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Articolo 18, perché votare sì - domenica 18 maggio 2003 at 20:18
Articolo 18, perché votare sì
da Repubblica
Luciano Gallino 18/5/03

Quando perfino ex-sindacalisti e docenti di diritto del lavoro che hanno speso la vita per espandere i diritti dei lavoratori invitano a non partecipare al referendum sull´articolo 18, chi pensava inizialmente di assumere una posizione diversa – andare a votare sì – non può fare a meno di sentirsi a disagio. Aveva già dovuto prendere atto che il proposito di astenersi al referendum ha ottenuto il consenso della maggioranza dei Ds, della totalità della Margherita, di due importanti sindacati come la Cisl e la Uil, di molti esperti del mercato del lavoro. Si aggiungano le dichiarazioni a favore del no di esponenti della destra diessina e di altre parti del centrosinistra. Dinanzi a uno schieramento così ampio, le convinzioni di chi guardava al sì sull´articolo 18 come un atto magari ingrato ma doveroso non possono che restarne scosse.
La rivisitazione di convinzioni che uno poteva credere prossime al comune sentire di tutti coloro che scorgono nel lavoro un valore centrale del processo democratico, mentre pare si stiano rivelando minoritarie, deve partire da una verifica delle ragioni indicate dai fautori dell´astensione. Di certo esse appaiono fondate. Non c´è dubbio che proporre il referendum sia stato uno sbaglio. Non ci sono nemmeno molti dubbi che tra i suoi proponenti alcuni mirassero, non meno che a estendere lo Statuto dei lavoratori alle microimprese, a crear problemi al sindacato e ai Ds. È anche fuor di discussione che il referendum - continua l´elenco delle ragioni contro - sia idoneo a risolvere alcun problema circa le condizioni di lavoro dei dipendenti delle imprese al di sotto dei 16 addetti. A tale fine sarebbe necessaria una legge apposita, di cui sono state già tracciate linee fondamentali sia nel manifesto programmatico dei Ds dell´aprile scorso, sia nelle proposte della Cgil per estendere diritti e tutele sorrette da cinque milioni di firme. Né si vede come si possa pensare di mettere sullo stesso piano, per cercare poi di proteggerli con il medesimo tetto dell´articolo 18 debitamente esteso, l´aziendina di un idraulico che ha due aiutanti e un cantiere navale; lo studio dentistico con tre dipendenti e un´acciaieria; la fiorista che si fa aiutare da un parente e un´azienda di elettrodomestici. In una microimpresa, è stato giustamente sottolineato, le relazioni sociali particolaristiche che si stabiliscono tra il titolare e i dipendenti non sono assoggettabili alle stesse forme di regolazione dei licenziamenti che lo Statuto dei lavoratori prevede per le imprese medie e grandi.
Purtuttavia, una volta ripercorse le ragioni dell´astensione dal voto sull´articolo 18 e averle trovate ben fondate, quelle tali convinzioni di segno contrario sono ancora riluttanti ad abbandonare il campo. Il fatto è che sia il significato sia le conseguenze delle azioni che uno compie non dipendono solamente da ragionamenti ben costruiti e dai dati su cui si fondano. Ancor più dipendono dal quadro di riferimento in cui quelli si collocano. Nel caso del referendum sull´articolo 18, rispetto al momento in cui esso fu promosso, circa un anno fa, il quadro di riferimento è cambiato in modi sufficienti ad attribuire un significato assai diverso a questa consultazione. Un anno fa il quesito referendario si poteva ancora esprimere così (semplificando l´illeggibile testo in giuridichese che troveremo stampato sulla scheda): «Volete voi estendere l´applicazione dell´art. 18 dello Statuto dei lavoratori alle aziende con meno di 16 dipendenti, dal quale deriva l´obbligo per l´azienda di reintegrare - cioè riassumere – il lavoratore licenziato senza giusta causa, e il divieto di sostituire il reintegro con un risarcimento?». Oggi ciò che si troverà scritto sulla scheda avrà invece questo esplicito significato: «Volete difendere il diritto del lavoro come strumento di giustizia sociale e di garanzia per il futuro vostro e dei vostri figli?»
A modificare in profondità il significato del quesito referendario sono stati, a un tempo, gli atti legislativi degli ultimi mesi e la proliferazione dei lavori precari. La delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro è diventata legge (n. 30 del 14/2/2003). Essa agevola il trasferimento da un soggetto giuridico a un altro «di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti», subordinandole unicamente al requisito «dell´autonomia funzionale». Inoltre moltiplica i soggetti pubblici e privati autorizzati a svolgere il ruolo di intermediari per la «somministrazione di manodopera», il che comporta la licenza di affittare lavoratori ad aziende terze non solo come singoli lavoratori, ma anche in gruppo. Nel frattempo procede per la sua strada il disegno di legge n. 848-bis, che delega il governo a sospendere per quattro anni l´articolo 18 nelle aziende dove esso è vigente, prevedendo in alternativa alla riassunzione il risarcimento del lavoratore licenziato senza giusta causa. L´insieme di tali dispositivi permetterà di sopprimere gli effetti deterrenti dell´articolo 18 contro i licenziamenti facili in molte aziende, e di aggirarlo in parecchie altre. Basterà infatti prendere un reparto con 60 addetti e suddividerlo in quattro aziende con 15 dipendenti ciascuna, dimostrando beninteso che ciascuna di essa è "funzionalmente autonoma". Dopodiché ciascuna approfitterà delle nuove possibilità di affittare lavoro per allargarsi molto al di sopra della soglia dei 15 dipendenti, senza più l´impiccio dell´articolo 18.
Al progressivo sgretolamento per via normativa dell´articolo 18 si è accompagnata, nell´ultimo anno, una accelerata diffusione dei lavori precari in ogni settore d´attività, inclusa la Pubblica Amministrazione. A quattro giovani su cinque ormai non si offrono altro che contratti di breve durata, o la compartecipazione a cooperative dove è magari stabile il contratto, ma povera la paga. Con la proliferazione oggettiva di tali lavori si è approfondito il senso soggettivo di precarietà, di insicurezza della vita di lavoro che le persone avvertono per sé, i familiari, gli amici, la comunità in cui vivono.
Tutto ciò ha modificato il quadro di riferimento in cui si colloca il referendum, facendo ora apparire sfocate o non pertinenti buona parte delle ragioni del non voto. Il 15 giugno non si tratta più di votare solamente per estendere alle imprese non individuali l´obbligo di riassumere un dipendente licenziato senza giusta causa. Votando sì sull´articolo18, elettori ed elettrici esprimeranno in realtà la volontà di tenere in piedi l´edificio complessivo del diritto del lavoro, rendendo quanto meno più difficili le operazioni di smantellamento avviate da governo e Confindustria. Una volta che fosse espressa tale volontà, per restaurare e rendere più funzionale l´edificio alle esigenze attuali non mancheranno gli architetti. In caso contrario basteranno le ruspe per portar via le macerie.



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