-GALLUCCI, Monografia della città e diocesi di Mileto, Modena 1882 rist. anast. Bologna 1984, pp. 112-113.
31) vedere la nota n. 33.
32) P. MARCELLO, Sant’Onofrio, Catanzaro 1991, pp. 54-55; ASD M, Visite pastorali 1854, vol. 16°, f. 367.
33) AS VV, not. P. Corrado, istr. 21/05/1754; A. TRIPODI, Stuccatori, …(I), pp. 2-3; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 314-315.
34) AS VV, not. A. Denardo, istr. 28/05/1709; A. TRIPODI, Stuccatori, …(I), p. 2, ora in A. TRPODI, In Calabria …, pp. 313-314; AP Soriano, Liber defunctorum.
35) AS VV, not. D. Loiacono, istr. 09/11/1768, 19/09/1769 e 21/09/1769; A. TRIPODI, Stuc-catori …(I), pp. 3-4; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 315-316.
36) G. FILANGIERI, Documenti per la storia le arti e le industrie delle Provincie Napoletane, Napoli 1884, vol. 1°, p. XXII e vol. 4°, p. 103.
37) C. VARRIALE, Hierocarne, Vibo Valentia 1987, p. 30.
38) V. F. LUZZI, I vescovi di Mileto, Sciconi di Briàtico 1989, p. 169. Il romano Quinzio De Rusticis fu vescovo di Mileto dal 1523 al 1566.
39) A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, vol. 2°, Roma 1933, p. 39.
40) AS VV, not. N. A. Lombardo, istr. 06/04/1719.
41) AS CZ, fondo Esiti comunali, b. 84, fasc. 4206; AS VV, not. V. Casuscelli, istr. 15/12/1836.
42) Nato a Monteleone (ora Vibo Valentia) il 30/10/1761, l’architetto Pietro Frangipane era figlio dell’ingegnere-sscultore Fabrizio e di Rosa Tavella. Morì il 29/03/1837.

(2*) Antonio Tripodi,  Fonte: Sacrocuore online