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Sempre più precari e flessibili - martedì 4 novembre 2003 at 14:17

Pubblicato in Italia il rapporto europeo sulle trasformazioni del lavoro

La recente pubblicazione dell'edizione italiana del rapporto sulle trasformazioni del lavoro e il futuro della regolazione del lavoro in Europa, predisposto per la Commissione europea da un gruppo di esperti diretto dal giuslavorista francese Alain Supiot (Il futuro del lavoro, a cura di Paolo Barbieri ed Enzo Mingione, Carocci 2003), ha permesso di approfondire i grandi mutamenti che investono la regolazione del lavoro nella fase attuale di costruzione del trattato costituzionale dell'Unione Europea. Mutamenti che si verificano a fronte di gigantesche trasformazioni economico-produttive e che modificano la capacità di protezione sociale offerta dalle tradizionali garanzie del lavoro fordista. Il punto di partenza del rapporto è la constatazione della crisi del modello di regolazione socio-economica su cui poggiava il diritto del lavoro dall'inizio del XX secolo, ovvero di quello specifico modello industriale - sia pur modulato in relazioni ad importanti variabili nazionali - caratterizzato da un quadro regolatore incentrato su una forma di subordinazione standardizzata e sull'istituzionalizzazione di attori collettivi nell'ambito dello Stato nazionale. Per Supiot insomma il rapporto di lavoro tipico è quello subordinato che viene instaurato tra un datore ed un prestatore di lavoro, il cui tempo di formazione è relativamente breve, che è padre di famiglia ed è assunto a tempo indeterminato, ed esso si va trasformando in un rapporto di lavoro più flessibile, che implica un lungo e continuo apprendistato del lavoratore, in un quadro caratterizzato da un massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro, da un progressivo abbandono delle politiche economiche keynesiane e dalla relativizzazione della sovranità nazionale sotto la spinta sia di movimenti regionalistici che del profilarsi del livello europeo, che sempre più influisce sul piano della produzione normativa. L'esigenza avvertita è quella del mantenimento e della riformulazione nel mutato contesto economico e lavorativo di specifiche istanze e conquiste democratiche e sociali sul piano dell'uguaglianza, della libertà, della sicurezza, della partecipazione e della rappresentanza. Il gruppo di esperti guidato da Supiot sottolinea innanzitutto la necessità della riaffermazione del principio fondamentale secondo il quale le parti di un rapporto di lavoro non possono disporre della sua qualificazione giuridica e la volontà di allargare il campo della tutela dei diritti per inglobare tutte le forme di contratto di lavoro «per altri» e non soltanto la subordinazione in senso stretto. In tale prospettiva si raccomanda l'adozione di una definizione a livello comunitario della nozione di lavoratore salariato, la conservazione del potere di riqualificazione del rapporto di lavoro da parte del giudice, la definizione di una precisa corresponsabilità degli effettivi datori di lavoro nelle ipotesi del lavoro interinale e l'applicazione di alcuni istituti del diritto del lavoro ai lavoratori che non sono interinali.
Appare evidente che tali indicazioni non trovano riscontro nella evoluzione normativa specifica del nostro paese. Si pensi alle indicazioni contenute nello schema di decreto legislativo presentato dal governo a seguito dell'approvazione della legge delega n. 30 del 2003: dal potere di accreditamento in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro consegnato alle parti sociali, al fiorire incontrollato e senza rete delle forme di impiego precario e di interposizione nella gestione della manodopera, alla mancanza di un livello apprezzabile di tutele per coloro che non sono inquadrati come lavoratori subordinati e che pure prestano la propria attività esclusivamente in favore di un altro soggetto.

La continuità nell'impiego - che poteva durare tutta la vita - viene oggi rimessa in discussione dalla flessibilizzazione e dalla presenza di un forte tasso di disoccupazione. Questo comporta la necessità di prestare particolare attenzione alla connessione tra formazione ed occupazione ed ai possibili strumenti giuridici - sul piano legislativo e della contrattazione collettiva - per assicurare la continuità dello status professionale al di là della diversità degli stati di lavoro e di non lavoro, tenendo presenti le interruzioni di carriera e le riconversioni di attività che debbono essere integrate con le condizioni normali di una condizione professionale continua.

Piuttosto che il concetto di protezione sociale - per Supiot ed il suo gruppo di lavoro - è il concetto di cittadinanza sociale quello che può sintetizzare gli obiettivi di una rimodulazione del diritto del lavoro e del diritto sociale in generale. Nonostante la diversità di approcci nazionali alla nozione di cittadinanza, questo concetto potrebbe costituire uno strumento teorico adeguato per pensare il diritto sociale su scala europea: esso lega i diritti sociali alla nozione di integrazione sociale e non soltanto a quella di lavoro e presuppone la partecipazione dei soggetti interessati alla definizione ed all'attuazione dei propri diritti.

Le tematiche coinvolte richiamano l'attualità della battaglia politica in Italia ed in Europa sui temi del lavoro. La costruzione di una alternativa non può prescindere dal confronto anche aspro sulle forme nuove e variegate che il lavoro va assumendo, su come debbano costruirsi anche sul piano legislativo nuove e più efficaci tutele, sull'evoluzione dei diritti in capo al cittadino-lavoratore, sulle nuove strade della rappresentanza sindacale e della democrazia nei luoghi di lavoro. Un impegno programmatico che metta un freno alla continua rincorsa del superamento di ogni vincolo, alla radicale messa in discussione del diritto del lavoro (che si può cogliere anche in diversi passaggi contenuti nella parte III del progetto di Costituzione europea attualmente all'esame della Conferenza intergovernativa), all'azzeramento delle conquiste sociali e normative prodotte dal movimento dei lavoratori, al pericolo concreto per la stessa possibilità di organizzazione collettiva dei lavoratori nel contesto lavorativo attuale fatto di frammentazione, precarietà, continua ricattabilità del lavoratore. Vi è la necessità allora di trasformare questa consapevolezza e queste esigenze in indicazioni ed obiettivi definiti: la previsione di un reddito sociale, la determinazione di tutele insuperabili e di minimi retributivi per ogni lavoratore qualunque sia la qualificazione giuridica del rapporto, la definizione di regole di democrazia sindacale che tengano conto del mutato contesto socio lavorativo e della evoluzione delle forme di aggregazione e organizzazione dei lavoratori.

Arturo Salerni

(4 novembre 2003)


Fonte: Liberazione online



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