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Se 11 milioni vi sembran pochi... - martedì 17 giugno 2003 at 23:50
Intervista a: Guglielmo Epifani
«Sono sereno e tranquillo, abbiamo fatto bene a partecipare a questo referendum e a prendere una posizione per il sì. Era la scelta giusta». Guglielmo Epifani difende la scelta sua e della Cgil di stare in campo, anche ora che il quorum non è stato raggiunto e anche se non manca chi indica il maggiore sindacato tra gli sconfitti di questa partita. «Noi questo referendum non l’abbiamo promosso, la nostra idea era e rimane diversa, ma abbiamo raccolto 11 milioni di sì per le riforme. È comunque un risultato significativo, c’è un importante fronte sociale che si è mosso: non basta. È necessario ampliarlo per sostenere la nostra strada per estendere i diritti e le tutele, quella di una legge».
Epifani qual è il suo giudizio su come sono andate le cose?
«Trovo irrispettoso affermare, come fanno alcuni, che 11 milioni di sì non contano niente. È un buon risultato. Se si fanno paragoni con i referendum passati compreso quello di validazione della legge di riforma costituzionale si può vedere che si tratta di un numero significativo di persone che si sono espresse con il voto. Se poi si vanno a guardare regioni come l’Emilia Romagna e la Toscana si vede che un terzo degli aventi diritto ha detto sì, in termini assoluti la metà dell’elettorato di queste regioni ha votato a favore».
C’è chi dice però che la Cgil è sconfitta...
«Direi sicuramente no: non abbiamo promosso questo referendum il nostro era un sì di partecipazione con l’obiettivo delle riforme. Un obiettivo che resta soprattutto se si guarda al rallentamento dell’economia e ai processi di precarizzazione che avanzano. Penso soprattutto ai decreti delegati della legge 30 che non sono strumenti di flessibilità ma in gran parte di precarietà. La Cgil andrà avanti, ora anche con il consenso di 11 milioni di cittadini che ci dà forza per continuare a lavorare per ampliare i diritti dei lavoratori e le tutele».
Si aspettava un’astensione così alta?
«Sì, me l’aspettavo, c’erano troppi elementi contrari perché il quorum venisse raggiunto. L’astensione Ds e di tutto l’Ulivo, la scelta della maggior parte delle forze politiche e di quasi tutte le forze sociali. L’informazione è stata pari a zero e questo ha avuto il suo peso, come pure credo la data e il gran caldo, io stesso per primo avevo già sottolineato come nessun referendum avesse mai raggiunto il quorum a scuole chiuse».
Si pone ora un problema all’interno della Cgil visto una parte dell’organizzazione e della segreteria era contraria - e oggi parla di errore e sconfitta - allo schierarsi per il sì? Ci sono tensioni?
«No, niente di questo. In Cgil abbiamo avuto opinioni diverse, c’è stato chi ha sostenuto un giudizio diverso dal mio, ma vedo che c’è la volontà di andare avanti unitariamente per il futuro. Lunedì si riunirà il direttivo si parlerà di referendum e a tutto campo della nostra strategia, della politica industriale e del terrorismo. Poi ripartiamo con lo stato sociale, le pensioni, il Dpef e naturalmente continueremo a batterci contro i contenuti della riforma del mercato del lavoro. Domani (oggi, ndr) terremo sul terrorismo una conferenza stampa con i segretari di Cisl e Uil. La Cgil continua a stare in campo con battaglie e valori, non ne esce ridimensionata, ma va avanti con forza tranquilla e determinata».
Ritiene che la stagione dell’articolo 18 sia chiusa?
«Non credo che si chiuda niente col referendum e penso che dobbiamo far di tutto perché non si modifichi l’articolo 18 e perché vengano estese le tutele. Non può passare il segnale che Confindustria e governo stanno facendo passare in queste ore e cioè che il voto autorizza a far tutto. Si troveranno contro la Cgil. Per noi l’art. 18 rappresenta un diritto dei lavoratori, e la politica di estensione di questo diritto va fatta anche nelle imprese sotto i 16 dipendenti. Crediamo che esista un grande problema di qualificazione dei diritti per tutto il mondo del lavoro parasubordinato e che si ponga tantopiù oggi di fronte al rallentamento dell’economia e della precarietà che avanza un urgente bisogno di riforma degli ammortizzatori sociali. Sono le quattro ipotesi di riforma sulle quali la Cgil raccolse 5 milioni di firme che sono in Parlamento e che oggi trovano il consenso di 11 milioni di cittadini che voglio ringraziare».
Non sarà facile visto come sono andate le cose.
«Infatti non lo è, è una prospettiva né facile, né breve. Anche per questo l’impegno della Cgil è lavorare per ricostruire e allargare il fronte sociale e politico favorevole all’estensione dei diritti perché c’è bisogno del maggior numero di consensi possibile, sia politici, sia parlamentari, sociali e territoriali per fare in modo che il Paese raggiunga questo traguardo di civiltà».
A proposito di forze politiche, che cosa cambia nei rapporti col centro-sinistra?
«Non cambia nulla, ognuno fa il suo mestiere, ognuno ha la sua rappresentanza. Prima citavo il voto delle regioni rosse: ci sono percentuali di sì più alte dove la sinistra è più forte. Credo che anche le forze dell’Ulivo debbano guardare con attenzione il voto, leggerlo in maniera disaggregata».
Avete detto che il referendum era lo strumento sbagliato per allargare i diritti, ma avevate anche detto che il referendum è uno strumento da riformare...
«Continuiamo a dire l’una e l’altra cosa. La Cgil a più riprese aveva criticato l’uso della via referendaria per estendere i diritti, noi siamo stati in campo col sì per le riforme e insistiamo col dire che per estendere i diritti la via maestra è quella dei processi di riforma. E il risultato del referendum dà sostegno, forza e fondamento alla nostra prospettiva. Avevamo prima e tanto più adesso rispetto per tutte le opinioni che si sono espresse in questo referendum, rispetto di chi si è astenuto e di chi ha partecipato al voto anche se per noi resta fondamentale assicurare a questo istituto di democrazia diretta un futuro e una pienezza di compiti democratici. In tempi non sospetti avanzammo alcune ipotesi di riforma del referendum lo facemmo ancor prima del referendum dei radicali, penso che sia necessario che si metta mano alla riforma se si vuole dare a questo istituto il ruolo e l’importanza che gli spetta».
(17.06.2003)

Fonte: L'Unità online



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