Il giorno 20 agosto 2007 si è
svolto a Dasà in Piazza dei Caduti la presentazione del libretto di
Antonio Tripodi "Pittori e Scultori di Calabria. Le famiglie Corrado
e Valentino di Dasà e Arena".
Il convegno è stato patrocinato dall'amministrazione comunale di
Dasà e dall'amministrazione provinciale di Vibo Valentia.
Moderato dal dott. Pietro Corrado l'evento ha visto gli interventi
dell'assessore alla cultura e vicesindaco Audenzia Maggio, del
sindaco Gabriele Corrado, del presidente della Provincia di Vibo
Valentia Gaetano Ottavio Bruni, dell'assessore provinciale alla
cultura Gregorio Ciccone, dell'arch. M. Panarello e dello stesso
autore.
Vi sono stati anche tre interventi di personaggi presenti nel
pubblico: arch. Corradino Corrado, dr Vincenzo Farina e dott.
Francesco Romanò.
La scenografia è stata molto suggestiva con presentazione di 19
opere dei pittori in questione.
Al seguente link si possono vedere alcuni
momenti del convegno.
Raffaele Ierardo,
nato nel 1951 a Dasà (VV) e residente a Francica (VV), ritorna nel
suo paese natio con una mostra pittorica che sta tenendo in questi
giorni pasquali presso la sede dell'Associazione culturale dasaese
in Largo S. Giovanni.
Per indole persona
esteriormente allegra e forse intimamente triste ma sicuramente
buona, riflessiva ed al contempo con un forte bagaglio di conoscenze
acquisite nei lunghi anni di emigrazione trascorsi all'estero
durante la sua gioventù.
Disponibile al massimo
verso il prossimo e poco fortunato in alcuni momenti della sua vita
ma reattivo come lo sono solo le persone di gran cuore e nel caso
del Ierardo anche di talento artistico.
Il suo ritorno a Dasà è
nelle sue opere il suo esservi sempre stato. Ora come allora, da
piccoli. Nei suoi quadri traspare il mondo contadino con la sua
suggestiva ruralità mediterranea che si tinge di colori fantastici,
personali ed allegri che emanano poesia quasi a mostrare soltanto il
bello di quel mondo che è il suo mondo.
Bellezza nella
semplicità dei luoghi ritratti che nasconde la fatica e la
sofferenza ma non i valori scomparsi della civiltà contadina. Mondo
antico reso attuale, vivo e bello in tante sue opere attraverso
colori che incantano.
Autodidatta in quanto a
formazione artistica ma formatosi sulla scia del suo maestro d'arte
Francesco Mangialardi. In poche opere l'imitazione del
Mangialardi è volutamente palese in altre il tratto personale del Ierardo emerge prepotentemente allegro e scivolante da un
mondo moderno quasi assente nei suoi quadri.
Nel Ierardo artista
maturo la modernità non appare quasi mai nelle sue opere; è
emigrazione, distacco dai luoghi natii ed emarginazione forse e non
merita l'esser presente. Ierardo preferisce ritrarre il periodo
pre-emigrazione in quanto si confonde con la sua infanzia e con
l'innocenza di tale età.
Ha finora esposto in numerose città
partecipando a mostre e rassegne, ottenendo premi e riconoscimenti.
I critici dicono di Lele Ierardo «Nella sua pittura dona
freschezza e lirici slanci al linguaggio espressivo, con cui
reinterpreta la realtà e gli elementi della vita quotidiana,
collegandovi qua e là significati simbolici. Spesso la sua
figurazione si riveste di impressionistiche vibrazioni, specialmente
quando ripropone immagini colte "en plein air" traendole
dall'amorosa osservazione della sua terra, delle sue bellezze e
delle atmosfere mediterranee da cui è suggestivamente avvolta».
Indirizzo: via Fratelli Colloca 10 89851 Francica (Vibo Valentia)
tel. 0963/502404
Il macinino da caffè di zia Rosa è sempre
posizionato in posti ben visibili nella casa di mia madre.
Ogni oggetto datato o che custodiamo con cura, a prescindere dal suo
valore, è spesso simbolo o testimone di eventi e ricordi tristi o
felici che siano e, forse anche il macinino di zia Rosa lo è.
Uno Scherzo Curioso
- giovedì 18 agosto 2005 at 13.02
Dasà VV. Grande successo di pubblico ha
riscosso la commedia “Uno scherzo curioso” di Antonio Sette e Bruno
Stramandinoli, tenutasi ieri sera a Dasà.
Il luogo, in cui si è svolta la commedia, è stato sapientemente
organizzato in simil modo ad un teatro all’aperto con miglioramento
dell’ascolto e della vista rispetto agli anni precedenti; la
commedia ha registrato la presenza di oltre 600 spettatori,
collocatisi sulle scalinate della chiesa matrice e sulla platea
artificiale organizzata lungo Corso Umberto I.
Il gran pubblico ha seguito con attenzione e divertimento gli
artisti del luogo nella loro performance teatrale, frutto di oltre
un mese di prove serali.
Tutti gli attori hanno dato il massimo di impegno ed il pubblico non
ha lesinato loro applausi; fra gli attori emerge Nicola Covalea
un giovane dasaese con la recitazione nel sangue e meritevole da
tempo di piazze e teatri ben più importanti.
Ad aiutare la serata vi è stata una riscoperta dello stare insieme
del pubblico residente ed emigrati-turisti che numerosi quest’anno
sono ritornati al paese natio.
Questo dato sulle presenze turistiche è in contraddizione col dato
nazionale e probabilmente spiegabile in parte con la ridotta
disponibilità economica impedente vacanze più costose.
Per parte nostra sicuramente dobbiamo migliorare nel modo di
rapportarci con gli emigrati-turisti, fuggendo da stupidi luoghi
comuni, non dimenticandoci mai del contributo economico e culturale
che sanno apportare a questa nostra piccola comunità, che appartiene
anche loro.
mimc
18 agosto 2005
Fonte: Gazzetta Altomesima Online
Dasà.
Dopo i lavori di ristrutturazione dell'antica struttura di San
Lorenzo
Aperto il centro polifunzionale
In chiesa il quadro dedicato alla Madonna del Rosario *
DASA'. L'antica località di San
Lorenzo, nel territorio di Arena ma da sempre di proprietà
della Confraternita del Ss. Rosario, ha ripreso a vivere,
divenendo nuovamente luogo pulsante di spiritualità e di
preghiera per il quale molti secoli fa era nato. Nei giorni
scorsi, infatti, è stata inaugurata la nuova struttura
polifunzionale, un'opera voluta intensamente dal parroco don
Pietro Cutuli, che è anche commissario della Confraternita.
Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti, oltre ai tanti
fedeli e confratelli, il vescovo della diocesi Domenico
Tarcisio Cortese, i parroci di Arena e Dasà, autorità civili e
militari.
«Sono veramente felice ha detto il vescovo che sia stato
recuperato questo luogo che testimonia le nostre origini, le
nostre profonde radici culturali e spirituali. Assieme a
Soreto di Dinami, San Pietro Spina, al convento dei Domenicani
di Soriano e alla Certosa di Serra, la località di San Lorenzo
è destinata a diventare terra di incontro con Dio, nel segno
della preghiera e della spiritualità».
Un ruolo che questo posto incantevole aveva dai tempi antichi,
quando, nel 1200, vi sorgeva un convento di monaci basiliani
da cui dipendevano Santa Chiarella di Monteleone, Santa Maria
della Natività di Moladi e Santa Maria dell'Itria di Serrata.
Il monastero, a cui era annessa una chiesetta, venne distrutto
dal terribile terremoto del 1783. Ripristinata sommariamente
negli anni '50 del secolo scorso, la struttura venne in
seguito abbandonata.
I lavori di ristrutturazione a cui la località San Lorenzo è
stata sottoposta di recente, progettati dall'architetto
Corradino Corrado, sono stati resi possibili grazie al
contributo della diocesi e ai tanti volontari che hanno
lavorato per mesi. Sull'altare della chiesetta campeggia un
bellissimo quadro della Madonna del Rosario di Pompei,
realizzato dal noto artista locale Mike Arruzza. Un'opera che
nella sua dolcezza invita a guardare verso l'alto, verso il
cielo, a sublimare le nostre azioni quotidiane. Ai due lati
della Vergine, due "finestre": da una parte una veduta di Dasà
e dall'altra San Lorenzo. Artistici, poi, l'ambone e il
Crocefisso, entrambi scolpiti in legno. I banchi e altre
suppellettili sono stati offerti dalla comunità.
Il centro polifunzionale, oltre a costituire un richiamo di
spiritualità, sarà anche un centro dall'alta valenza sociale,
punto di aggregazione e di confronto, di condivisione di
comuni ideali, quelli che le nostre generazioni hanno
ereditato da antichi modi di intendere la vita e l'esistenza.
La realizzazione della struttura, inoltre, assume un altro bel
significato, assurgendo a simbolo dell'operosità di questa
gente, che davanti alle occasioni di riappropriazione della
propria storia si unisce, diventa compatta e solidale. Un
esempio di dignità e di coerenza nei confronti dei principi
che sottendono alla religione in generale e alle Confraternite
nello specifico. Da queste parti l'attaccamento alle radici
religiose è davvero encomiabile. I confratelli della Congrega
del Rosario, ma anche tutti gli altri cittadini, da oggi
avranno, dunque, un nuovo punto di riferimento, quel San
Lorenzo che da molti anni era stato abbandonato e che adesso
riacquista vitalità, riproponendosi come faro di religiosità e
di socialità per i giovani e per tutti coloro che sanno ancora
recuperare piccoli spazi di preghiera e di colloquio con Colui
che tra qualche giorno tornerà a nascere, a farsi uomo per
salvare l'uomo.
* Articolo di
Franco Pagnotta
"Il Quotidiano della Calabria" online del 17
Dicembre 2004
Intitolazione Biblioteca a Pier Giovanni
Salimbeni*
Il 29 dicembre
2003, si è svolta in Dasà una cerimonia-convegno d’intitolazione
della struttura biblioteca, sita in viale Aldo Moro, al poeta
Pier Giovanni Salimbeni; struttura che dovrebbe essere adibita
in un prossimo futuro a biblioteca polifunzionale.
Al convegno organizzato dall’amministrazione comunale di Dasà e
dall’associazione culturale dasaese erano presenti, in veste di
relatori: il sindaco prof. Francesco Antonio Romanò, l’assessore
alla cultura Saverio Carrà, il presidente dell’associazione
culturale Domenico Maneli, l’editore Pellegrini giunto da
Cosenza, il giornalista ed archivista dott. Ferdinando
Scarmozzino, lo storico ing. Antonio Tripodi ed il moderatore
prof. Francesco Romanò.
La sala conferenze, della struttura intitolata, era gremita di
un pubblico paziente ed attento tanto da meritare ciò una
sottolineatura nell’intervento dell’editore Walter Pellegrini.
I lavori, che per tanti versi sono sembrati una riedizione
parziale del convegno svoltosi all’archivio di stato di Vibo
Valentia il 4 novembre 2002, sono stati aperti dall’intervento
del Sindaco il quale cita, tra le altre cose, una notizia sul
Salimbeni poco nota ai giovani ed a chi non era presente al
convegno di Vibo, ossia che “negli anni sessanta era presente in
Dasà un circolo culturale Pier Giovanni Salimbeni”; ricorda tra
l’altro che “nessuna via o struttura è mai stata dedicata a
personaggi di Dasà e che proseguendo da quest’intitolazione nel
prossimo futuro l’amministrazione comunale rimedierà dedicando
alcune vie a dasaesi che nel corso degli anni hanno dato lustro
al paese. Ha aggiunto che prossimamente sarà dedicata al
Salimbeni la via d’ingresso al paese (per chi proviene da Vibo
Valentia); precisamente il tratto dal fiume Petriano fino
all’ufficio postale”.
Pier Giovanni Salimbeni, come certamente sapranno i
frequentatori di questo portale, è nato a Limpidi di Acquaro nel
1721 e morto a Dasà nel 1792. Un personaggio, definito dai
relatori, con una poliedricità di interessi che andavano dalla
musica alla poesia e che fondò nel 1786 una scuola di “belle
lettere” e filosofia nel paese.
Interessante, ma a tratti flèmma, la lettura del S. fatta dal
dott. Scarmozzino che conclude in crescendo il suo intervento
riprendendo parzialmente la conclusione sulla figura del S.
fatta dall’ex preside del liceo classico di Vibo Valentia prof.
Giacinto Namia in occasione del convegno all’archivio di stato:
“… tuttavia una lettura più attenta e paziente … del Rabbino …
può aiutare a rilevare momenti di schietta commozione … per la
storia dell’ethos e della cultura calabrese”.
Il “Rabbino”, come detto dal moderatore Francesco Romanò, è la
principale opera letteraria del Salimbeni e di essa esistono due
copie soltanto una alla biblioteca nazionale di Napoli e l’altra
alla biblioteca comunale “De Nobili” di Catanzaro.
Colto e ricco di particolari è stato l’intervento dello storico
Tripodi che non manca di autosottolinearlo simpaticamente.
Esordisce scusandosi con la platea per non essere riuscito a
preparare come avrebbe voluto il suo intervento per mancanza di
tempo, ma da una piccola critica, da egli fatta
sull’organizzazione dei lavori “perdonabile”, emergerebbe che:
“Il suo Nome è stato inserito nei manifesti di pubblicizzazione
dell’evento a sua insaputa o quantomeno senza che egli avesse
dato piena disponibilità alla partecipazione al convegno”.
Il prof. Francesco Romanò uno dei maggiori esperti del Salimbeni,
avendone dedicato un lungo saggio nel suo libro
Domestici Lari, nel suo spaziante intervento fa un’analisi
del contesto storico in cui S. visse “in pieno Illuminismo” e
non esita a definirlo a più riprese un conservatore, come oggi
si direbbe, non ritrovando egli nelle opere del poeta traccia
alcuna di quel movimento culturale che attraversò l’Europa e
Napoli città dove S. studiò.
“Il contesto storico - disse, a noi profani, un giorno una
nostra amica, studentessa di filosofia - è stato quel concetto
il quale una volta che ebbi a pieno assimilato fecero sì che i
mie sforzi per comprendere la filosofia finissero, oltre che
proiettarmi in una visione dei fatti accaduti nel passato la più
obiettiva possibile”.
Tornando al convegno, dopo due ore finiscono gli interventi dei
relatori e quando il moderatore coinvolge il pubblico presente,
chiede la parola l’avv. Gaetano Corrado che non esita a
rivolgere una forte e dettagliata critica alla scelta operata a
favore del poeta Salimbeni, evidenziando come Dasà aveva dato i
natali allo storico e pluridecorato colonnello medico Raffaele
Palmieri meritevole a suo dire di avere intitolata la struttura
biblioteca. L’ora era tardi e mezza sala abbandona il convegno,
ormai avviato al termine, ed il sindaco invita l’avv. Corrado a
rimanere al tema Salimbeni aggiungendo che in futuro prenderanno
in considerazione, per eventuali intitolazioni, altri cittadini
oltre il poeta Pier Giovanni Salimbeni.
mimc
Il centro abitato di
Dasà, nel versante tirrenico delle Serre calabresi, fu uno dei dieci
casali della contea poi marchesato di Arena fino all’eversione della
feudalità decretata il 2 agosto1806 durante il periodo di
occupazione passato alla storia come decennio francese.
In provincia di Catanzaro fu comune autonomo fino al 1992, anno del
passaggio alla nuova provincia di Vibo Valentia.
La documentazione disponibile consente di sapere che il paese
esisteva l’anno 1466. Il nome è riportato in un’inchiesta
agrario-fiscale ordinata dal re Ferrante I d’Aragona per punire i
feudatari che a lui si erano ribellati durante la guerra contro gli
Angioini conclusasi con la conquista del Regno di Napoli ( 1).
Le scarse notizie statistiche informano che la popolazione era di
1.143 abitanti nel 1785, di 1.359 nel 1815, di 1723 nel 1849, di
1.546 nel 1856 e di 1607 nel 1881 ( 2).
Per sostegno dello spigolo della facciata della chiesa matrice nel
1782 fu costruito un Balluardoseu Palastro
di conci granitici irregolari, sul quale in seguito furono collocate
una stele del 1583 ed una croce anch’esse di pietra granitica. Il
composito monumento è chiamato la croce di pietra,
nella voce dialettale a cruc’i petra ( 3). I sedili di
muratura adiacenti erano il circolo ricreativo
all’aperto per gli incontri serali e festivi dei nostri antenati.
L’industria della seta doveva essere abbastanza fiorente, e le
piantagioni di gelsi rientravano nelle colture maggiori. La località
alla periferia nord dell’abitato tuttora chiamata i ciezi
è certamente la stessa che nel 1784 era detta li celsi
( 4).
Il magnifico Nicola Anzoise l’1 luglio 1767 esibì al notaio per la
registrazione la licenza per poter acquistare seta in tutta la
provincia fino al 5 aprile del seguente anno. Negli anni dal 1786 al
1798 ottenne l’autorizzazione per il commercio della seta il
magnifico Rosario Martirani. Titolare di uguale licenza per le
annate 1787-88 e 1789-90 fu il barone dr Vincenzo Calcaterra, che il
31 luglio 1790 fece da garante per l’esercizio dell’attività al
magnifico Antonino Olivieri ( 5).
Quelli che maggiormente trassero profitto dall’industria serica
furono i fratelli Rosario e Vincenzo Martirani, che con la piovra
dei loro affari raggiungevano tutti gli undici luoghi abitati del
marchesato d’Arena. Nella città di Monteleone nel 1794 avevano
appaltato ad estinto di candela per quattro anni le
Bilancie delle sete di Arena, Acquaro, Dasà e Lìmpidi (ora frazione
d’Acquaro) per complessive 2.189 libbre annue ( 6).
L’anno 1786 due persone di Ciano (ora frazione di Gerocarne) si
impegnarono di restituire con seta i 28,00 ducati ricevuti in
prestito dal dr Vincenzo Parandelli di Dasà ( 7).
Il sig. Domenico D’Alessandria di Monteleone nel 1787 con due
obblighi, uno del 12 aprile e l’altro del 13 maggio, s’assicurò seta
per 164,80 ducati complessivi ( 8).
L’olivicultura, abbastanza diffusa, richiedeva che fossero in
funzione molti trappeti, e la produzione alimentava un fiorente
mercato oleario. Nell’obbligo si stabilivano il tempo ed il luogo
della consegna, e che l’olio doveva essere di buona qualità,
ricettibile, e mercantibile, fuori acqua morga ( 9).
Oltre ai capitalisti locali, si rivolgevano verso la produzione di
questa zona anche privati cittadini e mercanti della città di
Monteleone.
Intermediario di fiducia per l’affidamento di tali incombenze era il
dr fis. Francesco Salimbeni, il quale nell’amministrazione del feudo
d’Arena ricoprì le cariche pubbliche di cassiere generale dal 1769
al 1773 e di sindaco generale nel 1797-1801.
Nel territorio era molto attiva la produzione dei laterizi. I lavori
di scavo che si eseguono per nuove costruzioni intorno al vecchio
centro abitato riportano alla luce resti di fornaci delle quali non
si hanno notizie a memoria di uomo. In una località olivetata
distante meno di un kilometro dal paese, detta la calcara,
fino agli anni ’50 erano in funzione due fornaci per la cottura di
tegole e mattoni.
Il prezzo delle tegole da 4,50 ducati al migliaio andò diminuendo ad
iniziare dal 1784 fino al quasi dimezzamento quattro anni dopo. Si
registrò un leggero rialzo nel 1789, e si tornò nel 1790 alle
quotazioni di due anni prima (10).
La vicinanza dei boschi offriva un’altra importante fonte di reddito
con la lavorazione del legname delle località Alù e
Castagnitello, con richieste provenienti anche da paesi anche
alquanto distanti da Dasà.
Obblighi per la fornitura di legname di vario tipo furono stipulati
nel 1785 con l’arciprete di Filandari, e nel 1786 col sig.
Annunziato Sarlo di Fràncica e con mastro Antonio Sìlipo il quale
stava eseguendo i lavori di lavori di costruzione della cattedrale
della nuova Mileto dopo il terremoto del 1783 (11).
Nell’industria del legname era impegnato mastro Nicola Galati,
trasferitosi da Acquaro a Dasà dopo il matrimonio con donna Domenica
Minà, il quale lavorava associato con altri tre suoi fratelli
domiciliati in Acquaro e due mastri della vicina Lìmpidi (12).
Nello stesso ramo di attività lavoravano in società i mastri
Giuseppe Fogliaro e Francesco Turcaloro (13).
L’esistenza di un alveare si rileva dalla donazione d’un fondo di
tre mezzarolate e di alcuni mobili ed utensili e di una
camera palaziata attaccata col suo palazzo, […], e proprio quella
dove al p(rese)nte vi è la cocina con un casello di Api,
fatta il 20 luglio 1758 dal magnifico Lorenzo Capimolla in favore di
Domenico Sìmari che nessun compenso aveva ricevuto in molti anni di
servizio (14).
Il magnifico Domenico Maria Bruni gestiva una piccola manifattura di
crivi per la cernita della farina. Nel 1796 acquistò i cerchi da
mastro Saverio Gargano, e dallo stesso e dai mastri arenesi Antonino
Iorfino e Giuseppe Corbo tre anni dopo (15).
Lo stesso Bruni il 6 luglio 1799 comprò da mastro Pasquale Lochiatto
due conci di fiscoli per il trappeto, detti tuttora sportine
nel linguaggio locale, al prezzo di 2,80 ducati per ciascun concio
(16).
Si apprende l’esistenza di una dolceria da un obbligo del 16 maggio
1797 per mezzo del quale il magnifico Francescantonio Montagnese
dichiarò di dover consegnare al patron
Antonio Accorinti di Parghelìa olio per l’importo di 39,00 ducati,
dei quali era rimasto debitore per tanto melazzo
fornitogli (17).
Nell’arte del ricamo era versata donna Caterina Lacquaniti, che in
qualità appunto di maestra di racamo il 14 giugno
1770 stimò il corredo della magnifica Isabella Luzzi che andava
sposa al dr fis. Paolo Cotronea di Pìzzoni (18). La gentildonna era
nativa di Palmi, e si stabilì a Dasà dopo il matrimonio col dr
Nicola Parandelli celebrato il 9 ottobre 1759 nella chiesa matrice
della sua città (19). Si conserva di lei un velo di seta gialla
ricamato l’anno 1758 per la croce processionale dell’ancora attiva
confraternita dell’Immacolata della quale il futuro marito era stato
priore due anni prima. Rimasta vedova nel 1786, morì il 4 gennaio
1814.
Nel corso del ‘700 e fino all’eversione della feudalità, le notizie
reperite nei protocolli notarili e nei fascicoli della Regia Udienza
mostrano come l’ufficio di Sindaco generale dello
“Stato”d’Arena fu esercitato per molti anni da cittadini di
Dasà o diventati tali per immigrazione a seguito di matrimonio. La
serie si apre col magnifico Silvio Parandelli (1735, 1740,1742), e
seguono il mag.co Stefano Politi (1749-50), il dr Domenico Antonio
Parandelli (1750-51), il notaio Antonino Nicola Scaramuzzino (1752),
il mag.co Giuseppe Antonio Filardo (1752-55), il dr fis. Nicola
Carnì (1755-56), il mag.co Giovanni Mondilli (1757), il mag.co
Domenico Calcaterra (1758-59), il notaio Paolo Corrado (1760-64), il
mag.co Lorenzo Capimolla (1767-68), il notaio Domenico Viterbo
(1769-73), il sig. Nicola Anzoise (1774), il mag.co Paolo Bruno
(1776-77), il mag.co Francesco Luzzi (1778-80), il dr fis. Nicola
Carnì (1781), il mag.co (orefice) Rosario Barbaro (1782-86), il
barone dr Vincenzo Calcaterra (1787-89), di nuovo il dr fis. Nicola
Carnì (1791), il dr fis. Francesco Salimbeni (1797-01) ed il dr
Vincenzo Parandelli (1802-03).
L’attività di ceraioli era esercitata dagli Anzoise e dai Palmieri,
e dal notaio Paolo Corrado. Si rivolgevano ad essi le richieste
anche dai paesi vicini (20).
Nella produzione dei fuochi artificiali era presente mastro
Gioacchino Scamardì. La notorietà fu raggiunta da un ramo della
famiglia Bruni, e ne sono prove le commissioni ricevute nel 1767 e
nel 1773 da mastro Giuseppe Bruni per gli spari in occasioni di
feste in Bivongi (21). Il soprannome u maschieri
è ancora in uso per indicare i discendenti di quei fochisti.
Non era sconosciuto il gioco del lotto. La gestione nel 1786 fu
appaltata, con la provvisione del 4% sulle giocate, in febbraio dal
sig. Giuseppe Aragona, di Monteleone abitante in Dasà, ed alla fine
di giugno dal magnifico Antonino Olivieri (22).
Il paese subì danni a causa dei terremoti del 6 dicembre 1743, del
5-7 febbraio 1783 che provocò 52 morti sotto le macerie ed altri nei
giorni successivi a causa delle ferite riportate, del 12 ottobre
1791, e certamente anche di quello che l’8 marzo 1832 fu avvertito
nella vicina Arena (23).
Nei primi anni del ‘700 fu iniziata la costruzione della nuova
chiesa matrice dedicata a San Nicola vescovo, della quale la prima
notizia è contenuta in un istrumento stipulato il 20 settembre 1527
sul suo sagrato (24).
L’apertura al culto avvenne solennemente il 6 dicembre 1775 con la
processione per la traslazione del Santissimo Sacramento dalla
chiesa filiale della Consolazione che per tutta la durata dei lavori
aveva assolto alla funzione di parrocchiale (25).
L’anno 1729 fu completata la chiesa della confraternita
dell’Immacolata, che il 16 maggio 1587 era stata fondata nella
chiesa della Consolazione, e l’11 febbraio fu sepolto il primo
confratello. Oltre all’altare maggiore, nel 1777 erano eretti gli
altari della Sacra Famiglia e di San Francesco di Paola con i
rispettivi quadri. Lo stesso anno fu impiantata la Via
Crucis e furono commissionate le quattordici tele al
pittore Giacomo Arbascià di Monteleone. La devozione al Sacro Cuore
di Gesù, introdotta nel 1775, fu confermata nel 1822 con
l’aggregazione della confraternita alla primaria arciconfraternita
romana (26). La chiesa fu demolita l’anno 1930, e l’attuale fu
benedetta il 7 settembre 1947.
La confraternita del Santissimo Rosario, confermata il 14 aprile
1588, il 6 ottobre 1838 trasferì la propria sede dalla cadente
chiesa di San Giovanni Battista in quella della Consolazione nella
quale tuttora è attiva (27).
Per le devozioni familiari e personali nella chiesa filiale della
Consolazione erano eretti gli altari o cappelle :
- del Rosario, posta a latere sinistro ab
ingressu dalla porta maggiore, fondata dal sac.
Vincenzo Scopacasa con bolla emessa il 17 ottobre 1600 da mons.
Marcantonio Del Tufo, vescovo di Mileto. Il sac. Antonino Scopacasa,
durante il rito della presa di possesso della cappellania, l’8
luglio 1754 baciò la figura del SS.mo Rosario
collocata sopra l’altare (28).
- della Madonna della Grazia, nella quale l’8 maggio 1688 il
chierico Pietro Iogà aveva fondato una Messa col canto
l’anno per ascendere al sacerdozio (29). Nell’altare
il 30 ottobre 1711, dopo aver ottenuto la concessione dal sac.
Pietro suo nipote ex sorore, Giovanni Corrado eresse una cappellania
di una messa ogni settimana per il figlio Antonino, chierico avviato
al sacerdozio (30).
Nei verbali delle visite pastorali dal 1717 al 1753 il patronato fu
riconosciuto ai Iogà ed ai Corrado, e dal 1766 in poi solo a questi
ultimi (31). Senz’altro i Iogà erano decaduti, e non potevano
provvedere agli oneri del mantenimento della cappella.
- della Madonna del Carmine, col jus nominandi del cappellano
spettante al priore del convento di San Domenico di Soriano. Si
celebravano due messe ogni settimana nel 1696, e nel 1751 l’altare
era già demolito perché interdetto da otto-dieci anni (32).
- dell’Immacolata, nel cimitero comunicante con la sagrestia
della chiesa. Si ha notizia dalle visite pastorali del 3 luglio
1748, dell’11 luglio 1753 e del 10 luglio 1759 (33).
- del Nome di Gesù, la cui esistenza nel 1635 è nota da un
strumento del 5 marzo 1671. Nel 1777 era l’unico altare traslato
nella chiesa matrice di recente aperta al culto (34).
- del Crocefisso, esistente già nel 1642 sotto il titolo
delle Anime del Purgatorio, che cambiò dopo che nel 1655 fu
acquistata per 31,00 ducati la statua scolpita dal napoletano
Giuseppe Maresca . L’artistica opera dal gennaio 1961 troneggia
sopra l’altare maggiore (35).
- di Sant’Antonio di Padova, visitata nel 1630 e di patronato
della famiglia Gaetano che l’aveva precedentemente fondata. Passata
già nel 1716 ai Parandelli, che davanti avevano il sepolcro
familiare, era ancora ad essi assegnata nel 1794 (36).
- di San Gregorio taumaturgo, menzionata nel 1716 quando era
patronato dei Minniti, ai quali subentrarono i Sigillò che vicino
costruirono il sepolcro per la famiglia. Sopra l’altare era
collocato un quadro o una statua che nel 1753 necessitava di un
restauro (37).
- di San Francesco d’Assisi e San Francesco di Paola,
nella quale sul finire del ‘600 il sac. Giovandomenico Bartone aveva
fondato tre messe settimanali, alle quali ne aggiunsero altre tre i
sac. Francesco e Pietro Minà di Cesare suoi nipoti. Il patronato,
dei Minà nel 1716, era anche dei loro parenti Luzzi nel 1766. La
cappella nel 1794 non fu menzionata (38).
La tradizionale
‘ncrinata,
detta altrove
affruntata
od anche
cumprunta,
che richiama fedeli anche di altri paesi, si svolgeva e tuttora si
svolge il martedì dopo Pasqua sul mezzogiorno. Si riscontra in un
documento del 1711 la prima notizia della sacra rappresentazione
dell’incontro di Cristo con la Madre dopo la di lui Risurrezione
(39).
L’annuale fiera dell’Immacolata, documentata sin dall’anno 1649, era
ed ancora è l’occasione per far compere sia per i cittadini che per
i tanti forestieri provenienti dai centri viciniori.
In località Sambrasi, ora periferia dell’abitato, si teneva
già nel ‘600 una fiericciola intorno ad una
chiesetta dedicata a San Biagio caduta probabilmente col terremoto
del 6 dicembre 1743 (40).
Nel 1791 fu pubblicato il “Catasto onciario”, compilato nel 1782, e
che pertanto riportava le situazioni patrimoniali e demografiche
precedenti al terremoto del febbraio 1783.
L’anno 1824 i rapporti tra il comune di Arena e quelli di Acquaro,
Dasà e Dinàmi divennero tesi perché i decurionati degli ultimi tre
paesi avevano trasmesso al sovrano una richiesta per il
trasferimento del capoluogo mandamentale a Dasà che per gli altri
due era meno decentrato di Arena posto sopra un colle ad
un’estremità del territorio circondariale.
L’uno e l’altro dei due comuni contendenti inviarono alle autorità
competenti alcune memorie per evidenziare ciascuno le
proprie migliori condizioni di ricettività e di ambiente. In Dasà
c’erano quaranta galantuomini e civili, e tra questi si contavano
sei avvocati, tre medici e due chirurghi, due speziali di medicina e
due speziali manuali, e quattro notai. Invece in Arena i
galantuomini e civili erano soltanto undici, e comprendevano un
medico ed uno speziale manuale, e due notai.
La contesa ebbe il suo epilogo nel mese di agosto del 1830, con la
salomonica decisione di lasciare tutto come prima onde
evitare i sconcerti inseparabili da tale innovazione(41).
Nei secoli XVIII e XIX illustrarono la propria terra il padre minimo
Gennaro Mattei (Dasà, 02/07/1657- Nicòtera 25/01/1725), vescovo di
Nicòtera, il canonico Tommaso Scaramuzzino (Dasà, 1695 ? – Mileto,
24/04/1769), penitenziere e poi arciprete della chiesa cattedrale di
Mileto, il notaio-poeta Piergiovanni Salimbeni (Limpidi, 21/05/1721
– Dasà, 09/09/1792),
i fratelli
avvocato-filosofo Nicola (Dasà, 1770 ? – 07/02/1830) e
medico-filosofo Nicola (Dasà, 1773 ? – 10/01/1858) Calcaterra del
barone dr Vincenzo (42), gli scultori Nicola Corrado (Dasà, 1802 ? –
01/09/1856), Gabriele Corrado di Nicola (Dasà, 03/01/1829 –
21/01/1888), Gabriele di Pasquale (Dasà, 30/04/1816 - ? ), il
pittore Pasquale Corrado (Dasà, 1810 ? – 05/06/1866) (43).
n o t e
sigle ed abbreviazioni :
AS VV = Archivio di Stato di Vibo Valentia
ASD M = Archivio storico diocesano di Mileto
AS CZ = Archivio di Stato di Catanzaro
AP= Archivio parrocchiale
AC=Archivio della confraternita
not. = protocollo del notaio
istr. = istrumento
ob.= obbligo
v p = verbali delle visite pastorali
cart.= cartella
fasc.= fascicolo
f.= foglio
p.= pagina
1) E. PONTIERI, La Calabria a metà del secolo XV e le rivolte di
Antonio Centelles, Napoli 1963, p. 295.
2) L. IZZO, La popolazione calabrese nel secolo XIX, Napoli 1965, p.
278.
3) A. TRIPODI, La vecchia “croce di pietra” a Dasà, in “Brutium”
LXIX (1990), nn. 2-3, p. 45 ; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra
Cinquecento e Ottocento, Reggio Calabria 1994, pp. 333-334.
4) AS VV, not. G. M. Salimbeni, istr. 29/09/1784.
5) AS VV, not. Piergiovanni Salimbeni, ob. 01/07/1767, per N.
Anzoise; not. N. Bruni , ob. 22/06/1786, 06/07/1787, 22/06/1788,
22/06/1789, 28/06/1790, 08/07/1791, 02/07/1792, 06/07/1793,
28/06/1794, 11/06/1795, 23/07/1796, 17/07/1797, 24/07/1798, per R.
Martirani; ob. 12/07/1787, 29/07/1789, per V. Calcaterra; ob.
31/07/1790, per A. Olivieri.
6) AS VV, not. N. Bruni, istr. 30/07/1784.
7) AS VV, not. N. Bruni, ob. 18/06/1786.
8) AS VV, not. N. Bruni, ob. 12/04 e 13/05/1787.
9) AS VV, not. N. Bruni, ob. 04/12/1785, ecc.
10) AS VV, not. N. Bruni, ob. 15/12/1784, 30/01-02/02-
08/02-20/02/1785, 06/12/1786, 12 e 13/02-19/08/1787,
02/03/1788,28-29/03/1789,19/03-30/04-18/11-19/12/1790, 12/12/1802;
A. TRIPODI, La Madonna della Consolazione – Dasà, Vibo Valentia
1983, p. 15.
11) AS VV, not. N. Bruni, ob. 11/11/1785, 26/11/1786,
11/07-26/11/1788, 06/01/1794; A. TRIPODI, La Madonna … , p. 15.
12) AS VV, ibidem.
13) AS VV, not. N. Bruni, ob. 28/06/1786 e 24/10/1789.
14) AS VV, not. A. Imeneo, istr. 20/07/1758.
15) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 13/11/1796, 19/02/1799, 06/10/1799.
16) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 06/07/1797.
17) AS VV, not. G. Viterbo, ob. 16/05/1797.
18) AS VV, not. P. Corrado, cap. matr. 14/06/1770.
19) AP Palmi, Liber matrimoniorum
20) AS CZ, Regia Udienza, cart. A, 18, XII; ASD M, Libro dei conti
della cappella del Santissimo Sacramento di Acquaro, anno 1758 - 59,
f. 130v.
21) AS CZ, Libro dei conti della venerabile cappella di Mamma Nostra
[…] di Bivongi, ff. 21, 21v, 37v.
22) AS VV, not. N. Bruni, ob. 17/02 e 29/06/1786.
23) AS CZ, Intendenza, cart. 4/72; A. TRIPODI, Il terremoto dell’8
marzo 1832 nelle Serre e nel Poro, in “Rivista storica calabrese” ns
XVI (1995), nn. 1-2, pp. 281-292.
24) ASD M, Libro degli istrumenti di San Lorenzo; A. TRIPODI, La
Madonna …, p. 11.
25) ASD M, Libro delle rendite della cappella del Santissimo
Sacramento di Dasà, f. 348; A. TRIPODI, La storia cinque volte
secolare della chiesa della Consolazione di Dasà, in “Calabria
Sconosciuta” XII (1989) n. 43, p. 115; ora in A. TRIPODI, In
Calabria …, p. 110.
26) AC Immacolata di Dasà, Registro delle deliberazioni; A. TRIPODI,
Nella pianura di Cannazzi e del Salvatore, in “Rogerius” V (2002),
n. 2; A: TRIPODI, La Madonna … , p. 55.
27) ASD M, Dasà - cart. Confraternite ; A. TRIPODI, La chiesa di San
Giovanni Laterano e il convento di Santa Maria della Pietà di Dasà
in Calabria Ultra, in “Analecta Augustiniana” LXI (1998), p. 87.
28) ASD M, Processo civile per il beneficio del Ss.mo Rosario; AS
VV, not. P. Corrado, istr. 08/07/1754; A. TRIPODI, La Madonna …, p.
37.
29) ASD M, Bollario 1662-1693, f. 159v; F. VON LOBSTEIN (a cura di),
Bollari dei vescovi di Mileto, Pietrabissara 1998, p. 51; A.
TRIPODI, La Madonna … , pp. 37-38.
30) AS VV , not. D. Ciancio, istr. 30/10/1711.
31) ASD M, v p, vol. 8°, ff. 78 e 278; vol. 9°, ff. 265, 398 e 843;
vol. 10°, ff. 91, 171, 514 e 1207; vol. 11°, f. 265; vol. 12°, ff.
211 e 750; A. TRIPODI, La Madonna …, p. 37-38.
32) AS CZ, Platea della chiesa di Santa Maria della Consolazione di
Dasà, f. 43; ASD M, v p, vol. 10°, f. 1209; A. TRIPODI, La Madonna
…, pp. 38-39.
33) ASD M, v p, vol. 10°, f. 516, vol. 11°, ff. 266 e 1078; A.
TRIPODI, La Madonna …, p. 39.
34) AS CZ, Pergamene; ASD M, v p, vol. 12°, f. 750; A. TRIPODI, La
Madonna …, p. 40.
35) ASD M, Libro d’introito ed esito della Cappella del Purgatorio
di Dasà, anno 1654/1655; A. TRIPODI, Un crocefisso ligneo nella
chiesa parrocchiale di Dasà, in “Brutium” LXII (1983), n. 4, pp.6-7;
ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 265-270; A. TRIPODI, La
Madonna …, p. 41.
36) ASD M, v p, vol. 5°, f. 196; vol. 7°, f. 519; vol. 12bis, f.
185; A. TRIPODI, La Madonna … , p. 41.
37) ASD M, v p, vol. 7°, f. 519; vol. 11°, f. 265; A. TRIPODI, La
Madonna …, pp. 40-41.
38) ASD M, v p, vol. 7°, f. 518; vol. 12°, f. 411; vol. 12bis, ff.
185-187; A. TRIPODI, La Madonna …, pp. 39-40.
39) AS VV, not. D. Ciancio, istr. 26/11/1711; A. TRIPODI, La Madonna
…, p. 25.
40) ASD M, vp, vol. 10°, ff. 170-173. La chiesa di San Biagio non fu
visitata.
41) AS CZ, Intendenza, cart. 212/A, fasc. 2 e 9; A. TRIPODI, Il
capoluogo circondariale – Ottocentesca controversia tra i comuni di
Arena e di Dasà, in “Historica” XLVIII (1995), n. 4, pp. 191-194; A.
TRIPODI, La Madonna …, p.14.
42) A. TRIPODI, La Madonna … , p. 17.
43) A. TRIPODI, Sull’arte in Calabria (I), in “Hipponiana” II
(1994), n. 5, pp. 21-22.
(1*)
Questo articolo e' stato presentato, dall'ing. Antonio Tripodi, nel
convegno all'Archivio di Stato di Vibo Valentia, del 4 novembre
2002, sul tema: Salimbeni Pier Giovanni notaio, filosofo,
poeta nella Dasà del sec. XVIII
***
SULL’ARTE IN
CALABRIA
(2*)
Per quanto si riferisce
alla storia dell’arte in Calabria, sia per quella autoctona
che per quella d’importazione, ancora il molto rimane da
scrivere.
Mai si sono affrontate serie ricerche indirizzate
all’acquisizione di quelle notizie che avrebbero consentito la
conoscenza dei tanti artisti che nel corso dei secoli
impegnarono i loro estri per l’abbellimento delle chiese dei
grandi e piccoli paesi della regione.
Si sarebbe scoperto che anche nelle chiese degli sperduti
casali, dei quali la maggior parte è da tempo cancellata dalla
geografia calabrese, si custodivano le testimonianze delle
devozioni di uomini vissuti ed operanti in tempi di
ristrettezze economiche e di grandi rivolgimenti politici e
sociali.
La consultazione dei pochi inventari e guide regionali dati
finora alle stampe rivela, alla verifica dei contenuti
particolari, l’improvvisazione e la superficialità del
reperimento delle notizie.
Le calamità naturali e casuali, delle quali la terra ballerina
in alcun tempo potè lamentare l’assenza, davano un apporto
determinante alla distruzione delle opere d’arte. Terremoti ed
incendi, che con la loro furia riducevano pubblici e privati
edifici in cumuli di pietre e calcinacci o in spessi strati di
cenere fra spezzoni di muri anneriti dal fumo, non
risparmiavano statue lignee e tele o tavole dipinte.
Nella nostra epoca la scomparsa delle notizie sul patrimonio
artistico è da ricercarsi nel disinteresse e nell’incuria
riservate sia alle opere fisse che a quelle mobili.
In occasione della sostituzione dello scannello di una statua
processionale, operazione necessaria per renderlo idoneo alla
fissazione al tronetto per mezzo di bulloni, neanche
lontanamente si pensava di rifare l’iscrizione per perpetuarne
la data d’esecuzione ed il nome dell’autore.
Non meglio si comportavano, e tuttora si comportano, certi
cosiddetti restauratori che trovavano e trovano meno
impegnativo nascondere il finto marmo delle facce degli
scannelli con poche pennellate di colore uniforme, eliminando
dalla vista anche eventuali firme di artisti o scritte
dedicatorie. Si preoccupavano e si preoccupano costoro di
dipingere ai piedi del santo, con colore quasi sempre giallo,
un rombo contenente il loro nome e cognome preceduto da un
pomposo restaurò a dimostrazione di somma ignoranza di arte e
di storia.
Le mancanze delle firme e/o delle date sui quadri, nella
maggioranza dei casi è dovuta a riduzioni delle dimensioni per
collocarli in cornici più piccole ( 1), oppure ad asportazioni
delle parti inferiori che essendo a contatto con i vasi di
fiori sono colpite dall’umidità e quindi inevitabilmente
soggette al distacco degli strati di pittura. Nel passato
erano frequenti le bruciature causate dalle candele votive o
da quelle necessarie per l’illuminazione degli altari.
In Calabria non solo le chiese, ma anche alcune dimore
gentilizie, erano ornate di stucchi eseguiti da artisti locali
o provenienti dalla vicina Sicilia o da Napoli.
Il primo documento rintracciato è un contratto del 10 ottobre
1661. Quel giorno Filippo Grimaldi, originario Ianuense,
educato vero in Regno di Sicilia, si impegnò con la comunità
agostiniana di Monteleone di eseguire la stuccatura della
cappella di San Gregorio taumaturgo eretta dentro la Chiesa
nova del loro convento sotto il titolo di San’Agostino entro
il mese di maggio dell’anno seguente per il compenso di 115,00
ducati da esigere in cinque rate ( 2).
Nel corso del ‘700 abitava a Bianco (RC) lo stuccatore Natale
Falduti trasferitosi da Monteleone. Nel biennio 1775/76 lavorò
nella cappella del Santissimo Sacramento del paese e nella
chiesa matrice di Bruzzano, ora Bruzzano Zaffirio (RC) ( 3).
Nel 1759 mastro Santo Solano di Nicòtera ornò di stucchi la
chiesa dei Minori Conventuali di Tropèa. Il compenso fu
pattuito in 220,00 ducati, dei quali 20,00 in contanti ed il
resto con l’avanzamento dei lavori ( 4).
I fratelli Matteo e Giovanni Frangipane di Pizzo nel 1771
eseguirono i lavori di stuccatura nelle quattro cappelle del
convento dei Domenicani di Soriano, al prezzo di 35,00 ducati
per ognuna. L’1 agosto dello stesso anno il magnifico Giovanni
Frangipane, certamente il medesimo stuccatore, si ebbe 40,00
ducati per il disegno della cappella di San Pietro martire,
ch’era la prima di quelle stuccate in collaborazione con suo
fratello Matteo ( 5).
L’arte dello stucco nell’Ottocento inoltrato era esercitata da
mastro Biagio Muzzi e da altri maestri di cognome Barillaro,
tutti nativi dell’allora villaggio di Serra che nel 18 ebbe il
nome di Serra San Bruno.
Il primo eseguì la stuccatura della volta della chiesa
dell’Addolorata di Serra, concordemente attribuita a Domenico
Barillaro (Serra, 1788-1829). Ma questi nel contratto
stipulato dal notaio Bruno Vinci il 7 febbraio 1818 si
costituì in qualità di primo consultore della confraternita
dell’Addolorata, qualificandosi falegname ed asserendo di
essere maggiorenne, mentre il Muzzi assunse l’obbligo di
portare a compimento il lavoro entro dieci anni. La clausola
che gli stucchi dovevano essere proseguiti sotto la direzione
di esso Mastro Domenico Barillaro, il quale principiò detta
opera poteva significare che ne aveva fornito il disegno. Per
cui, se non si trattò di un illecito, l’esecuzione di quei
meravigliosi stucchi deve essere riconosciuta a mastro Biagio
Muzzi ( 6).
Risulta da una delibera della confraternita del S.mo Rosario
di Dasà, sotto la data del 23 gennaio 1855, che avrebbe dovuto
realizzare di stucco la cappella il mastro serrese Michele
Barillari ( 7). Ma costui neanche l’avrà iniziata, perché il
lavoro fu eseguito, anche se non completamente, nel 1860-61
dall’architetto Francesco Barillari anch’egli di Serra (8). Lo
stesso, il 24 maggio 1862, si obbligò di ornare di stucchi la
volta della chiesa della Consolazione per 1.250,00 lire entro
il mese di settembre di tre anni dopo ( 9). Nulla, purtroppo,
rimane di queste due opere. La cappella fu certamente
danneggiata dal crollo della volta a causa del terremoto che
si abbattè la notte tra il 7 e l’8 settembre 1905.
Per lo stucco della chiesa matrice di Dasà tra il 1852 e
l’inizio del 1853 lavorò mastro Giuseppe Riga di Pizzo (10),
il quale poteva essere l’omonimo architetto che il 18 ottobre
1852 reclamava il compenso di 6,00 ducati dovutigli per aver
espletato l’incarico ricevuto dal sindaco di formare, e
stabilire la pianta della Chiesa Matrice di Arena cinque anni
prima (11).
I fratelli Basilio e Giuseppe Riga, quest’ultimo probabilmente
da identificare col precedente, il 10 gennaio 1847 si
obbligarono di completare di stucco in stile corinzio, entro
il 31 dicembre 1850, per 400,00 ducati di manodopera la chiesa
parrocchiale di Francavilla Angìtola (12).
Nella scultura e nell’intaglio ebbe rinomanza la scuola
serrese che tra i suoi rappresentanti annoverava alcuni
artigiani-artisti delle famiglie Pisani, Regio, Scrivo,
Zaffino e De Francesco.
La documentazione per gli Scrivo inizia con Antonio e
Vincenzo, attivi tra la seconda metà del ‘700 e gli inizi
dell’ ‘800, dei quali il secondo fu l’indiscusso maestro per
gli artisti serresi suoi contemporanei (13).
Le statue scolpite da Antonio (il Crocefisso, il San Rocco,
l’Immacolata, la Sant’Anna, il San Giuseppe, l’attribuibile
Assunta ) sono custodite nelle chiese della sua città natale
(14). Quelle di Vincenzo sono sparse in tutta la Calabria
centrale : l’Immacolata a Serra, il San Michele Arcangelo del
1804 e la Madonna del Carmine del 1798 a Cinquefrondi, il San
Francesco di Paola del 1792 a Vazzano, la Madonna della Grazia
del 1796 a Francavilla Angitola, il Salvatore del 1797 a
Pazzano, la Madonna dell’Itria del 1798 a Polìstena,
l’Immacolata del 1800 a Tritanti (fraz. di Maròpati), il
gruppo dell’Annunziata di Sant’Angelo (fraz. di Gerocarne).
Suo è il disegno dell’altare maggiore della chiesa
dell’Assunta di Spinetto a Serra, intagliato nel 1799 dal
serrese Raffaele De Francesco (15).
Nell’Ottocento, a Serra era attivo Raffaele Regio. Sono da lui
firmate e datate la Madonna del Buon Consiglio (1823) nella
chiesa della confraternita della Grazia di Arena e gli Angeli
reggenti il busto di San Nicodemo (1849) nella chiesa
parrocchiale di Màmmola.
Sono noti dal 1833 e dal 1816 rispettivamente Venanzio Pisani
e Vincenzo Zaffino, dei quali le sculture lignee sono visibili
anche in chiese della regione alquanto distanti dalla
cittadina dove nacquero ed avevano impiantato la propria
bottega artistica.
Il primo fu anche ritrattista e pittore. Siccome ritraeva i
defunti, a Serra a quel tempo si usava dire mu ti pitta don
Vinanziu per augurare .. la morte a qualcuno ! Sono del Pisani
due statue raffiguranti entrambe l’Immacolata, una del 1833 a
Paradìsoni (fraz. di Briàtico) e l’altra del 1837 a Càroni (fraz.
di Limbadi), il Cri-sto Risorto a Sant’Eufemia d’Aspromonte,
l’Immacolata e il San Nicola del 1826 a Monterosso,
l’Addolorata del 1834 nel museo diocesano di Nicòtera, ed
altre in alcune chiese della regione.
Lo Zaffino, o Zaffiro come si legge su qualche scannello,
scolpì nel 1836 l’Immacolata per la chiesa omonima di
Polìstena, il San Michele Arcangelo ora nella chiesa
cattedrale di Santa Severina, il gruppo dei Santi Cosma e
Damiano nel 1816 per la chiesa di Sant’Eufemia d’Aspromonte e
lo stesso soggetto nel 1824 per la chiesa di Soriano Calabro
(16).
Serrese era Domenico Rossi che per la chiesa della Madonna
della Grazia di Pìzzoni nel 1818 intagliò l’altare maggiore,
che fu dipinto e dorato tre anni dopo dal suo concittadino
Vincenzo Zaffino (17).
I fratelli Salerno eseguirono nel 1855 l’intaglio di due
confessionali di legno per il santuario della Madonna della
Montagna di Polsi, eretto nel territorio di San Luca in una
amena valle dell’Aspromonte (18).
Opera di marmo di bottega serrese è l’altare maggiore della
chiesa parrocchiale di Màmmola, scolpito nel 1834 da Salvatore
Pisano.
Marmorari serresi erano Vincenzo Drago e Luigi Vadalà, che nel
1854 eseguirono l’altare di San Francesco di Paola nella
chiesa matrice di Santa Caterina Ionio, e Michele Barillari
autore nel 1852 dell’altare della cappella di Sant’Agazio
nella chiesa cattedrale di Squillace.
Nella chiesa parrocchiale di Santa Barbara di Dàvoli gli
altari marmorei della titolare e della Madonna del Rosario
furono scolpiti entrambi da artisti serresi, il primo nel 1759
da mastro Giuseppe Pisani e l’altro nel 1782 dai mastri
Antonio, Giuseppe e Vincenzo Pisani.
Nella prima metà dell’Ottocento in Dasà iniziò la propria
attività artistica la famiglia Corrado. Il primo ad operare fu
Nicola, del quale sono note la statua di Santa Maria di
Pajeradi venerata nella sua chiesetta presso Stefanàconi (19),
firmata e datata 1839, e l’Assunta del 1844 nell’omonima
collegiata di Cròpani. Senz’altro sono da attribuire allo
stesso il San Giuseppe col Bambino della chiesa della
confraternita dell’Immacolata di Dasà recante sullo scannello
un’iscrizione devozionale del 1836, la Madonna di Portosalvo
che fu “scolpita a Dasà nel 1846” custodita nella chiesa
parrocchiale dell’omonima frazione di Vibo Valentia, ed il San
Michele Arcangelo della chiesa della confraternita
dell’Immacolata di Pizzo che “Corrado di Dasà” scolpì nel
1852.
L’attività artistica di Nicola fu esercitata negli stessi anni
dai cugini paterni Pasquale pittore e Gabriele scultore, e
continuata dai figli Pasquale e Gabriele anche questi
scultori. Stante la contemporaneità dei due statuari di nome
Gabriele, e di entrambi la paternità di Nicola, non è
possibile stabilire a chi di loro sono da assegnare le statue
della Madonna del Carmine (1868) e di San Francesco di Paola
(1872) della chiesa parrocchiale di Dasà, il San Giuseppe col
Bambino (187.) della chiesa parrocchiale di Fràncica (20), la
Madonna del Carmine (1858) della chiesa parrocchiale di
Rosarno, il San Pietro (1859) nella chiesa parrocchiale di
Ciano (fraz. di Gerocarne).
Il pittore Pasquale è presente nella chiesa della
confraternita dell’Immacolata di Dasà con i quadri de
L’orazione di Gesù nell’orto del 1841 e de Il trionfo
dell’Immacolata del 1866.
L’altro scultore di nome Pasquale, chiamato dai concittadini
don Pascale testazza e ricordato come devoto del dio Bacco, ha
eseguito statue per le chiese dei paesi vicini. Si conoscono
l’Annunziata (1895) nella chiesa parrocchiale di Sorianello,
l’Immacolata (1897) della chiesa della confraternita della
Grazia di Arena ed il San Nicola (1904) di Ciano.
Quando si parla o si scrive delle opere prodotte fuori dalla
regione, il riferimento corre sempre alla presenza degli
ordini religiosi, che si rivolgevano ai loro confratelli
napoletani o siciliani, e spesse volte anche romani, che
intervenivano per stipulare i contratti con gli artisti locali
per l’esecuzione dei lavori che nelle tante comunità si
volevano realizzare (21).
Ma anche gli studenti, i funzionari, i mercanti, i pellegrini,
ritornando nei propri paesi avevano modo di magnificare altari
e paramenti, quadri e statue, calici ed ostensori ammirati
nelle chiese delle località visitate o nelle quali avevano a
lungo o per breve tempo soggiornato.
Inoltre, non solo all’ombra di quei cantieri continuamente
aperti ch’erano i grandi complessi conventuali, ma in tanti
luoghi dove proficuamente avevano svolto attività alcuni
artisti impiantavano botteghe gestite da collaboratori che
avevano il compito di recarsi presso i committenti per
verificarne le richieste e stipulare i contratti che i
principali ratificavano con altro istrumento entro un termine
stabilito.
In questi laboratori-agenzie effettuavano l’apprendistato i
tanti giovani locali, che illustrarono la loro ed attualmente
nostra terra in ogni epoca della sua travagliata storia.
Le segnalazioni riportate in questa ricerca sono state
reperite in contratti notari-li, in scritture di archivi
ecclesiastici, in saggi di storia locale, in guide regionali,
in studi monografici, nelle visite ad alcune chiese.
ARENA
Sono attribuite allo scalpello del napoletano Gennaro Franzese
le statue lignee del Cristo Risorto e di San Michele
Arcangelo, custodite nella chiesa matrice (22). Queste furono
donate alla confraternita di San Michele dall’arciprete
Giovandomenico Gullà col testamento del 17 giugno 1764. Il
sacerdote non ne indicò la provenienza, ma dichiarò di averle
pagate una 120,00 e l’altra 80,00 ducati (23).
Lo scultore Gennaro Franzese è documentato attivo a Napoli nel
quarantennio dal 1718 al 1757 (24).
DASA’
Il napoletano Giuseppe Maresca, documentato attivo in quella
città tra il 1645 ed il 1665, è l’autore del Crocefisso ligneo
che nel 1981 fu rimosso dalla cappella laterale per essere
collocato sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale dei
santi Nicola e Michele. Scolpito nel 1655 e costato 31,00
ducati, fu esposto la prima volta alla venerazione dei fedeli
il Giovedì Santo, quell’anno il 25 del mese di marzo (25).
DINAMI
Per pagare in Napoli il prezzo della statua di San Rocco il
sig. Carlo Gallucci il 19 giugno 1757 contrasse un debito di
30,00 ducati all’interesse dell’8 % accen-dendo l’ipoteca su
un fondo di quindici tomolate con vigna, olivi, gelsi bianchi
e neri, ed altri alberi fruttiferi (26).
FILOGASO
Nella chiesa del villaggio di Panaja, ora rione di Filogàso,
si conservano le statue lignee di San Vito e di Santa Rosalìa,
entrambe di artisti napoletani.
L’arrivo della prima, scolpita da Giacomo Colombo per il
compenso di 60,00 ducati, fu festeggiato il 26 dicembre 1719
con una spesa di 7,00 ducati. Oltre al denaro, l’artefice ebbe
in regalo mezzo cantaro (= 44,550 Kg) di fichi secchi del
valore di 2,50 ducati (27).
La statua di Santa Rosalìa del 1734 è opera di Carmine
Lantricine, che aveva la bottega nel Largo del Castello al
Pontone della Guardiola del Regio Palazzo Vecchio. Il prezzo
di 52,00 ducati fu pagato in tre rate (28).
FRANCAVILA ANGITOLA
La statua lignea del protettore San Foca martire fu
commissionata ad un artista romano l’anno 1663 dal padre
Simpliciano Cilurso del convento agostiniano di Santa Maria
della Croce eretto tra Francavilla e Castelmonardo (ora
Filadelfia). Scolpita a figura intera, non è noto quando gli
fu data la forma che già aveva alla fine del XIX secolo (29).
Il simulacro era conservato nel citato convento, e veniva
concesso ogni anno dal padre superiore al sindaco per la
celebrazione della festa con l’obbligo di restituirlo il
giorno seguente. L’anno 1685 fu definitivamente donato alla
comunità francavillese.
MILETO
Opera di un non nominato scultore romano è la statua lignea di
San Rocco della chiesa parrocchiale della Badia della
Santissima Trinità, commissionata nel 1744 dal canonico
Pierdomenico Scoppa, poi vescovo di Gerace, in ringraziamento
per lo scampato pericolo della peste che l’anno prima aveva
afflitto la vicina Sicilia (30).
PARADISONI di Briàtico
La statua lignea del patrono San Pietro apostolo è firmata da
un certo Domenico De Lavielio e datata 1708. Il cognome non
può che essere di un artista napole-tano.
PIZZONI
Nella nicchia dell’altare maggiore della chiesa della (ora
estinta) confraternita di Santa Maria della Grazia è custodita
la statua lignea della Madonna col Bambi-no dello stesso
titolo. Sulla faccia anteriore dello scannello si legge che
quella fu eseguita a preclaro artifice Mancinio neapolitano
nel XVIII secolo. L’artista è senza dubbio Tommaso Mancini, lo
stesso che negli anni 1754-‘55 intagliò il coro ligneo della
chiesa del convento della vicina Soriano (31).
SANT’ONOFRIO
La committenza napoletana è documentata dal 1770 al 1907,
anche se solo del-le due opere più recenti sono stati
trasmessi i nomi degli artisti (32).
La prima statua lignea fu quella del patrono Sant’Onofrio
eremita, del 1770, restaurata nel 1845 ed andata perduta a
causa del terremoto dell’8 settembre 1905. L’attuale è opera
della ditta Calderozzo, e fu benedetta il 27 agosto 1907.
La statua di San Gaetano da Tiene fu fatta a spese
dell’arciprete Gaetano Perri-ni (1742-1783), che la benedisse
il 2 aprile 1777.
Si raccolsero con una questua i 70,00 ducati pagati nel 1822
per l’acquisto della statua di San Rocco, a cura
dell’arciprete Agostino Greco (1818-1825).
La devozione di Vincenzo Denaro nel 1884 dotò la comunità
santonofrese della statua dell’Addolorata.
L’arciprete Pasquale Marcello (1894-1954) il 30 novembre 1902
benedisse la statua dell’Immacolata, opera di Raffaele Della
Campa.
SORIANO CALABRO
I padri domenicani il 21 maggio 1754 stipularono il contratto
con il Sigr Tomaso Mancini, M(aest)ro Intagliatore della Città
di Napoli per l’esecuzione del coro ligneo della chiesa del
loro convento, da consegnare entro un anno dalla data dell’istrumento.
Il pattuito prezzo di 570,00 ducati, dopo i 70,00 versati in
contanti, sarebbe stato versato a 25,00 ducati ogni mese con
l’impegno del saldo al termine del lavoro (33).
Per i lavori di marmo prestò la propria opera il perugino o
romano Giuseppe Scaglia, che il 28 maggio 1709 fu saldato del
credito per l’esecuzione dei sette pi-lastri grandi della
chiesa commissionatigli il 26 luglio 1694. Lo scultore morì a
Soriano il 22 febbraio 1718, e fu sepolto nella fossa della
confraternita di Gesù e Maria Santissima del Rosario eretta
nella chiesa del convento, ed ancora attiva (34).
La cappella del Santissimo Rosario fu eseguita negli anni
1767-’68 dai mar-morari napoletani Raimondo Varvella, Giovanni
Martino e Francesco Scalabrini, con i quali i padri pattuirono
il prezzo di 1.100,00 ducati. Il danaro veniva versato
settimana per settimana, e mese per mese dal procuratore del
convento. Si apprende dall’istrumento del 9 novembre 1768 che
in allustrare i marmi aveva lavorato mastro Sabato Trotta, che
percepiva 0,27.6 ducati al giorno (35).
TROPEA
Il maestro intagliator lapidum Francesco da Milano il 13
aprile 1489 s’obbligò con due gentiluomini di Tropea, Barnaba
Caputo e Ferdinando Bongiovanni, di scolpire un sepolcro di
marmo con due figure giacenti per una chiesa di quella città
(36). Non è dato sapere a quale famiglia appartenesse il
sepolcro, e neanche se ne sia scampato qualche pezzo alle
tante distruzioni.
VIBO VALENTIA
Scolpita nel 1897 da F. Gangi e R(affaele) Della Campa di
Napoli, si venera nella chiesa arcipretale la statua della
Madonna della Grazia, offerta a devozione di mons. Francesco
Franco e con l’obolo dei fedeli. Seduta sopra una nuvola, la
Madonna tiene il Bambino in braccio in mezzo a tre angioletti
e cinque serafini.
GEROCARNE
L’anno 1925, nel soffitto della restaurata chiesa parrocchiale
di Santa Maria de Latinis, edificio a tre navate iniziato alla
fine del ‘700 e portato a termine nel 1815, il messinese
Cosimo Sampietro rappresentò in un trittico l’epopea
dell’Assunzione della Madonna al cielo.
Il pittore dipinse anche cinque quadri ad olio su tela, che
ornano il presbitero. L’immagine della Madonna col Bambino è
collocata sopra l’altare maggiore, ed ai lati stanno le figure
di San Rocco, di San Sebastiano, della Cena, e di Mosè nel
deserto. L’artista ricevette complessivamente 14.000,00 lire
di compenso (37).
MILETO
In fondo alla navata laterale a destra di chi entra nella
chiesa cattedrale è posta la statua marmorea del vescovo San
Nicola protettore della diocesi. Sulla faccia anteriore della
base quadrata si legge l’anno 1549 ed il nome del vescovo
Quinzio De Rusticis committente (38), del quale è anche
scolpito lo stemma. Si è da alcuni storici assegnata allo
scalpello dello scultore Francesco Rustici fiorentino, e sono
note autorevoli attribuzioni a cinquecenteschi statuari romani
o napoletani (39).
MONTEROSSO CALABRO
L’organaro napoletano Filippo Basile il 6 aprile 1719
s’obbligò con Antonio Lombardo e Domenico Chirico, procuratori
della cappella del Santissimo Sacra-mento il primo e della
chiesa di Santa Maria del Soccorso l’altro, di fornire due
organi per il compenso di 295,00 ducati. La clausola che gli
organi dovevano es-sere della medesima qualità, e grandezza di
quelli ha fatto nella Madre Chiesa di Panaija, e nella Chiesa
di S(an)to Nicola di detta Terra di Panaija (ora rione di
Filogàso) mostra che in precedenza l’organaro aveva ricevuto
commesse dalle citate chiese (40).
PIZZO
In un fascicolo del fondo Esiti comunali conservato presso
l’Archivio di Stato di Catanzaro è contenuta la documentazione
per la costruzione di un’artistica fontana nella piazza della
città, allo Spuntone vicino al non più esistente monumento
eretto in onore del re Ferdinando I di Borbone (41). Sulla
facciata posteriore del degno redatto dall’architetto Pietro
Frangipane (42) si legge la data del 14 agosto 1824. Ma dopo
poco più di un anno al progetto si è voluto apportare una
modifica, e di quella il disegno è andato disperso.
Le fasi della costruzione della fontana furono contrassegnate
da contrattempi di ogni genere. Valgano per tutti i cambi
degli appaltatori, col terzo dei quali il contratto fu
stipulato nel 1836. E tutto concorre a pensare che anche
quella monumentale fontana sia da collocarsi fra le tante
opere mai portate a compimento !
n o t e
.1) Si cita il quadro ad olio su tela dell’Immacolata con San
Nicola vescovo, nella chiesa
della confraternita dell’Immacolata di Dasà, che fino al 1860
fu adibito per velo della
nicchia l’altare maggiore.
.2) AS VV, not. G. B. Lombardo, istr. 10/10/1661; A. TRIPODI,
Opere di artisti siciliani
per le chiese calabresi : diocesi di Mileto e di Tropea (secc.
XVI-XVIII), in Messina e la
Calabria (Atti del I colloquio calabro-siculo, Reggio
Calabria-Messina, 21-23/11/1986),
Messina 1988, pp. 39-40; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra
Cinquecento e Ottocento,
Messina 1994, p. 262.
.3) SAS Lc, not. L. Pisani, ob. 03/12/1775 e 17/11/1776.
.4) AS VV, not. G. B. Cimino, ob. 06/01/1759.
.5) AS VV, not. F. A. Ferrari, ob. 17/01/1771; not. G.
Ruggiero, ob. 01/08/1771.
.6) AS VV, not. B. Vinci, istr. 07/02/1818.
.7) A cfr Rosario di Dasà, Registro delle deliberazioni.
.8) AS VV, not. V. Bruni, istr. 30/10/1860.
.9) AS VV. not. V. Bruni, istr. 24/05/1862.
10)
10) AS CZ, fondo Intendenza, fasc. 212 A/13.
11) SAS LT, not. F. G. Palmarelli, istr. 10/01/1847; F.
ACCETTA, Francavilla Angitola, Vi-bo Valentia 1999, pp.
134-135.
12) O. BRINDISI, Famiglia Scrivo : Una tradizione che
continua, Vibo Valentia 1988, pp. 7 e 15.
13) T. CERAVOLO - S. LUCIANI - D. PISANI, Serra San Bruno e la
Certosa, Vibo Valen-tia 1997, pp. 67, 99, 102, 112.
14) AS VV, not. B. Vinci, ob. 19/02/1799; A. TRIPODI,
Spigolature documentarie per la storia del Serrese, in
“Rogerius” IV (2001), n. 2, pp 136-137, ora alla p. di questo
vo-lume.
15) AS VV, not. F. Dafinà, istr. 03/11/1823; A. TRIPODI,
Notizie per la storia dell’arte e dell’artigianato in Calabria
(II), in “Brutium” LXVI (1987), n. 3, pp. 5-6; ora in A.
TRIPODI, In Calabria …, p. 275.
16) Le notizie sono riportate in un’iscrizione ai lati
dell’altare.
17) Polsi è frazione di San Luca (RC).
18) A. ARCELLA, Appunti su Stefanàconi, Vibo Valentia 1985, p.
107.
19) L’ultima cifra della data è coperta da una maldestra
pennellata impressa da un restauratore per nulla rispettoso
delle memorie artistiche.
21) A. TRIPODI, Stuccatori, pipernieri, marmorari,
intagliatori nel real convento di San
Domenico in Soriano (I) e (II), in “Brutium” LXIII (1984), n.
3 e n. 4, pp. 2-5 e 21-24; ora in A. TRIPODI, In Calabria …,
pp. 313-324.
22) G. B. MARZANO, Scritti, vol. 4°, Vibo Valentia Marina
1942, p. 211. L’autore erra nell’indicare il Franzese nativo
di Lucca.
23) AS VV, not. G. D. Francese, test. 17/06/1764.
24) N. PICE, Una confraternita popolare nel XVIII secolo : San
Michele Arcangelo, in Cul-tura e società in Puglia e Bitonto
nel sec. XVIII, Bitonto 1994, pp. 258/61 e 270; T. FIT-TIPALDI,
Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, p. 63.
25) ASD M, Libro dove stanno notate l’entrate della Cappella
dell’Anime del Purgatorio di Dasà, ff. 52/52v; A. TRIPODI, Un
Crocefisso del ‘600 nella chiesa parrocchiale di Dasà, in
“Brutium” LXII (1983), n. 4, pp. 6-7; ora in A. TRIPODI, In
Calabria … , pp. 265-270.
26) ASD M, fondo confraternite, cartella Dinàmi.
27) ASD M, Libro dell’universal Cappella di Santo Vito della
terra di Panaja, ff. 11-14; B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori,
scultori, ed architetti napoletani, Napoli 1742 rist. a-nast.
Bologna 19.., vol. 2°, p. 391; G. A. GALANTE, Guida sacra
della città di Napoli, Napoli 1872 rist. anast. s. l. e d.,
pp. 47e 331. Nelle chiese di Santa Caterina a Formiello e
dell’Ospedaletto in Napoli si conservano statue marmoree
eseguite da Giacomo Colombo, alcune su disegni del pittore
Francesco Solimena (1647-1747) del quale era compatre. Se non
erano due omonimi contemporanei, il Colombo era scultore del
marmo e del legno.
28) ASD M, Libro magistrale della venerabile Cappella di Santa
Rosalìa di Panaja, ff. 6-7, e copia dell’obbligo del notaio D.
Empoli di Napoli del 18/09/1734.
29) O. SIMONETTI, Cenno biografico sovra l’Antiocheno Martire
S. Foca, protettore della città di Francavilla in Calabria
Ultra 2, Monteleone 1882, p. 27, nota n. 1.
30) D. TACCONE-GALLUCCI, Monografia della città e diocesi di
Mileto, Modena 1882 rist. anast. Bologna 1984, pp. 112-113.
31) vedere la nota n. 33.
32) P. MARCELLO, Sant’Onofrio, Catanzaro 1991, pp. 54-55; ASD
M, Visite pastorali 1854, vol. 16°, f. 367.
33) AS VV, not. P. Corrado, istr. 21/05/1754; A. TRIPODI,
Stuccatori, …(I), pp. 2-3; ora in A. TRIPODI, In Calabria …,
pp. 314-315.
34) AS VV, not. A. Denardo, istr. 28/05/1709; A. TRIPODI,
Stuccatori, …(I), p. 2, ora in A. TRPODI, In Calabria …, pp.
313-314; AP Soriano, Liber defunctorum.
35) AS VV, not. D. Loiacono, istr. 09/11/1768, 19/09/1769 e
21/09/1769; A. TRIPODI, Stuc-catori …(I), pp. 3-4; ora in A.
TRIPODI, In Calabria …, pp. 315-316.
36) G. FILANGIERI, Documenti per la storia le arti e le
industrie delle Provincie Napoletane, Napoli 1884, vol. 1°, p.
XXII e vol. 4°, p. 103.
37) C. VARRIALE, Hierocarne, Vibo Valentia 1987, p. 30.
38) V. F. LUZZI, I vescovi di Mileto, Sciconi di Briàtico
1989, p. 169. Il romano Quinzio De Rusticis fu vescovo di
Mileto dal 1523 al 1566.
39) A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario degli oggetti d’arte
d’Italia, vol. 2°, Roma 1933, p. 39.
40) AS VV, not. N. A. Lombardo, istr. 06/04/1719.
41) AS CZ, fondo Esiti comunali, b. 84, fasc. 4206; AS VV, not.
V. Casuscelli, istr. 15/12/1836.
42) Nato a Monteleone (ora Vibo Valentia) il 30/10/1761,
l’architetto Pietro Frangipane era figlio dell’ingegnere-sscultore
Fabrizio e di Rosa Tavella. Morì il 29/03/1837.