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Retribuzioni al palo.. - domenica 5 ottobre 2003 at 18:50
Luciano Gallino, economista e sociologo, critica il taglio delle pensioni di anzianità: «L'aumento di produttività rende possibile lavorare meno anni»
«Retribuzioni al palo. Così i lavoratori dipendenti sono colpiti due volte»

Una riforma «ingiusta» che peggiora la condizione dei lavoratori dipendenti, «già duramente colpiti dalla stagnazione delle retribuzioni per più di dieci anni». Luciano Gallino, economista e sociologo, denuncia gli effetti devastanti che avrà l'intervento sulle pensioni deciso dal governo Berlusconi. «Nell'arco degli ultimi 10-12 anni - accusa Gallino - l'incidenza sul Pil delle retribuzioni da lavoro dipendente è diminuita del 7-8%. Questo vuol dire che gli incrementi di produttività sono andati per la maggior parte ai profitti e al lavoro autonomo». In altre parole, con il taglio delle pensioni di anzianità «i lavoratori dipendenti vengono colpiti due volte».

Il governo però sostiene che la riforma è necessaria perché la popolazione invecchia e nel 2030 ci sarà la famosa "gobba", vale a dire la probabile contemporanea uscita dal lavoro dei figli del boom economico degli anni '60, con un incremento della spesa che raggiungerà il 15,7% del Pil. Il problema secondo lei esiste?

Attualmente ci sono 4 lavoratori attivi che con i loro contributi pagano la pensione di una singola persona. In prospettiva questo rapporto si dimezzerà, perché oggi si fa un figlio in media ogni due persone. Questo problema è stato però ingigantito, perché intanto ci sono ancora moltissimi disoccupati e sottoccupati. L'obiettivo dovrebbe perciò essere quello di far crescere l'occupazione. Ma c'è un'altra cosa che viene sottovalutata: la questione della produttività. Facciamo l'esempio dell'industria dell'automobile: vent'anni fa si producevano 25 auto per addetto, oggi con le nuove tecnologie se ne producono 75. Questo vuol dire che nel 2030 due lavoratori produrranno molto di più e potranno benissimo sopportare il carico del pagamento di una singola pensione. Inoltre i nostri nonni lavoravano più di 3mila ore l'anno, noi mediamente lavoriamo 1700 ore l'anno. E' possibile cioè tradurre la tecnologia e l'incremento di produttività in un minor numero di ore lavorate. E allora mi chiedo perché non si possa tradurre l'aumento di produttività in un minore numero di anni di permanenza al lavoro.


Bisogna vedere se anche il Pil cresce in proporzione...

E' chiaro che l'economia dovrà uscire dalla crisi attuale. Ma anche una crescita del Pil solo del 2% in 25 anni fa un incremento rispetto all'oggi superiore al 50%, se si tiene conto che ogni 2% si aggiunge a quello dell'anno precedente. Il problema delle pensioni va perciò inquadrato in termini di equità distributiva della ricchezza prodotta.


Secondo lei dunque il problema è stato drammatizzato
E' vero che il fondo dei lavoratori dipendenti dell'Inps quest'anno si prevede che sia in deficit di circa 5 miliardi di euro. Ma per risanare i deficit non ci sono solo i tagli. La via più giusta sarebbe quella di aumentare le entrate aumentando l'occupazione normale, e cioè i contratti a tempo indeterminato e a orario pieno perché è di lì che vengono i contributi che tengono in piedi il sistema. Il governo invece ha scelto un'altra strada che ha due biforcazioni: una è il taglio delle pensioni di anzianità, l'altra, che rischia di avere degli effetti molto seri, consiste nella decontribuzione per i nuovi assunti. Riducendo di cinque punti i contributi che le imprese devono versare all'Inps, già nel 2005 si rischia di diminuire le entrate di 10 miliardi di euro. In più, c'è stata la riforma del mercato del lavoro che moltiplica i lavori precari, aumentando la platea di coloro che pagano pochi contributi perché non lavorano 12 mesi l'anno. Anche da un punto di vista contabile, perciò, questa riforma non sta in piedi.


Già la riforma Dini aveva fortemente ridotto tagliato i trattamenti. Mi sembra di capire che per i pensionati piove sul bagnato...

Per mantenere un livello di vita simile a quello di prima, un pensionato dovrebbe ricevere intorno all'80% dell'ultima retribuzione. Con la riforma Dini si è già scesi mediamente intorno al 68%, con questa riforma si scende anche al di sotto del 50%.


Lei si riferisce a chi, a partire dal 2008, andrà in pensione con 57 anni di età e 35 di contributi. Come dicono i sindacati, siamo all'abolizione di fatto delle pensioni di anzianità. In pratica, saremo costretti a lavorare più a lungo.

Più che altro, chi ne avrà le possibilità. Penso a quei lavoratori che, a causa delle politiche di ringiovanimento del personale che le imprese conducono con grande determinazione, si ritroveranno magari in mobilità lunga a 50 anni di età con 25 anni di contributi. Come possano raggiungere i 40 anni di contributi entro i 65 anni è inspiegabile. Così si costruisce una società che cova conflitti e drammi umani che potrebbero essere devastanti.


Capitolo incentivi. Il governo mette molta enfasi sulla possibilità che viene data al lavoratore che rinuncia ad andare in pensione di intascare i contributi e di aumentare in questo modo la propria retribuzione del 32,7%
Qui c'è un minimo di libertà di scelta, ma la convenienza dove sta? Chi decide di prendere l'incentivo per due-tre anni, deve stare attento, perché ogni anno che rimane al lavoro poi prende il 2% di pensione in meno. Magari incassa anche 15mila euro in 2 anni ma poi ce ne rimette 30-40mila nel lungo periodo.
Roberto Farneti
(5 ottobre 2003)


Fonte: Liberazione online

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