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L'utopia liberale si è rotta - venerdì 25 marzo 2005 at 11:49

Ma i riformisti del centrosinistra hanno capito che il capitalismo liberista ha cambiato di spalla al fucile?

Con l'accordo che flessibilizza il patto di stabilità, va in soffitta in Europa il rigore monetarista di Maastricht. Esso ha fallito nel suo principale obiettivo: quello di garantire lo sviluppo. Così va in crisi anche l'utopia liberale secondo la quale l'estensione del mercato emancipa l'economia dalla politica, una sorta di via capitalistica all'estinzione dello Stato.

Oggi il mondo vive un vero e proprio boom economico. Il pil complessivo del nostro pianeta cresce a ritmi superiori al 4,5%. Ma come sappiamo questa è una media del pollo. Da un lato crescono di molto, Cina in testa, i paesi che hanno deciso di praticare un capitalismo molto disinvolto sulle cosiddette regole di mercato. Dall'altro stagna totalmente l'economia dell'Europa. Di quel continente ove si è tentato con più rigore di applicare metodi e principi del fondo monetario internazionale e del liberismo fondamentalista. Dagli Stati Uniti alla Cina, tutti i paesi che crescono, magari al prezzo di gravissime ingiustizie, lo fanno infischiandosene delle sacre regole della moneta, della spesa pubblica, del rapporto tra Stato ed economia. L'Europa va male perché a queste regole ha creduto troppo a lungo.

Ora a partire da Francia e Germania le cose cambiano. Gli stati tornano a fare il loro mestiere, a governare i processi economici e l'accordo per flessibilizzare Maastricht registra questa nuova situazione.

Tutto questo però non può certo farci gioire.

Innanzitutto perché l'Italia in questo ritorno in campo delle politiche economiche degli Stati, è il vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro. La crisi industriale del nostro paese viene da lontano, ma sta precipitando ora per la debolezza e per l'inefficienza della classe imprenditoriale, e nell'assenza di una politica industriale pubblica. Ora sono le banche a subire gli assalti delle multinazionali. E il governatore della Banca d'Italia, che non ha mosso un dito di fronte allo smantellamento dell'autonomia industriale del paese, ora scopre i rischi di diventare un supermercato per le multinazionali. Lo fa da un punto di vista ristretto e miope, cercando aiuti a destra e a manca, ma senza rivedere quelle coordinate di politica economica che hanno prodotto il disastro economico ed industriale del paese. Purtroppo la parte moderata del centrosinistra non vede in questa crisi un'occasione per una revisione radicale nelle politiche economiche. Divisa tra l'Unipol e Monte dei Paschi, la sinistra riformista pare incapace di comprendere cosa sta avvenendo e ripropone vuoti e slogan sul mercato. Chiedendo reciprocità alle multinazionali. Suscitando così l'ilarità delle grandi sedi di potere finanziarie o mondiali, che sono lì ad attendere l'invasione degli italiani.

Ma c'è una ragione ancor più profonda per contrastare quanto accade. Il capitalismo liberista riscopre sì le politiche di intervento dello Stato nell'economia, ma non rinuncia certo alla sua spinta di fondo verso il mercato selvaggio. Solo che la trasferisce nel sistema delle relazioni sociali. E' lì, sul salario, sulle pensioni, sulla sanità e sui servizi, sui diritti che si scatena la nuova competizione liberista. Per questo l'Europa della Bolkenstein e del decreto sugli orari non è affatto in contraddizione con quella che mette in discussione le rigidità dei patti economici. Più Stato nell'economia, mercato selvaggio nella società, questo è il liberismo attuale.

La sinistra riformista che in questi anni si era illusa di scambiare dominio del mercato sull'economia con un po' di diritti nella società vede smentito alla radice questo scambio. Quello che sta avvenendo è esattamente il contrario di quanto auspicavano i vari esponenti delle sinistre moderate, quando dicevano, come Jospin in Francia, no alla società di mercato sì all'economia di mercato.

L'utopia liberale va in crisi di fronte alle durezze della competizione capitalistica e l'intervento pubblico nell'economia torna all'ordine del giorno, a destra come a sinistra. I neocons americani, che tanto hanno sconvolto il segretario dei Ds, sghignazzano di fronte alle regole dell'Europa di Maastricht, per essi conta l'economia dei risultati e non quella delle buone intenzioni. Il nodo del contendere a questo punto non è più se ci deve essere o no l'intervento pubblico, ma a cosa esso deve servire. Se a una politica di competizione selvaggia e di ingiustizia sociale e degrado ambientale, come pratica la destra. Oppure l'intervento pubblico deve essere la leva per costruire un nuovo modello di sviluppo più giusto verso le persone e più rispettoso verso il mondo che ci circonda. Questo è il vero terreno del conflitto oggi. Se invece dovesse ancora subire la subalternità al mercato, la sinistra rischierebbe di finire fuori mercato.

Giorgio Cremaschi
24 marzo 2005


Fonte: Liberazione online









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