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Intervista a Lidia Ravera sulla Guerra - sabato 6 dicembre 2003 at 06:39

INTERVISTA A LIDIA RAVERA - Boccheggiano 2 Agosto 2003

Boccheggiano. In occasione del 4° Festival di Teatro e Musica dal Mondo, organizzato dall’Associazione MosaicoArte in collaborazione con la Regione Toscana, il Comune di Montieri e la Comunità Montana Colline Metallifere in svolgimento a Boccheggiano (GR) nell’Alta Maremma ed incentrato, quest’anno, sul tema della guerra, Lidia Ravera, giornalista e scrittrice di fama internazionale e nota esponente negli anni ’70 del Movimento Femminista, ha tenuto il 2 Agosto scorso una conferenza pubblica contro la guerra.
In tale occasione, presenti alla manifestazione, abbiamo effettuato alla scrittrice la seguente intervista che riportiamo in ritardo ma in tutta la sua interezza.


Santoro: I mass-media succubi o complici di Bush e dei suoi alleati, nonostante le manifestazioni di protesta che si sono elevate in molte parti del mondo, ci hanno presentato l’attacco all’Iraq come una necessità per l’occidente di difendersi dal terrorismo e di liberare questo paese da un dittatore sadico e violento per restituire ai cittadini iracheni la possibilità di costruire un sistema democratico offuscato dalla lunga dittatura di Saddam Hussein.
Ma per realizzare tale obiettivo è stata scatenata una violenta aggressione militare, diffusa in diretta TV da tutte le televisioni del mondo, ad opera delle forze anglo-americane che ha coinvolto centinaia di vittime civili indifesi di tutte le età e condizioni.

Ravera: Siamo stati sottoposti ad un grande dolore: guardare la guerra in diretta attraverso il televisore. Anche se distanti le immagini che scorrevano sugli schermi non erano parte di una “finzione televisiva”, ma erano reali. Dietro gli scoppi delle bombe ed in mezzo al fumo che si sollevava dalle esplosioni vi erano vecchi, donne e bambini che tentavano disperatamente di sottrarsi ai bombardamenti e di salvare i propri cari, cercando di portarsi dietro il minimo indispensabile per la loro sopravvivenza o qualche giocattolo per tranquillizzare i bambini.
Queste immagini di disperazione rendevano patetiche e vuote le assicurazioni che Bush aveva fornito al mondo di una guerra breve e preventiva per difendere la civiltà occidentale dal terrorismo integralista e nel contempo imposta da motivi umanitari per restituire al popolo iracheno la perduta libertà e per la costruzione di uno stato democratico.
Ma quelle immagini hanno rappresentato anche una vergogna per l’occidente in quanto ci hanno ampiamente dimostrato la sperequazione delle forze in campo ed il maldestro tentativo di occultare le scene di morte sostituendoli con stomachevole scene peseudo-umanitarie evidenziate, ad esempio, nel soldato americano che si mette in posa con la borraccia nell’atto di far bere il prigioniero iracheno, ovvero, la pietà secondo George W. Bush. Un bel blocco di marmo e si potrebbe sbozzare sul posto, questo monumento alla falsa coscienza americana.

Santoro: Quali iniziative e quali strumenti il movimento per la pace ed i partiti democratici hanno messo in atto per evidenziare la vocazione pacifista del popolo italiano e la sua opposizione ad ogni forma di guerra?

Ravera: Per liberarci dal peso di dover guardare alla tortura dell’immaginazione, siamo scesi subito in piazza lo stesso giorno dell’inizio dell’aggressione: davanti a Montecitorio nel pomeriggio e davanti all’Ambasciata Americana la notte. Il giorno successivo la manifestazione si è trasferita nella città ad innalzare un muro di paglia davanti alla polizia schierata per impedire l’ingresso in Via Veneto. Sabato, poi, si sono svolte due distinte manifestazioni che hanno costretto molti di noi, loro malgrado, a dover scegliere: io ho preferito marciare con il movimento altri hanno preferito ascoltar musica a Piazza del Popolo.
Ma il punto non è questo. Il sentimento che serpeggiava nei cortei nei sit-in, nelle piazze, è un sentimento prezioso che dobbiamo conservare.
E’ la determinazione a non farsi travolgere dal senso di impotenza che aver perso la battaglia per la pace ha introdotto nelle nostre teste, nel nostro animo.
La prepotenza cui siamo stati costretti ad assistere ha prodotto, fra i suoi terribili effetti collaterali, l’umiliazione della volontà. L’azzeramento della voglia di partecipare.
Ho sentito dire, per la prima volta, dopo un anno e mezzo di manifestazioni, girotondi, discussioni: :ma che ci faccio di nuovo in piazza, non serve a niente!

Santoro: Da quanto affermi mi sembra di capire che tali posizioni siano dovute da una parte alla convinzione dei limiti della propria forza e dall’altra all’impotenza di non poter modificare certe scelte politiche che, comunque, i mass-media asserviti a certe logiche di bottega avrebbero avuto buon gioco a presentare, attraverso un uso manipolato dei mezzi giornalistici e televisivi, i manifestanti come un gruppo folcloristico o vacanziero.


Ravera: In piazza c’era tutta gente per bene, che aveva perso ore ed ore di lavoro, o di svago. Si era radunata per esprimere il proprio “no” alla guerra ma anche al tentativo di messa in mora della democrazia in Italia, di buttare al macero l’art. 18 ed al tentativo di piegare la giustizia agli interessi del ceto politico berlusconiano.
Era gente laica e non, gente concreta, non facile alle mitologie, sobria, impegnata e razionale. Era gente che aveva tentato tutto il possibile: dalle assemblee di pianerottolo, alle catene di posta elettronica per far prendere coscienza alla gente del dramma che la guerra rappresentava e rappresenta per l’umanità ed ai pericoli di un possibile ampliamento del conflitto. Tutto questo allo scopo di portare più presenze nelle piazze, più anime alla militanza del dissenso.
Davanti allo spettacolo del fuoco su Bagdad li ho sentiti vacillare. Hanno detto: “Tanto è evidente che non contiamo niente! Che cosa ci siamo messi in mente? Drizzare le gambe ai cani? Ci ignorano! Decidono altrove! Neanche il Papa ce l’ha fatta!”
“Chi sono io per dire: Basta con questa licenza di invadere e punire, di farsi i propri interessi con l’esportazione di democrazia”?
Li ho sentiti questi discorsi ed ho cercato anche di tamponarli come meglio potevo perché credo che a questo servi il dono della parola e, più ancora, in occasioni come questa, il dono della parola scritta.

Santoro: E come hai cercato di superare questi tormentosi dubbi e restituire la speranza che, comunque, per chi come noi crede alla pace, non deve mai abbandonarci?

Ravera: Ho cercato di consolare e contraddire facendo osservare che è vero che i giochi si decidono altrove ma ribadendo che era molto discutibile l’osservazione che quella moltitudine che protestava non contasse nulla.
Ho detto: “Chi ci vorrebbe archiviare come gruppi del folclore disarmato, bandiere arcobaleno, pizza e mandolini, sarà spiazzato dalla nostra costanza. Noi non abbiamo potere e noi donne, in particolare, non lo abbiamo da così tanti secoli che ci siamo abituate”.
Ho ribadito che la nostra presenza, anche se da perdenti, era l’unica risposta possibile per testimoniare il nostro dissenso e la nostra volontà di non passare per complici con il nostro silenzio, di non essere considerati degli spettatori del reality show intitolato “strike on Iraq” (sciopero in Iraq).
Essere in piazza ci educa ad essere uno in un milione. Ne abbiamo bisogno, in questa trionfante cultura del narcisismo.
Essere in piazza ci educa a non lavorare per noi stessi, 30 secondi in televisione ci gratificano più di trecento cortei. Essere in piazza educa all’anonimato. Se uno solo resta a casa, saremo un milione meno uno.
Mi ha fatto piacere rivedere in piazza Esedra il sabato successivo ai primi bombardamenti su Bagdad i depressi e le depresse che alcuni giorni prima avevano scoperto di non contare nulla.
Ed invece bastava guardare quella folla immensa, unita per protestare contro quella che rappresenta non una guerra umanitaria ma una vera e propria aggressione, per capire quanto quella folla contasse.
La visibilità dei pacifisti di tutto il mondo è la cornice che segna a lutto il quadro di questa guerra.
I pacifisti impediscono l’omologazione, il pensiero unico, l’uso distorto della cultura occidentale per giustificare violenze e sopraffazioni.
Oggi, i pacifisti rappresentano nel mondo le sentinelle della libertà di coscienza e mai una tale funzione è stata così importante.

Santoro: Quindi tu ritieni che la sfida che il movimento ha lanciato abbia una sua funzione specifica e non sia stata inutile anche se non ha potuto fermare la macchina della guerra?

Ravera: Educare alla pace sarà, in questo mondo sempre più ferito da una dismisura di ricchezza, da una disparità di condizioni di vita, il compito più urgente.
I poveri, che sono la maggioranza degli esseri umani, hanno ricevuto da Bush & Company un incoraggiamento terribile a ribellarsi, proprio in nome della loro miseria, verso coloro che su questa miseria rafforzano il loro impero.

Santoro: Ritieni che Bush ed i suoi consiglieri siano consapevoli delle responsabilità che si sono assunti iniziando, tra le proteste del mondo e l’opposizione dell’ONU, una guerra che nel vecchio continente ha visto strenui oppositori soprattutto Francia e Germania, cioè le due nazioni che in passato hanno più belligerato tra loro? Non ritieni che questa sicurezza di impunità possa anche essere un bluff?

Ravera: Io non so se Bush, nella sua proterva dabbenaggine, abbia un lume di consapevolezza di quello che ha fatto e delle conseguenze che potrebbero derivare a tutti noi ed ai nostri figli da tale guerra.
Mi chiedo, questo sì, come mai non ci sia in tutta Washington un precettore che gli abbia fatto entrare nella zucca i principi di un egoismo un po’ più moderno, un po’ più intelligente.
Bush, e con lui tutti i più o meno consapevoli cretini, lo sanno che stanno armando mani giovani e forti, mani di gente che non ha niente da perdere, mani guidate da una religione che promuove il suicido?
Ed i primi segnali, significativi e forti, con un paio di marines al giorno che saltano in aria a seguito degli attentati della guerriglia politico-religiosa irachena lo stanno ampiamente dimostrando.
Penso che il potere renda scemi, come credevamo da piccoli. I giganti hanno cervelli nani altrimenti non potrebbero non valutare che alla fine questa guerra potrebbe rappresentare un pericolo per far saltare il precario equilibrio del nostro benessere egocentrico.

Santoro: Quindi il messaggio che le manifestazioni ed i cortei dei pacifisti, che riuniscono le forze più sane e responsabili del paese, laici e cattolici in testa, non rappresenta una strumentalizzazione politica delle opposizioni, come la demenziale propaganda di centro-destra vorrebbe far credere, ma ha una sua funzione specifica di far prendere coscienza alla gente sulla necessità di risolvere pacificamente e con gli strumenti di cui dispongono le Organizzazioni Internazionali, ONU in testa, i conflitti nel mondo. Pertanto, questo messaggio sarà ancora ripetuto?

Ravera: Educare alla pace assume, oggi, un valore speciale. E’ questo il messaggio principale ed unico che le manifestazioni passate e future rappresenteranno
In tale logica tre sono i compiti a casa che darei ad una ipotetica classe di apprendisti pacifisti:
Primo: Esercitare l’immaginazione, fare vedere quello che la televisione non mostra, quello che l’America occulta!
Secondo: continuare a scendere in piazza. Farsi notare. Sventolare stracci bianchi, lanciare slogan, innalzare muri di fieno, bandiere, gridare, disturbare senza sosta e, soprattutto, darsi da fare per moltiplicarsi.
Terzo: Togliere la fiducia a chi non ha capito che questa guerra non si doveva fare: a Bush, a Blair, ad Aznar e, qui - in Italia - a Silvio Berlusconi.

Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 2 Agosto 2003)



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