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Internet è il più potente motore di sviluppo.. - lunedì 5 luglio 2004 at 17:33

"Internet è il più potente motore di sviluppo della storia"


L’INTERVISTA/MICHAEL SPENCE/ L’ECONOMISTA DI STANFORD SPIEGA GLI AVANZAMENTI NELLA TEORIA DELLA RIDUZIONE DELLE "ASIMMETRIE INFORMATIVE" GRAZIE AL WEB CHE GLI HA FRUTTATO IL NOBEL NEL 2001

EUGENIO OCCORSIO

«Internet è la più rivoluzionaria scoperta della storia economica perché permette di correggere le asimmetrie informative, il che consente agli scambi mondiali di svilupparsi enormemente». Che la Rete avesse cambiato, oltre al nostro modo di informarci, leggere, giocare, prenotare un aereo e gestire un conto in banca, anche il modo di fare affari, si cominciava ad intuire. Ma sentire Michael Spence affermarlo con tanta sicurezza fa un certo effetto. Perché Spence non è un economista qualsiasi: era professore di organizzazione industriale alla Stanford University (dopo essere stato per dieci anni fino al 1999 rettore della Business School del prestigioso ateneo), quando nel 2001 vinse il premio Nobel proprio per la sua teoria sulle asymmetric information e come queste influenzano gli affari. Attenzione alle date: il 2001 era l’anno dello scandalo Enron, e il Nobel per l’economia se lo divisero in tre, c’erano anche George Akerlof di Berkeley e Joseph Stiglitz della Columbia: l’elemento comune, a parte il fatto che tutti e tre erano legatissimi a Franco Modigliani era la ricerca, sotto tre angolazioni diverse, sulla democrazia dell’informazione.
Cosa sono esattamente queste asimmetrie?
«Le differenze di conoscenza e informazione che esistono sul mercato fra compratore e venditore. Il venditore ne sa molto più del compratore, e questo altera i meccanismi del mercato fino a ridurre la quantità degli scambi, perché il fattoresfiducia finisce con l’influenzare le trattazioni, annullandole molte e tenendo bassi i prezzi in altre. Abbiamo fatto diverse elaborazioni teoriche. La più semplice è che se un venditore di auto usate di lusso rifila un bidone a qualcuno, i prezzi che potrà praticare sulle successive auto di lusso saranno fatalmente inferiori, e dovrà abbassare quindi anche quelli sulle auto intermedie. Se il processo continua porta all’azzeramento del mercato delle auto usate. Gli esempi sono in ogni settore: le case, l’hitech, fino alle aziende dell’M&A e al mercato del lavoro dove chi assume non riesce mai a capire quanto vale il candidato. C’è da fare i conti con quest’asimmetria, e il compratore deve darsi da fare per correggerla».
Qui interviene Internet?
«E’ il maggior ribilanciamento della storia nella struttura informativa dei mercati e dell’economia. Aumenta le capacità conoscitive del compratore, e permette di acquisire le informazioni in breve tempo. Riduce i tempi delle contrattazioni, ne aumenta il numero e favorisce lo sviluppo degli scambi. Se aggiungiamo che, dalla parte aziendale, dà un contributo decisivo agli aumenti di produttività, è uno strumento di crescita dell’economia misurabile in parecchi decimi di punto di pil».
Ma è sempre avvantaggiato chi vende?
«Nella gran maggioranza dei casi sì. Fra le eccezioni, chi vende polizze assicurative sulla vita e sulla salute può essere ingannato se il cliente gli tace qualche malattia, qualche dipendenza o incidente del passato. Anche qui Internet modifica le cose. Ma sono le altre asimmetrie che muovono davvero le cifre dell’economia».
Lei però studia questi problemi da ben prima dell’avvento di Internet. Quali strumenti di valutazione aveva prima?
«Intanto si studiava la comunicazione verbale fra compratore e venditore. Poi divennero importanti, negli anni 70, gli strumenti di regolamentazione. Inserire regole chiare e precise cominciò a favorire la riduzione delle asimmetrie e così lo sviluppo degli scambi».
Però nel suo paese c’è una robusta scuola di pensiero che dice il contrario, che troppe regole deprimono l’economia…
«Rubbish, sciocchezze. Già dopo la crisi del ’29 uno degli elementi caratterizzanti del new deal rooseveltiano fu l’introduzione di regole chiare e severe, che dettero un contributo fondamentale alla ripresa dell’economia. Chi afferma il contrario dice un nonsense».
E così arriviamo all’era Internet. Che ha cambiato la nostra vita.
«Certo, pensi ai passi da gigante che ha fatto l’elearning negli ultimi cinque anni partendo da zero. Però con i miei studenti preferisco adottare un metodo misto: approfondimenti su Internet, ma il contatto diretto professoreallievo resta insostituibile, a qualsiasi livello».
Altre avvertenze, o controindicazioni?
«Sicuramente, e qui parliamo della tecnologia in senso lato, dal web ai telefonini, il fatto di essere sempre reperibili, sempre online perfino con il wifi in aeroporto, sicuramente è utile, però crea stress, disturba la concentrazione e la lettura, induce a una vita troppo frenetica».
Basta spegnerlo, il telefonino…
«Però nei fatti non lo facciamo, è una questione psicologica. Prendiamo l’email: se chi mi manda una posta non vede la risposta entro mezza giornata comincia a pensare che ci sia qualcosa che non va. Per non parlare della privacy: inserendo il mio nome su Google chiunque legge il mio telefono privato».
Venendo qui in Italia quali differenze ha riscontrato con il modo in cui la tecnologia influenza la vita quotidiana degli americani?
«In America c’è più fiducia nell’hitech, pensiamo al boom dell’ecommerce o dell’Internet banking che qui stentano a decollare. Eppure, i sistemi di sicurezza e i metodi di crittaggio sono gli stessi. Anche in America c’è stata qualche truffa online, ma le condizioni sono identiche: i siti americani sono sicuri quanto quelli italiani».
Lo sa che proprio di questa diffidenza italica si parla molto? E’ vero che, proiettata su scala industriale a livello di piccola impresa che qui da noi è il cuore del business, comporta danni economici?
«Certamente. Ne ho sentito parlare anch’io. Lo sa che eBay è piena di annunci di piccole imprese di tutto il mondo ma non italiane? Non gli si chiede di effettuare costosi investimenti, di mettere in piedi alcuna infrastruttura, solo di cogliere le potenzialità della rete».
In America però è nata la bolla speculativa…
«Diciamo che abbiamo tutti sottovalutato i tempi necessari per raggiungere certi livelli: di affidabilità del sistema, di fiducia collettiva, di qualità dei servizi. Ora lentamente stiamo recuperando il realismo, ora i servizi in rete sono fra un terzo e la metà del cammino, a partire dall’elearning di cui le facevo l‘esempio o dai servizi di egovernment. Intendo il cammino verso uno standard davvero efficiente. Prima si pensava che il cammino l’avremmo compiuto tutto entro i primi anni del duemila. Per fortuna intanto comincia ad esserci un ricambio generazionale, e i giovani sono più bravi e più veloci».
In quali settori ci sono i maggiori ritardi?
«Si è indietro nella connettività fra i diversi database, i computer, lo storage, le reti, tutto quanto fa parte del patrimonio informatico di un’azienda. E questo sia all’interno di una stessa organizzazione, che fra azienda e azienda. Secondo punto dolente: i ritardi nel broadband».
Però sembra che ci sia un’accelerazione…
«Ora finalmente sì, ma c’è ancora molto da fare. In America abbiamo il vantaggio che si può usare il cavo della cabletv ma anche lì siamo partiti in ritardo. In Italia potreste sviluppare la tecnologia satellitare. In Giappone è stato sperimentato un sistema per cui con il satellite è possibile non solo fare il download da casa dei file, ma anche l’upload, cioè il caricamento dei cotenuti da parte dei provider, da quelli telefonici ai broadcaster. E’ a loro che serve una rete a banda larga: a quel punto saranno incentivati ad affollarla di contenuti qualificati».
Da economista, come vede lo stato di salute dell’economia?
«L’America attraversa uno stato di grazia, tale da far "perdonare" a Bush l’intervento in Iraq che è sempre più impopolare, il che peraltro accade anche perché Kerry non dice cose molto diverse sulla guerra. L’unica vera minaccia è che gli aumenti dei tassi deprimano a tal punto i mercati, e quindi l’economia, da riaccendere le preoccupazioni».
Ma è vero che Greenspan è così amico di Bush che non gli farà mai un torto del genere?
«No, è abbastanza indipendente. L’economia americana è forte, e dovrebbe restarlo da qui a pochi mesi. Però non si può mai dire, basterebbe una reazione innervosita dei mercati a far saltare tutto…»

Fonte: Affari e Finanza
(5 luglio 2004)



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