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Inserito il - 31 marzo 2009 : 20:46:47  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Admin Invia a Admin un Messaggio Privato Aggiungi Admin alla lista amici
Prima di cominciare a scrivere qualche pensiero su tre questioni che ritengo essenziali vorrei scrivere due cose. La prima: ringrazio tutti coloro che sono “passati” di qua per esporre problematiche e richieste inerenti il “sussidio di disoccupazione”. L’intento, il mio, era quello di fornire una informazione: l’esistenza ed i termini di scadenza (con appositi moduli relativi alla richiesta) del sussidio di disoccupazione. Avete formulato numerose domande, ed ho cercato, nel bene e nel male, di leggerle, e rispondere, quantunque non fosse il mio “lavoro”. Volevo parlare e far parlare di storie di fabbrica, cassaintegrati, politica, e dare voce a quei soggetti. Si sono così affiancate “storie marginali” e poco conosciute ad altre storie, quelle operaie, poco di moda in questo particolare momento; forse perché molti hanno creduto “che la condizione operaia non esiste più” (consiglio loro di andare a leggere il bel libro “Operai” di Carmen Santoro, Nutrimenti, pag. 95, euro 10). Colgo ancora l’occasione per ripetere a tutti coloro che hanno scritto e posto quesiti (tantissimi), di recarsi presso un patronato Inca Cgil: a nessuno sarà imposto di sottoscrivere la tessera e tutti riceveranno ascolto. Mi dispiace che molti abbiano aspettato un po’ di tempo prima di ricevere anche una piccola risposta; allo stesso tempo, mi dispiace anche che molti abbiano fatto perdere del tempo: persone inesistenti che ponevano domande con “indirizzi mail inventati”. Io non sono un professionista della politica, né tanto meno un lavoratore del patronato, quindi…
La seconda cosa è che ringrazio alcuni commentatori di questo Blog, Barbara, Daniele S., ……che rispondono e commentano in maniera molto educata e puntuale, oltre che denotare una correttezza linguistica e conoscenza di ciò che affermano; il ringraziamento nei loro confronti diviene ancor più grande quando le loro risposte sono dirette a qualcuno che ha difficoltà ad incanalare la propria rabbia e “strafora”. Tutti viviamo la stessa condizione, nella identica crisi: che non abbiamo generato noi e che non vogliamo pagare. La “rabbia” deve essere sempre incanalata e in voi vedo anche una mediazione “del conflitto”: grazie. Un conflitto che fino ad una ventina, venticinque anni fa, era, normalmente, di tipo “verticale”: era cioè la contrapposizione capitale- lavoro. Ora, i conflitti, sono divenuti sempre più di tipo orizzontale: colleghi di lavoro contro colleghi di lavoro, operai contro operai, contratti a tempo indeterminato accusati da quelli a tempo determinato di avere garanzie, di pensare al proprio tornaconto; pensionati “fortunati” contro giovani, “sfortunati”, italiani lavoratori, contro polacchi o romeni (magari vicini di casa, e benestanti, vero? A chi commenta superficialmente). In ogni caso, figure dietro le quali sussistono persone, in carne ed ossa: né redditieri, né padroni, né percettori di rendite. Anche nelle scuole, dove di norma si incontra un altro tipo di produzione, quella cioè del sapere, la “produzione culturale” si perpetuano questi contrasti: collaboratori scolastici contro collaboratori scolastici: uno che viaggia col mansionario sotto braccio, l’altro, a cui si chiede e si dice che “la scuola è cambiata”, “la scuola non è più come venti anni fa”, lavoratori che riscuotono lo stesso stipendio, solo che spesso “entrano in conflitto orizzontale”, perché ad uno pare di lavorare di più dell’altro. Il punto qual è? Che la scuola, a detta di molti, è cambiata ma gli stipendi, i salari no! Sono quelli di quando i “bidelli” erano il doppio di ora, e forse tutti “viaggiavano con il mansionario”. E quanti conflitti sorgono e rimangono allo stato latente? Però, quando si proclama uno sciopero, per rivendicare un aumento salariale, quanti partecipano? O, forse ci si preoccupa più dei trentacinque euro che si perdono? Ed ecco che quei conflitti si riproducono, perché non mediati, non risolti e vengono, e prendo a prestito un termine che mi servirà successivamente, “reiterati”. E giocoforza fanno alcuni di quelli che “contano”: i “bidelli” sono troppi, inutili e costano. Il problema non va risolto: va abolito. Qualcuno propone di “licenziarli” e di istituire le cooperative: in un colpo solo si risparmia sul personale e sulla “carta” per il mansionario. Parliamo sempre della scuola? Parliamo. Quanti di quei collaboratori scolastici “cadono nel trucchetto” del “conflitto orizzontale” e puntano il dito, contro “l’insegnante di sostegno” che “ruba la sedia e la cattedra” insieme al ragazzo, che viene “sradicato dalla sua classe” per poter svolgere un compito in classe? E la colpa è dell’insegnante di sostegno? Veniamo “inglobati” in questa logica, e magari, quell’insegnante di sostegno verrà accusato due volte: la prima perché ha escogitato il furto della sedia e della cattedra, al collaboratore scolastico, la seconda perché non è riuscito a “ricevere una cattedra”, tutta sua, in classe, magari perché non ha ancora l’idoneità, o manca qualche titolo. E il problema come andrebbe risolto? Chiedere che la scuola si adoperi per LE CLASSI, spazi, sedie e cattedre per i ragazzi diversamente abili e insegnanti di sostegno. E verso chi bisogna dirigere queste richieste? Verso il dirigente! Parliamo dei tecnici? Magari, Daniele, se vorrà, dato che ho capito essere tecnico, potrà dire la sua. Collaborare sempre e soltanto a senso unico? Ma dico, rispondendo a quanti mi dicono, “parla di amore”, vedrai quante visite sul blog. Ma a me non interessano le visite! E se voglio parlare d’amore, lo faccio con la massima delicatezza e riservatezza, e certamente non sul blog. Questa analisi, o critica, o riflessione, invece riguarda le circostanze che ci stanno intorno e che ci stanno modificando e noi, contribuiamo a modificare la società stessa. Passiamo “dall’impegno all’impegno”! e qualcosa cambierà. Ma tutto il circostante è politica e devo osservarlo attentamente. Ad esempio: se la Stampa del 25 marzo mi scrive:”Scuola, saltano 40 mila docenti”, e poi 37.000 i prof. che non rientreranno nelle scuole; 15.000 gli amministrativi”, oppure, la Repubblica, stesso giorno, “Scuola, arrivano i tagli del governo” posso non interessarmi? Posso non aderire ad uno sciopero se proclamato? Posso non rispondere ad un dirigente che magari “liquida le controversie del più basso gradino dei suoi lavoratori” dicendo, tanto dall’anno prossimo ci saranno meno controversie fra di loro perché “saranno tagliati posti di lavoro”? Posso permettere in tal modo “un’esaltazione dell’esternalizzazione” come risoluzione di un mio e non di un suo problema? Devo provare, mettere da parte il “probabile conflitto” orizzontale e “illustrare, raccontare, far prendere coscienza che il “probabile più grande licenziamento” che la storia della nostra Repubblica abbia mai conosciuto” è alle porte: quello nella e della scuola. (dato che ho parlato della scuola, e a me piace leggere, vi consiglio un libro, davvero interessante:”Beata ignoranza”, di Cosimo Argentina, Fandango, pag. 104, 8 euro).
A questa narrazione, simile, ne aggiungo un’altra: i lavoratori del tessile di Prato, i lavoratori metalmeccanici (ad esempio quelli Francesi); bene, con chi si alleano, ora, questi soggetti? Si alleano con il “vecchio” padrone; contro chi? Contro un “altro blocco sociale”. Dobbiamo cercare una risposta “da sinistra” e cercare di instaurare “un sindacato europeo”, perché ora è presente soltanto il vuoto, un vuoto che qualcuno vuole riempire. Come? Lasciando libero sfogo alla competitività “sfrenata”. Un vuoto che genera conflitto, che genera alleanze che non sono più come una volta, cioè lavoratori uniti ai lavoratori contro un “antagonista ben identificato”, ma lavoratori di uno stesso paese con “padrone” dello stesso paese. Il vuoto genera anche paura (basta leggere un commento il vicino, appena arrivato è ricco, io no). Situazioni che generano vuoti, paura e nuove alleanze in un’Europa dove solo sulla carta si hanno pari dignità e stesse azioni,mentre poi, si scopre che uno stato paga un’azienda che licenzia i suoi operai per trasferire la produzione in un altro paese (dopo aver magari preso anche i soldi per le agevolazioni per il sostegno pubblico all’industria degli elettrodomestici). Un domanda: ma perché non eravamo in diecimila al convegno di Rifondazione Comunista, sabato, sulle delocalizzazioni, in una fabbrica, magari dimessa, così anzicché riempire il blog di commenti contro “noi stessi” avremmo capito di più sul periodo e “sulla guerra tra poveri”? E invece, dovremmo, e qui arrivo alla seconda considerazione, “lottare” quando è ora, presidiare, presenziare, informare: perché se riporto l’affermazione “Salari fermi dal 1993”, nessuno chiede: ma dove sono finiti allora i nostri soldi? Li avrà il romeno vicino di casa del commentatore? Quanto abbiamo perso? O per caso siamo finiti anche noi nella spirale del “miraggio logo” a tutti i costi anche quando apparteniamo ad una classe che non può permetterselo? O, che è lecito che lo abbia, ma ancor più se nelle nostre tasche avremmo ancora i nostri soldi. “Dal 1995 al 2006 i profitti netti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti il 75%” (Liberazione: sabato 28 marzo, 2009). Continuiamo? Magari era sabato, a qualcuno “piace dormire”, o “è sabato anche per lui”; continuo: “i soldi della produttività sono finiti in tasca allo Stato, le cui casse hanno così potuto beneficiare di un introito pari a 112 miliardi di euro, tra maggiore pressione fiscale e fiscal drag. Tutto ciò a spese dei lavoratori dipendenti, ai quali il fisco ha sottratto dal 1993 a oggi la bellezza di 6.738 euro per lavoratore, visto che le retribuzioni nette sono cresciute 3,5 punti in meno (4,2% in meno per il lavoratore senza carichi famigliari) delle retribuzioni di fatto lorde. E chi ci “spinge”, o meglio “esorta” a spendere, ha idea della composizione dei lavoratori? Bene, sempre Liberazione riporta che in base alle dichiarazioni dei redditi presso i Caf Cgil, si ha che: 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese. 6,9 milioni meno di mille: dei 6,9 milioni, il 60% è donna. 7,5 milioni di pensionati prendono meno di mille euro al mese. (e fra questi, sappiamo come “sono spalmati”). Il reddito famigliare fra il 2000-2008 registra una perdita di circa 1599 euro nelle famiglie di operai. Infine ricordo come più volte il Segretario di Rifondazione Comunista ha ricordato che “dal 1984 ad oggi ben 10 punti percentuali di Pil siano passati dai salari e dalle pensioni verso i profitti e le rendite: più di 150 miliardi di euro all’anno”. Posso avere un aspetto “più divertente” della società in cui mi trovo a vivere? Posso tacere e parlare magari dei 60 di topolino, e dire, “compriamo topolino, oggi”, magari ci faremo tutti un bagno nel deposito “dello zio Paperone”. Oppure, devo chiedermi qualcosa: se da giugno ci sarà, come ormai si dice, “il più grande licenziamento” (quello della scuola), 500 mila posti in meno, tra il 2009 ed il 2010, che il Pil precipita, posso cercare di conservare qualcosa dai quei 950 euro che percepisco? Io e tanti come me, che non avremo nessun ammortizzatore sociale. Invece dovrei pensare che mentre “nuoto nel deposito dello zio Paperone, il Pil scende, ed il Pia (prodotto interno dell’amore) sale”; ma non è così che ci si arriva alla meta, e la tradizione del movimento operaio lo insegna. Si, cari amici che mi avete indicato il metodo per raggiungere “i più alti contatti di questo blog”; il metodo non è quello di instillare sogni; abbiamo già chi continuamente racconta grandi sogni, “asfalta le strade” , “costruisce le Milano 2, Milano 3, ed ora vorrebbe (ma vorrei sapere con chi) costruire le tantissime Town, che fa tanto cool, che “conduce treni” e come hobby preferito magari ha quello di comprare ville. No, i sogni non conducono da nessuna parte. E’ legittimo avere aspirazioni, si, così come è legittimo che il sogno proibito di nove italiani su dieci è avere 32 mila euro l’anno (La Stampa, sabato 28 marzo 2009, Stefano Lepri), ma ora, sempre per rimanere nell’articolo, dobbiamo rimanere con i piedi per terra:” da 600 mila ad un milione di disoccupati in più pronostica la Cgil; molto più del mezzo milione temuto dalla Confindustria. Tra le tante cifre del rapporto presentato dall’Ires, il centro studi del maggiore dei sindacati spiccano quelle che in concreto spiegano la crisi: “ai livelli medi di paga, la cassa integrazione a zero ore significa dover arrivare a fine mese con 630 -760 euro, l’indennità di disoccupazione con 460 e i precari se perdono il posto non prendono niente” (dati sempre tratti da La Stampa, stesso giorno).
Ultimo appunto, il decreto sulla sicurezza. Alcuni titoli: “Sicurezza sul lavoro, ecco la controriforma” (Sara Farolfi), il Manifesto.
“Lavoro, sanzioni meno severe sulla sicurezza. Via alla riforma Sacconi”. Non abbassiamo la guardia”. Epifani: ”scelta molto grave” (Roberto Mania, la Repubblica).
“La nuova legge sulla sicurezza? Indebolisce le armi dei magistrati” (Federica Cravero), la Repubblica.
“Licenza di uccidere” (Liberazione). “Mentre nasce il Pdl, nel nome della libertà, il ministro Sacconi stravolge il testo unico per la sicurezza nei posti di lavoro. Il reato penale asciugato in un’ammenda. Esautorate le rappresentanze sindacali. Demansionamento per chi si ammala. Da oggi il lavoro è ancora più a rischio. La Confindustria applaude. Durissimi Cgil, Prc, Sd. Critico anche il Pd. La Cisl abbozza, anche su questo”.
“Infortuni sul lavoro, multe più salate ma meno arresti. Punite penalmente soltanto le violazioni gravi”. (Flavia Amabile), La Stampa.
Come si vede, riforma, controriforma, reteirare, plurimo, sanzioni, ammende. Il tutto però incorniciato da alcuni dati che scriverò mentre c’è tuttora un processo in corso, quello della Thyssen, ed uno che sta per cominciare, quello dell’Eternit.
Ogni giorno in Italia ci sono 2.500 incidenti: 3 persone perdono la vita; 27 invalidi in modo permanente; dall’inizio dell’anno: 100 morti; l’età media di chi perde la vita: 37 anni; i settori più colpiti: edilizia, metalmeccanica, trasporti. Nel 2008 gli infortuni non mortali erano stati 900 mila.
Le cause: parrebbero essere “carenza di sicurezza”.
Sabato e domenica si parlava di questo decreto legislativo (tratto da un comunicato stampa), ma le cose che più impressionavano erano le seguenti: si fa riferimento agli eventi traumatici nel decreto, ma per quanto riguarda l’esposizione a sostanze nocive? “Si fa scomparire la cartella sanitaria di rischio che non dovrà più essere comunicata all’Ispesl (istituto per la prevenzione) e la relazione del medico competente delle Asl, facendo scomparire di fatto al tutela delle malattie di origine professionale”; ritorna la visita preassuntiva per verificare l’idoneità al lavoro, ad opera del medico di fiducia del datore di lavoro (si scopre così se una donna è in stato interessante) che lo statuto dei lavoratori aveva abolito. Ed il demansionamento del lavoratore? E le Rsu? E la differenza tra reiterare e plurimo? Reiterare: replicare qualcosa già fatta (reiterazione di una promessa, ad es.). Plurimo: molteplice (un tempo nel sistema elettorale, certi elettori, in base al censo, all’età, o altro potevano disporre di più voti): ma se un’azienda è dispersa in più siti? O magari sussistono subappalti? Di questo si parlava, con la speranza di avere maggiori chiarimenti, ma con la speranza soprattutto che ciascuno di noi, ricomincia a riprendere in mano le fila di un percorso, di una casa, nostra, a sinistra.

di Romano Borrelli




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