Franco Di Giorgi
(estratto) Lettera da Mauthausen
28 gennaio 2016
1. "Doyna" (musica klezmer) - MATILDE OLLEARO (violino)
1. - Ed eccomi qua finalmente, mia piccola amica. Eccomi nella terra della lamentazione indicibile e del silenzio sacro, nel luogo in cui avrei potuto accompagnarti qualche anno fa se una tua vaga indisponibilità non l'avesse impedito. Forse ora - chi lo può sapere? - quel seme della sventura che da tempo purtroppo covava già dentro di te, nel cuore tenero e cupo, nell'anima inquieta, malinconica e smarrita, - povera innocente! - quel germe di tragico destino che il mondo e soprattutto gli altri, anche a te più vicini, (..) quel germoglio di inquietudine e di malessere fisico che l'indifferenza degli altri ha iniettato sprezzante anche nella tua giovane linfa, forse ora, col ricordo continuamente ridestato, impegnato ed emotivamente avvertito di quell'esperienza di gelo assoluto vissuta nel campo, quella gemma oscura come un'ombra maligna forse non avrebbe avuto modo e tempo di aprirsi e svilupparsi; non sarebbe forse cresciuta questa venefica pianta per strigi e lacerti, questo arbusto infernale dalla frugifera resina di sangue tosco, frùtice bello nella sua aspra tortuosità, simile ai filari di peri in inverno, ma dagli orribili fiori pènduli e frugìvori, dai diabolici frutti mellìflui dal succo dolce e attossicato, estaticamente bello e funesto, come il monile d'Armonia donato da Efesto; probabilmente - chi lo sa? - la visione anche solo turistica ma immedesimata dei luoghi dell'indigenza e della sofferenza vera avrebbe purificato la tua inerme coscienza infelice, avrebbe emendato il vigoroso intelletto dalle fallaci tentazioni, avrebbe dissolto le piccole nubi che minacciose andavano già addensandosi sul giovane petto ansimante. Oppure, nella semplice e autentica, costitutiva e ontologica sofferenza umana, vale a dire non artificiale, non avventiziamente procurata, respirata, introdotta o iniettata dall'esterno, né volontariamente o violentemente inferta all'esterno medesimo, (..) in un'angoscia che non è soprattutto da intendere e da volere arbitrariamente come un fine e neppure come un mezzo superato il quale ci si sente più forti e più sicuri - giacché essa è semplicemente un dono inintelligibile perché inintenzionale, un dato naturale, e tu dovresti ben sapere che è solo da un simile sentimento schietto e transumano, vale a dire ad un tempo personale e ultraumano del perdono, del vero condonare, del perdere spontaneo e necessariamente consuntivo, del dare o del cedere durante o nel frattempo, e non da un'astinenza artificiale, che può maturare un frutto buono, perché, semplicemente, sempre e solo un cotale presente angoscioso rende la forza necessaria per insistere e credere in sé, per sopravvivere in questa ex-sistenza in ogni momento scritta e dettata dal Caso (..).
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Estratto Lettera da Mauthausen
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