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SULL’ARTE IN CALABRIA - giovedì 23 ottobre 2003 at 23:20

Dasà (VV). Per quanto si riferisce alla storia dell’arte in Calabria, sia per quella autoctona che per quella d’importazione, ancora il molto rimane da scrivere.
Mai si sono affrontate serie ricerche indirizzate all’acquisizione di quelle notizie che avrebbero consentito la conoscenza dei tanti artisti che nel corso dei secoli impegnarono i loro estri per l’abbellimento delle chiese dei grandi e piccoli paesi della regione.
Si sarebbe scoperto che anche nelle chiese degli sperduti casali, dei quali la maggior parte è da tempo cancellata dalla geografia calabrese, si custodivano le testimonianze delle devozioni di uomini vissuti ed operanti in tempi di ristrettezze economiche e di grandi rivolgimenti politici e sociali.
La consultazione dei pochi inventari e guide regionali dati finora alle stampe rivela, alla verifica dei contenuti particolari, l’improvvisazione e la superficialità del reperimento delle notizie.
Le calamità naturali e casuali, delle quali la terra ballerina in alcun tempo potè lamentare l’assenza, davano un apporto determinante alla distruzione delle opere d’arte. Terremoti ed incendi, che con la loro furia riducevano pubblici e privati edifici in cumuli di pietre e calcinacci o in spessi strati di cenere fra spezzoni di muri anneriti dal fumo, non risparmiavano statue lignee e tele o tavole dipinte.
Nella nostra epoca la scomparsa delle notizie sul patrimonio artistico è da ricercarsi nel disinteresse e nell’incuria riservate sia alle opere fisse che a quelle mobili.
In occasione della sostituzione dello scannello di una statua processionale, operazione necessaria per renderlo idoneo alla fissazione al tronetto per mezzo di bulloni, neanche lontanamente si pensava di rifare l’iscrizione per perpetuarne la data d’esecuzione ed il nome dell’autore.
Non meglio si comportavano, e tuttora si comportano, certi cosiddetti restauratori che trovavano e trovano meno impegnativo nascondere il finto marmo delle facce degli scannelli con poche pennellate di colore uniforme, eliminando dalla vista anche eventuali firme di artisti o scritte dedicatorie. Si preoccupavano e si preoccupano costoro di dipingere ai piedi del santo, con colore quasi sempre giallo, un rombo contenente il loro nome e cognome preceduto da un pomposo restaurò a dimostrazione di somma ignoranza di arte e di storia.
Le mancanze delle firme e/o delle date sui quadri, nella maggioranza dei casi è dovuta a riduzioni delle dimensioni per collocarli in cornici più piccole ( 1), oppure ad asportazioni delle parti inferiori che essendo a contatto con i vasi di fiori sono colpite dall’umidità e quindi inevitabilmente soggette al distacco degli strati di pittura. Nel passato erano frequenti le bruciature causate dalle candele votive o da quelle necessarie per l’illuminazione degli altari.
In Calabria non solo le chiese, ma anche alcune dimore gentilizie, erano ornate di stucchi eseguiti da artisti locali o provenienti dalla vicina Sicilia o da Napoli.
Il primo documento rintracciato è un contratto del 10 ottobre 1661. Quel giorno Filippo Grimaldi, originario Ianuense, educato vero in Regno di Sicilia, si impegnò con la comunità agostiniana di Monteleone di eseguire la stuccatura della cappella di San Gregorio taumaturgo eretta dentro la Chiesa nova del loro convento sotto il titolo di San’Agostino entro il mese di maggio dell’anno seguente per il compenso di 115,00 ducati da esigere in cinque rate ( 2).
Nel corso del ‘700 abitava a Bianco (RC) lo stuccatore Natale Falduti trasferitosi da Monteleone. Nel biennio 1775/76 lavorò nella cappella del Santissimo Sacramento del paese e nella chiesa matrice di Bruzzano, ora Bruzzano Zaffirio (RC) ( 3).
Nel 1759 mastro Santo Solano di Nicòtera ornò di stucchi la chiesa dei Minori Conventuali di Tropèa. Il compenso fu pattuito in 220,00 ducati, dei quali 20,00 in contanti ed il resto con l’avanzamento dei lavori ( 4).
I fratelli Matteo e Giovanni Frangipane di Pizzo nel 1771 eseguirono i lavori di stuccatura nelle quattro cappelle del convento dei Domenicani di Soriano, al prezzo di 35,00 ducati per ognuna. L’1 agosto dello stesso anno il magnifico Giovanni Frangipane, certamente il medesimo stuccatore, si ebbe 40,00 ducati per il disegno della cappella di San Pietro martire, ch’era la prima di quelle stuccate in collaborazione con suo fratello Matteo ( 5).
L’arte dello stucco nell’Ottocento inoltrato era esercitata da mastro Biagio Muzzi e da altri maestri di cognome Barillaro, tutti nativi dell’allora villaggio di Serra che nel 18 ebbe il nome di Serra San Bruno.
Il primo eseguì la stuccatura della volta della chiesa dell’Addolorata di Serra, concordemente attribuita a Domenico Barillaro (Serra, 1788-1829). Ma questi nel contratto stipulato dal notaio Bruno Vinci il 7 febbraio 1818 si costituì in qualità di primo consultore della confraternita dell’Addolorata, qualificandosi falegname ed asserendo di essere maggiorenne, mentre il Muzzi assunse l’obbligo di portare a compimento il lavoro entro dieci anni. La clausola che gli stucchi dovevano essere proseguiti sotto la direzione di esso Mastro Domenico Barillaro, il quale principiò detta opera poteva significare che ne aveva fornito il disegno. Per cui, se non si trattò di un illecito, l’esecuzione di quei meravigliosi stucchi deve essere riconosciuta a mastro Biagio Muzzi ( 6).
Risulta da una delibera della confraternita del S.mo Rosario di Dasà, sotto la data del 23 gennaio 1855, che avrebbe dovuto realizzare di stucco la cappella il mastro serrese Michele Barillari ( 7). Ma costui neanche l’avrà iniziata, perché il lavoro fu eseguito, anche se non completamente, nel 1860-61 dall’architetto Francesco Barillari anch’egli di Serra (8). Lo stesso, il 24 maggio 1862, si obbligò di ornare di stucchi la volta della chiesa della Consolazione per 1.250,00 lire entro il mese di settembre di tre anni dopo ( 9). Nulla, purtroppo, rimane di queste due opere. La cappella fu certamente danneggiata dal crollo della volta a causa del terremoto che si abbattè la notte tra il 7 e l’8 settembre 1905.
Per lo stucco della chiesa matrice di Dasà tra il 1852 e l’inizio del 1853 lavorò mastro Giuseppe Riga di Pizzo (10), il quale poteva essere l’omonimo architetto che il 18 ottobre 1852 reclamava il compenso di 6,00 ducati dovutigli per aver espletato l’incarico ricevuto dal sindaco di formare, e stabilire la pianta della Chiesa Matrice di Arena cinque anni prima (11).
I fratelli Basilio e Giuseppe Riga, quest’ultimo probabilmente da identificare col precedente, il 10 gennaio 1847 si obbligarono di completare di stucco in stile corinzio, entro il 31 dicembre 1850, per 400,00 ducati di manodopera la chiesa parrocchiale di Francavilla Angìtola (12).
Nella scultura e nell’intaglio ebbe rinomanza la scuola serrese che tra i suoi rappresentanti annoverava alcuni artigiani-artisti delle famiglie Pisani, Regio, Scrivo, Zaffino e De Francesco.
La documentazione per gli Scrivo inizia con Antonio e Vincenzo, attivi tra la seconda metà del ‘700 e gli inizi dell’ ‘800, dei quali il secondo fu l’indiscusso maestro per gli artisti serresi suoi contemporanei (13).
Le statue scolpite da Antonio (il Crocefisso, il San Rocco, l’Immacolata, la Sant’Anna, il San Giuseppe, l’attribuibile Assunta ) sono custodite nelle chiese della sua città natale (14). Quelle di Vincenzo sono sparse in tutta la Calabria centrale : l’Immacolata a Serra, il San Michele Arcangelo del 1804 e la Madonna del Carmine del 1798 a Cinquefrondi, il San Francesco di Paola del 1792 a Vazzano, la Madonna della Grazia del 1796 a Francavilla Angitola, il Salvatore del 1797 a Pazzano, la Madonna dell’Itria del 1798 a Polìstena, l’Immacolata del 1800 a Tritanti (fraz. di Maròpati), il gruppo dell’Annunziata di Sant’Angelo (fraz. di Gerocarne). Suo è il disegno dell’altare maggiore della chiesa dell’Assunta di Spinetto a Serra, intagliato nel 1799 dal serrese Raffaele De Francesco (15).
Nell’Ottocento, a Serra era attivo Raffaele Regio. Sono da lui firmate e datate la Madonna del Buon Consiglio (1823) nella chiesa della confraternita della Grazia di Arena e gli Angeli reggenti il busto di San Nicodemo (1849) nella chiesa parrocchiale di Màmmola.
Sono noti dal 1833 e dal 1816 rispettivamente Venanzio Pisani e Vincenzo Zaffino, dei quali le sculture lignee sono visibili anche in chiese della regione alquanto distanti dalla cittadina dove nacquero ed avevano impiantato la propria bottega artistica.
Il primo fu anche ritrattista e pittore. Siccome ritraeva i defunti, a Serra a quel tempo si usava dire mu ti pitta don Vinanziu per augurare .. la morte a qualcuno ! Sono del Pisani due statue raffiguranti entrambe l’Immacolata, una del 1833 a Paradìsoni (fraz. di Briàtico) e l’altra del 1837 a Càroni (fraz. di Limbadi), il Cri-sto Risorto a Sant’Eufemia d’Aspromonte, l’Immacolata e il San Nicola del 1826 a Monterosso, l’Addolorata del 1834 nel museo diocesano di Nicòtera, ed altre in alcune chiese della regione.
Lo Zaffino, o Zaffiro come si legge su qualche scannello, scolpì nel 1836 l’Immacolata per la chiesa omonima di Polìstena, il San Michele Arcangelo ora nella chiesa cattedrale di Santa Severina, il gruppo dei Santi Cosma e Damiano nel 1816 per la chiesa di Sant’Eufemia d’Aspromonte e lo stesso soggetto nel 1824 per la chiesa di Soriano Calabro (16).
Serrese era Domenico Rossi che per la chiesa della Madonna della Grazia di Pìzzoni nel 1818 intagliò l’altare maggiore, che fu dipinto e dorato tre anni dopo dal suo concittadino Vincenzo Zaffino (17).
I fratelli Salerno eseguirono nel 1855 l’intaglio di due confessionali di legno per il santuario della Madonna della Montagna di Polsi, eretto nel territorio di San Luca in una amena valle dell’Aspromonte (18).
Opera di marmo di bottega serrese è l’altare maggiore della chiesa parrocchiale di Màmmola, scolpito nel 1834 da Salvatore Pisano.
Marmorari serresi erano Vincenzo Drago e Luigi Vadalà, che nel 1854 eseguirono l’altare di San Francesco di Paola nella chiesa matrice di Santa Caterina Ionio, e Michele Barillari autore nel 1852 dell’altare della cappella di Sant’Agazio nella chiesa cattedrale di Squillace.
Nella chiesa parrocchiale di Santa Barbara di Dàvoli gli altari marmorei della titolare e della Madonna del Rosario furono scolpiti entrambi da artisti serresi, il primo nel 1759 da mastro Giuseppe Pisani e l’altro nel 1782 dai mastri Antonio, Giuseppe e Vincenzo Pisani.
Nella prima metà dell’Ottocento in Dasà iniziò la propria attività artistica la famiglia Corrado. Il primo ad operare fu Nicola, del quale sono note la statua di Santa Maria di Pajeradi venerata nella sua chiesetta presso Stefanàconi (19), firmata e datata 1839, e l’Assunta del 1844 nell’omonima collegiata di Cròpani. Senz’altro sono da attribuire allo stesso il San Giuseppe col Bambino della chiesa della confraternita dell’Immacolata di Dasà recante sullo scannello un’iscrizione devozionale del 1836, la Madonna di Portosalvo che fu “scolpita a Dasà nel 1846” custodita nella chiesa parrocchiale dell’omonima frazione di Vibo Valentia, ed il San Michele Arcangelo della chiesa della confraternita dell’Immacolata di Pizzo che “Corrado di Dasà” scolpì nel 1852.
L’attività artistica di Nicola fu esercitata negli stessi anni dai cugini paterni Pasquale pittore e Gabriele scultore, e continuata dai figli Pasquale e Gabriele anche questi scultori. Stante la contemporaneità dei due statuari di nome Gabriele, e di entrambi la paternità di Nicola, non è possibile stabilire a chi di loro sono da assegnare le statue della Madonna del Carmine (1868) e di San Francesco di Paola (1872) della chiesa parrocchiale di Dasà, il San Giuseppe col Bambino (187.) della chiesa parrocchiale di Fràncica (20), la Madonna del Carmine (1858) della chiesa parrocchiale di Rosarno, il San Pietro (1859) nella chiesa parrocchiale di Ciano (fraz. di Gerocarne).
Il pittore Pasquale è presente nella chiesa della confraternita dell’Immacolata di Dasà con i quadri de L’orazione di Gesù nell’orto del 1841 e de Il trionfo dell’Immacolata del 1866.
L’altro scultore di nome Pasquale, chiamato dai concittadini don Pascale testazza e ricordato come devoto del dio Bacco, ha eseguito statue per le chiese dei paesi vicini. Si conoscono l’Annunziata (1895) nella chiesa parrocchiale di Sorianello, l’Immacolata (1897) della chiesa della confraternita della Grazia di Arena ed il San Nicola (1904) di Ciano.



Quando si parla o si scrive delle opere prodotte fuori dalla regione, il riferimento corre sempre alla presenza degli ordini religiosi, che si rivolgevano ai loro confratelli napoletani o siciliani, e spesse volte anche romani, che intervenivano per stipulare i contratti con gli artisti locali per l’esecuzione dei lavori che nelle tante comunità si volevano realizzare (21).
Ma anche gli studenti, i funzionari, i mercanti, i pellegrini, ritornando nei propri paesi avevano modo di magnificare altari e paramenti, quadri e statue, calici ed ostensori ammirati nelle chiese delle località visitate o nelle quali avevano a lungo o per breve tempo soggiornato.
Inoltre, non solo all’ombra di quei cantieri continuamente aperti ch’erano i grandi complessi conventuali, ma in tanti luoghi dove proficuamente avevano svolto attività alcuni artisti impiantavano botteghe gestite da collaboratori che avevano il compito di recarsi presso i committenti per verificarne le richieste e stipulare i contratti che i principali ratificavano con altro istrumento entro un termine stabilito.
In questi laboratori-agenzie effettuavano l’apprendistato i tanti giovani locali, che illustrarono la loro ed attualmente nostra terra in ogni epoca della sua travagliata storia.
Le segnalazioni riportate in questa ricerca sono state reperite in contratti notari-li, in scritture di archivi ecclesiastici, in saggi di storia locale, in guide regionali, in studi monografici, nelle visite ad alcune chiese.



ARENA
Sono attribuite allo scalpello del napoletano Gennaro Franzese le statue lignee del Cristo Risorto e di San Michele Arcangelo, custodite nella chiesa matrice (22). Queste furono donate alla confraternita di San Michele dall’arciprete Giovandomenico Gullà col testamento del 17 giugno 1764. Il sacerdote non ne indicò la provenienza, ma dichiarò di averle pagate una 120,00 e l’altra 80,00 ducati (23).
Lo scultore Gennaro Franzese è documentato attivo a Napoli nel quarantennio dal 1718 al 1757 (24).

DASA’
Il napoletano Giuseppe Maresca, documentato attivo in quella città tra il 1645 ed il 1665, è l’autore del Crocefisso ligneo che nel 1981 fu rimosso dalla cappella laterale per essere collocato sull’altare maggiore della chiesa parrocchiale dei santi Nicola e Michele. Scolpito nel 1655 e costato 31,00 ducati, fu esposto la prima volta alla venerazione dei fedeli il Giovedì Santo, quell’anno il 25 del mese di marzo (25).

DINAMI
Per pagare in Napoli il prezzo della statua di San Rocco il sig. Carlo Gallucci il 19 giugno 1757 contrasse un debito di 30,00 ducati all’interesse dell’8 % accen-dendo l’ipoteca su un fondo di quindici tomolate con vigna, olivi, gelsi bianchi e neri, ed altri alberi fruttiferi (26).

FILOGASO
Nella chiesa del villaggio di Panaja, ora rione di Filogàso, si conservano le statue lignee di San Vito e di Santa Rosalìa, entrambe di artisti napoletani.
L’arrivo della prima, scolpita da Giacomo Colombo per il compenso di 60,00 ducati, fu festeggiato il 26 dicembre 1719 con una spesa di 7,00 ducati. Oltre al denaro, l’artefice ebbe in regalo mezzo cantaro (= 44,550 Kg) di fichi secchi del valore di 2,50 ducati (27).
La statua di Santa Rosalìa del 1734 è opera di Carmine Lantricine, che aveva la bottega nel Largo del Castello al Pontone della Guardiola del Regio Palazzo Vecchio. Il prezzo di 52,00 ducati fu pagato in tre rate (28).

FRANCAVILA ANGITOLA
La statua lignea del protettore San Foca martire fu commissionata ad un artista romano l’anno 1663 dal padre Simpliciano Cilurso del convento agostiniano di Santa Maria della Croce eretto tra Francavilla e Castelmonardo (ora Filadelfia). Scolpita a figura intera, non è noto quando gli fu data la forma che già aveva alla fine del XIX secolo (29).
Il simulacro era conservato nel citato convento, e veniva concesso ogni anno dal padre superiore al sindaco per la celebrazione della festa con l’obbligo di restituirlo il giorno seguente. L’anno 1685 fu definitivamente donato alla comunità francavillese.

MILETO
Opera di un non nominato scultore romano è la statua lignea di San Rocco della chiesa parrocchiale della Badia della Santissima Trinità, commissionata nel 1744 dal canonico Pierdomenico Scoppa, poi vescovo di Gerace, in ringraziamento per lo scampato pericolo della peste che l’anno prima aveva afflitto la vicina Sicilia (30).

PARADISONI di Briàtico
La statua lignea del patrono San Pietro apostolo è firmata da un certo Domenico De Lavielio e datata 1708. Il cognome non può che essere di un artista napole-tano.

PIZZONI
Nella nicchia dell’altare maggiore della chiesa della (ora estinta) confraternita di Santa Maria della Grazia è custodita la statua lignea della Madonna col Bambi-no dello stesso titolo. Sulla faccia anteriore dello scannello si legge che quella fu eseguita a preclaro artifice Mancinio neapolitano nel XVIII secolo. L’artista è senza dubbio Tommaso Mancini, lo stesso che negli anni 1754-‘55 intagliò il coro ligneo della chiesa del convento della vicina Soriano (31).

SANT’ONOFRIO
La committenza napoletana è documentata dal 1770 al 1907, anche se solo del-le due opere più recenti sono stati trasmessi i nomi degli artisti (32).
La prima statua lignea fu quella del patrono Sant’Onofrio eremita, del 1770, restaurata nel 1845 ed andata perduta a causa del terremoto dell’8 settembre 1905. L’attuale è opera della ditta Calderozzo, e fu benedetta il 27 agosto 1907.
La statua di San Gaetano da Tiene fu fatta a spese dell’arciprete Gaetano Perri-ni (1742-1783), che la benedisse il 2 aprile 1777.
Si raccolsero con una questua i 70,00 ducati pagati nel 1822 per l’acquisto della statua di San Rocco, a cura dell’arciprete Agostino Greco (1818-1825).
La devozione di Vincenzo Denaro nel 1884 dotò la comunità santonofrese della statua dell’Addolorata.
L’arciprete Pasquale Marcello (1894-1954) il 30 novembre 1902 benedisse la statua dell’Immacolata, opera di Raffaele Della Campa.

SORIANO CALABRO
I padri domenicani il 21 maggio 1754 stipularono il contratto con il Sigr Tomaso Mancini, M(aest)ro Intagliatore della Città di Napoli per l’esecuzione del coro ligneo della chiesa del loro convento, da consegnare entro un anno dalla data dell’istrumento. Il pattuito prezzo di 570,00 ducati, dopo i 70,00 versati in contanti, sarebbe stato versato a 25,00 ducati ogni mese con l’impegno del saldo al termine del lavoro (33).
Per i lavori di marmo prestò la propria opera il perugino o romano Giuseppe Scaglia, che il 28 maggio 1709 fu saldato del credito per l’esecuzione dei sette pi-lastri grandi della chiesa commissionatigli il 26 luglio 1694. Lo scultore morì a Soriano il 22 febbraio 1718, e fu sepolto nella fossa della confraternita di Gesù e Maria Santissima del Rosario eretta nella chiesa del convento, ed ancora attiva (34).
La cappella del Santissimo Rosario fu eseguita negli anni 1767-’68 dai mar-morari napoletani Raimondo Varvella, Giovanni Martino e Francesco Scalabrini, con i quali i padri pattuirono il prezzo di 1.100,00 ducati. Il danaro veniva versato settimana per settimana, e mese per mese dal procuratore del convento. Si apprende dall’istrumento del 9 novembre 1768 che in allustrare i marmi aveva lavorato mastro Sabato Trotta, che percepiva 0,27.6 ducati al giorno (35).

TROPEA
Il maestro intagliator lapidum Francesco da Milano il 13 aprile 1489 s’obbligò con due gentiluomini di Tropea, Barnaba Caputo e Ferdinando Bongiovanni, di scolpire un sepolcro di marmo con due figure giacenti per una chiesa di quella città (36). Non è dato sapere a quale famiglia appartenesse il sepolcro, e neanche se ne sia scampato qualche pezzo alle tante distruzioni.

VIBO VALENTIA
Scolpita nel 1897 da F. Gangi e R(affaele) Della Campa di Napoli, si venera nella chiesa arcipretale la statua della Madonna della Grazia, offerta a devozione di mons. Francesco Franco e con l’obolo dei fedeli. Seduta sopra una nuvola, la Madonna tiene il Bambino in braccio in mezzo a tre angioletti e cinque serafini.

GEROCARNE
L’anno 1925, nel soffitto della restaurata chiesa parrocchiale di Santa Maria de Latinis, edificio a tre navate iniziato alla fine del ‘700 e portato a termine nel 1815, il messinese Cosimo Sampietro rappresentò in un trittico l’epopea dell’Assunzione della Madonna al cielo.
Il pittore dipinse anche cinque quadri ad olio su tela, che ornano il presbitero. L’immagine della Madonna col Bambino è collocata sopra l’altare maggiore, ed ai lati stanno le figure di San Rocco, di San Sebastiano, della Cena, e di Mosè nel deserto. L’artista ricevette complessivamente 14.000,00 lire di compenso (37).

MILETO
In fondo alla navata laterale a destra di chi entra nella chiesa cattedrale è posta la statua marmorea del vescovo San Nicola protettore della diocesi. Sulla faccia anteriore della base quadrata si legge l’anno 1549 ed il nome del vescovo Quinzio De Rusticis committente (38), del quale è anche scolpito lo stemma. Si è da alcuni storici assegnata allo scalpello dello scultore Francesco Rustici fiorentino, e sono note autorevoli attribuzioni a cinquecenteschi statuari romani o napoletani (39).

MONTEROSSO CALABRO
L’organaro napoletano Filippo Basile il 6 aprile 1719 s’obbligò con Antonio Lombardo e Domenico Chirico, procuratori della cappella del Santissimo Sacra-mento il primo e della chiesa di Santa Maria del Soccorso l’altro, di fornire due organi per il compenso di 295,00 ducati. La clausola che gli organi dovevano es-sere della medesima qualità, e grandezza di quelli ha fatto nella Madre Chiesa di Panaija, e nella Chiesa di S(an)to Nicola di detta Terra di Panaija (ora rione di Filogàso) mostra che in precedenza l’organaro aveva ricevuto commesse dalle citate chiese (40).

PIZZO
In un fascicolo del fondo Esiti comunali conservato presso l’Archivio di Stato di Catanzaro è contenuta la documentazione per la costruzione di un’artistica fontana nella piazza della città, allo Spuntone vicino al non più esistente monumento eretto in onore del re Ferdinando I di Borbone (41). Sulla facciata posteriore del degno redatto dall’architetto Pietro Frangipane (42) si legge la data del 14 agosto 1824. Ma dopo poco più di un anno al progetto si è voluto apportare una modifica, e di quella il disegno è andato disperso.
Le fasi della costruzione della fontana furono contrassegnate da contrattempi di ogni genere. Valgano per tutti i cambi degli appaltatori, col terzo dei quali il contratto fu stipulato nel 1836. E tutto concorre a pensare che anche quella monumentale fontana sia da collocarsi fra le tante opere mai portate a compimento !


n o t e

.1) Si cita il quadro ad olio su tela dell’Immacolata con San Nicola vescovo, nella chiesa
della confraternita dell’Immacolata di Dasà, che fino al 1860 fu adibito per velo della
nicchia l’altare maggiore.
.2) AS VV, not. G. B. Lombardo, istr. 10/10/1661; A. TRIPODI, Opere di artisti siciliani
per le chiese calabresi : diocesi di Mileto e di Tropea (secc. XVI-XVIII), in Messina e la
Calabria (Atti del I colloquio calabro-siculo, Reggio Calabria-Messina, 21-23/11/1986),
Messina 1988, pp. 39-40; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra Cinquecento e Ottocento,
Messina 1994, p. 262.
.3) SAS Lc, not. L. Pisani, ob. 03/12/1775 e 17/11/1776.
.4) AS VV, not. G. B. Cimino, ob. 06/01/1759.
.5) AS VV, not. F. A. Ferrari, ob. 17/01/1771; not. G. Ruggiero, ob. 01/08/1771.
.6) AS VV, not. B. Vinci, istr. 07/02/1818.
.7) A cfr Rosario di Dasà, Registro delle deliberazioni.
.8) AS VV, not. V. Bruni, istr. 30/10/1860.
.9) AS VV. not. V. Bruni, istr. 24/05/1862.
10)
10) AS CZ, fondo Intendenza, fasc. 212 A/13.
11) SAS LT, not. F. G. Palmarelli, istr. 10/01/1847; F. ACCETTA, Francavilla Angitola, Vi-bo Valentia 1999, pp. 134-135.
12) O. BRINDISI, Famiglia Scrivo : Una tradizione che continua, Vibo Valentia 1988, pp. 7 e 15.
13) T. CERAVOLO - S. LUCIANI - D. PISANI, Serra San Bruno e la Certosa, Vibo Valen-tia 1997, pp. 67, 99, 102, 112.
14) AS VV, not. B. Vinci, ob. 19/02/1799; A. TRIPODI, Spigolature documentarie per la storia del Serrese, in “Rogerius” IV (2001), n. 2, pp 136-137, ora alla p. di questo vo-lume.
15) AS VV, not. F. Dafinà, istr. 03/11/1823; A. TRIPODI, Notizie per la storia dell’arte e dell’artigianato in Calabria (II), in “Brutium” LXVI (1987), n. 3, pp. 5-6; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, p. 275.
16) Le notizie sono riportate in un’iscrizione ai lati dell’altare.
17) Polsi è frazione di San Luca (RC).
18) A. ARCELLA, Appunti su Stefanàconi, Vibo Valentia 1985, p. 107.
19) L’ultima cifra della data è coperta da una maldestra pennellata impressa da un restauratore per nulla rispettoso delle memorie artistiche.
21) A. TRIPODI, Stuccatori, pipernieri, marmorari, intagliatori nel real convento di San
Domenico in Soriano (I) e (II), in “Brutium” LXIII (1984), n. 3 e n. 4, pp. 2-5 e 21-24; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 313-324.
22) G. B. MARZANO, Scritti, vol. 4°, Vibo Valentia Marina 1942, p. 211. L’autore erra nell’indicare il Franzese nativo di Lucca.
23) AS VV, not. G. D. Francese, test. 17/06/1764.
24) N. PICE, Una confraternita popolare nel XVIII secolo : San Michele Arcangelo, in Cul-tura e società in Puglia e Bitonto nel sec. XVIII, Bitonto 1994, pp. 258/61 e 270; T. FIT-TIPALDI, Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, p. 63.
25) ASD M, Libro dove stanno notate l’entrate della Cappella dell’Anime del Purgatorio di Dasà, ff. 52/52v; A. TRIPODI, Un Crocefisso del ‘600 nella chiesa parrocchiale di Dasà, in “Brutium” LXII (1983), n. 4, pp. 6-7; ora in A. TRIPODI, In Calabria … , pp. 265-270.
26) ASD M, fondo confraternite, cartella Dinàmi.
27) ASD M, Libro dell’universal Cappella di Santo Vito della terra di Panaja, ff. 11-14; B. DE DOMINICI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, Napoli 1742 rist. a-nast. Bologna 19.., vol. 2°, p. 391; G. A. GALANTE, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872 rist. anast. s. l. e d., pp. 47e 331. Nelle chiese di Santa Caterina a Formiello e dell’Ospedaletto in Napoli si conservano statue marmoree eseguite da Giacomo Colombo, alcune su disegni del pittore Francesco Solimena (1647-1747) del quale era compatre. Se non erano due omonimi contemporanei, il Colombo era scultore del marmo e del legno.
28) ASD M, Libro magistrale della venerabile Cappella di Santa Rosalìa di Panaja, ff. 6-7, e copia dell’obbligo del notaio D. Empoli di Napoli del 18/09/1734.
29) O. SIMONETTI, Cenno biografico sovra l’Antiocheno Martire S. Foca, protettore della città di Francavilla in Calabria Ultra 2, Monteleone 1882, p. 27, nota n. 1.
30) D. TACCONE-GALLUCCI, Monografia della città e diocesi di Mileto, Modena 1882 rist. anast. Bologna 1984, pp. 112-113.
31) vedere la nota n. 33.
32) P. MARCELLO, Sant’Onofrio, Catanzaro 1991, pp. 54-55; ASD M, Visite pastorali 1854, vol. 16°, f. 367.
33) AS VV, not. P. Corrado, istr. 21/05/1754; A. TRIPODI, Stuccatori, …(I), pp. 2-3; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 314-315.
34) AS VV, not. A. Denardo, istr. 28/05/1709; A. TRIPODI, Stuccatori, …(I), p. 2, ora in A. TRPODI, In Calabria …, pp. 313-314; AP Soriano, Liber defunctorum.
35) AS VV, not. D. Loiacono, istr. 09/11/1768, 19/09/1769 e 21/09/1769; A. TRIPODI, Stuc-catori …(I), pp. 3-4; ora in A. TRIPODI, In Calabria …, pp. 315-316.
36) G. FILANGIERI, Documenti per la storia le arti e le industrie delle Provincie Napoletane, Napoli 1884, vol. 1°, p. XXII e vol. 4°, p. 103.
37) C. VARRIALE, Hierocarne, Vibo Valentia 1987, p. 30.
38) V. F. LUZZI, I vescovi di Mileto, Sciconi di Briàtico 1989, p. 169. Il romano Quinzio De Rusticis fu vescovo di Mileto dal 1523 al 1566.
39) A. FRANGIPANE (a cura di), Inventario degli oggetti d’arte d’Italia, vol. 2°, Roma 1933, p. 39.
40) AS VV, not. N. A. Lombardo, istr. 06/04/1719.
41) AS CZ, fondo Esiti comunali, b. 84, fasc. 4206; AS VV, not. V. Casuscelli, istr. 15/12/1836.
42) Nato a Monteleone (ora Vibo Valentia) il 30/10/1761, l’architetto Pietro Frangipane era figlio dell’ingegnere-sscultore Fabrizio e di Rosa Tavella. Morì il 29/03/1837.

Antonio Tripodi


Fonte: Sacrocuore online

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