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Referendum contro l’arbitrio dei più forti - giovedì 12 giugno 2003 at 01:45
Referendum contro l’arbitrio dei più forti
di Paolo Cagna Ninchi*

Non tocca a me rispondere alla lettura "storica" della vicenda sindacale dal 1980 a oggi e alle dispute sulle vicende interne della sinistra. Il tema che mi tocca nell'intervento di Carlo Ghezzi (l'Unità del 27 aprile) è ripristinare qualche elemento di verità e di merito della scelta fatta da chi ha promosso il referendum. Alla fine del 2001 il Comitato per le libertà e i diritti sociali di Milano ha ragionato sull'ipotesi di ricorrere al referendum per allargare le tutele dell'articolo 18 non per suggerimento di Bertinotti e Sabattini (ma perché poi proprio Sabattini?), ma del ministro Maroni che aveva appena presentato il suo "libro bianco" sul mercato del lavoro, ora diventato legge 30/2003 e che costituisce il più radicale attacco al sistema di regole e diritti costruiti in un secolo di lotte sociali, giuridiche e politiche\, stravolge l'intero diritto del lavoro - dalla tutela si passa alla istituzionalizzazione della precarietà con nuove forme di rapporto di lavoro tutte in inglese: job sharing (un posto di lavoro diviso tra due o tre lavoratori, staff leasing (lavoro in affitto per tutta la vita) job on call (lavoro a chiamata, stai a casa e aspetta che ti chiami) - smantella i contratti collettivi come forma di solidarietà e difesa delle condizioni di lavoro, cancella il ruolo di rappresentanza e di contrattazione del sindacato, stravolge il patto sociale su cui si regge la Costituzione. Ora, per completare il quadro, al Senato si discute la delega che modifica l'articolo 18, la 848 bis. Questa la materia, questo il tema al quale dare risposta e non le vicende interne all'Ulivo e ai Ds, importanti ma non il primo pensiero degli italiani, per i quali l'insicurezza del lavoro è salita dal terzo al primo posto nella classifica amara delle preoccupazioni. Questa materia e questo tema erano la base della grande mobilitazione del 2002 e degli oltre 5 milioni di firme raccolte dalla Cgil per estendere i diritti nel lavoro. A questi milioni di donne e uomini, alle loro speranze bisogna dare una risposta. Lo si può fare con una legge? Magari, si potesse e sono in campo più proposte per una legge che affronti il tema dei diritti del lavoro nel quadro profondamente modificato di questi anni che vede circa 10 milioni di lavoratori (quelli senza articolo 18, i co.co.co. e i lavoratori in nero) senza tutele. Compresa quella articolata della Cgil per estensione dell'art. 18, diritti agli atipici, democrazia nei luoghi di lavoro. Una buona cosa e una importante battaglia parlamentare. E il comitato che ha promosso il referendum, anche per il suo ruolo istituzionale, non è contrario a una legge, solo sa - come tutti sanno benissimo - che oggi non esistono le condizioni politico-parlamentari per un intervento legislativo che vada in questa direzione. In questo quadro il referendum è l'unico strumento disponibile per rispondere a quelle speranze, per impedire la manomissione dell'articolo 18 (se il parlamento approva la delega sul 18 prima del referendum essa viene inglobata nel quesito e dopo se vince il sì non se ne fa più nulla), per rovesciare la logica della precarietà e dell'arbitrio come norma delle relazioni sociali, per dare una prospettiva a chi è oggi fuori da qualunque tutela, insomma per dare corpo alla battaglia per i diritti, per la libertà e la dignità del lavoro e quindi per la civiltà: le parole d'ordine con le quali la Cgil ha riempito le piazze d'Italia. Se questo referendum è contro la Cgil Ghezzi lo deve anche spiegare alla Fiom, alla Cgil di LavoroSocietà, alle tante categorie e Camere del lavoro che si sono pronunciate e si pronunciano per il sì, e anche a me che sono uno dei tanti iscritti alla Cgil. Ma non me lo deve spiegare guardando all'Ulivo e ai Ds. Me lo deve spiegare guardando alla questione che ho posto con il referendum: rendere effettiva la tutela del diritto al lavoro. Perché ripristinare nel nostro paese la libertà di licenziamento si riflette sui diritti di libertà primari
(libertà di pensiero, di espressione, di adesione a partiti politici o a formazioni sindacali, etc.) e su ogni altra forma di tutela (a cominciare da dignità e sicurezza). Chi infatti può essere licenziato senza ragione legittima e senza la possibilità di ottenere un rimedio giudiziale effettivo, ben difficilmente si opporrà a qualsiasi forma di pressione, di molestia, di sopruso nello svolgimento del rapporto di lavoro. Insomma il referendum pone una scelta tra due modelli di relazioni: uno regolato dall'arbitrio del più forte, l'altro informato a regole e tutele fondate sull'eguaglianza dei diritti e la difesa dei più deboli, una questione di giustizia, di civiltà, con un Sì o con un No, a tutti i cittadini, indipendentemente da come votano alle elezioni politiche. Una battaglia di giustizia e di civiltà raccoglie le risorse, le intelligenze, le energie di chiunque - e comunque organizzato - ne condivide le ragioni, apre un confronto generale, senza barriere ideologiche, senza steccati di schieramento, senza logiche di primazia. Ghezzi infine rifletta anche sul fatto che la vittoria del Sì può aprire una nuova stagione sociale e politica con ragioni di unità per una sinistra che vorrà essere meno attenta alle logiche di schieramento, ai propri processi interni, e più alle domande della società, del mondo del lavoro, dei più deboli.

* Presidente del comitato promotore del referendum sull'articolo 18


Fonte: L'Unità online


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