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La fine dell'Ulivo Planetario e l'alternativa.. - domenica 28 settembre 2003 at 13:33
Continua il confronto nelle sinistre sull'urgenza di una nuova fase politica
La fine dell'"Ulivo planetario" e l'alternativa futura

Roma: La partita si riapre. Ma non è la stessa di ieri, come se si trattasse di un derby in un campionato nazionale. In tempi politici il 1996 è lontano anni luce da noi. L'accordo di desistenza, il governo Prodi e la sua rottura, il passaggio di Rifondazione all'opposizione nel 1998: sono esperienze fondative della nostra cultura politica, non la gabbia ideologica di una nostra identità separata.
Rompemmo con l'Ulivo e con noi stessi, con il moderatismo della tradizione politica del Pci: ma non certo per rifondare il minoritarismo o la fuga nell'autonomia del sociale. Per questo oggi non stiamo rovesciando le scelte di allora, con un repentino passaggio dalla sponda dell'estremismo alla sponda del realismo. Come se i partiti, incluso il nostro, fossero corpi estranei alle dinamiche materiali del mondo, sistemi conchiusi di vicende autoreferenziali: e cioè catene provvidenziali di eventi, dove le cose di ieri spiegano quelle di oggi. Spesso è vero il contrario, è il presente che chiarisce e spiega il passato.

La nostra coerenza non vive dentro il calco della coazione a ripetere, ma dentro la percezione della mutazione gigantesca che sta investendo ogni ordine di discorso sul potere, sulla politica, sulla produzione, sulla miseria, sulla vita: se non senti il rumore di un mondo che si va sgretolando e non senti le voci che annunciano un "altro mondo possibile", la tua è la coerenza del rigor mortis, la tua identità non è che un corredo funerario.

Davvero è cambiato tutto: allora c'era un Ulivo planetario e apparentemente invincibile, illuso (e colluso) dentro le vischiose promesse di una globalizzazione che si accreditava come neutra e filantropica. Oggi quel progetto è in frantumi, ci globalizza la merce piuttosto che il diritto, la guerra piuttosto che la pace. E in parti cruciali del mondo, a partire dagli Usa, governa una destra fondamentalista che, dopo aver operato il più poderoso trasferimento di reddito verso la rendita e la ricchezza che la storia ricordi, dopo aver smantellato protezioni sociali per i ceti poveri e aver spogliato i ceti medi, dopo aver ferito a morte i fondamenti materiali della coesione sociale, sceglie la "guerra infinita" come proiezione della propria crisi di egemonia nella latitudine di un "comando emergenziale globale".

La guerra non come occultamento delle proprie contraddizione interne ma come "sistema di governo": insomma la propria debolezza viene scaricata sulle spalle del mondo, la propria crisi viene generalizzata e militarizzata. Una crisi "organica", direbbe Gramsci: che è il contrario del crollo, ma la più subdola scelta di regolazione autoritaria della complessità temuta (i movimenti, la sfera del no-global, le nazioni che si ribellano al G8) e del caos indotto (la spirale terrore-guerra).

Da questo punto di realtà non si capisce bene cosa sia oggi il "riformismo": se era l'idea di un governo temperato del liberismo essa è naufragata sotto il maremoto incandescente del "liberismo reale". Il liberismo è la culla della guerra infinita: chi non vede questa cosa non capisce nulla. Questa globalizzazione liberista non è emendabile: non voglio proclamare un dogma, ma dire pane al pane. Qui sbatte il muso, a questo muro di acciaio, il moderatismo del centro-sinistra (non solo in Italia).

Ma qui ci siamo noi: non proclamatori dell'errore altrui, non testimoni del politicismo che spellò viva la sinistra, ma costruttori di idee e lotte che acuiscano la crisi di consenso delle destre e che spingano il centro-sinistra a rispondere alle domande dirompenti di oggi: l'ambiente dissipato e sventrato, la precarietà che segna il lavoro e l'antropologia, il crescente immiserimento, una deriva di civiltà a cui non possono solo rispondere "siamo riformisti" e non possono nemmeno più replicare il film che portò alla sconfitta: "privatizziamo", "flessibilizziamo", "rendiamo compatibili".

Non esiste mediazione riformistica tra pace e guerra. Per questo la nostra sfida, guardando il mondo e l'Italia avvitarsi nella depressione economica e civile, non può che essere quella che chiama a raccolta le forze della democrazia e dell'antagonismo per costruire il percorso di una "alternativa di governo". Berlusconi è figlio e padre di questo "universo orrendo" (rubo da Pasolini): scalzarlo è un dovere democratico, anche per dare forza e speranza alle moltitudini che si organizzano in mille vertenze, per inceppare qui (in quella Italia che fu "anomalia" per la sua potenza operaia) il meccanismo infernale di un liberismo senza libertà, per spezzare una catena, per cominciare a far vincere quelli che hanno sempre perso.

Nichi Vendola

(28 settembre 2003)


Fonte: Liberazione online

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