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Unità del paese nel segno della adunata alpini - lunedì 12 maggio 2003 at 15:56
UNITA' DEL PAESE NEL SEGNO DELLA 76.ma ADUNATA DEGLI ALPINI DI AOSTA

La Città di Aosta, una "piccola gemma incastonata tra le Alpi", come l'ha definita il Sindaco Guido Grimod, ha ospitato quest'anno la 76.ma Adunata Nazionale degli Alpini.
"Gli alpini sono una gloria indiscussa di tutta la Nazione", ha scritto l'Assessore al Turismo Alberto Cerise nell'opuscolo con il calendario della manifestazione, "ma l'orgoglio della gente di montagna è certo più sentito: la Valle con la sua lunga storia di alpinismo e la sua Scuola Militare Alpina, partecipa del loro spirito che rispecchia e potenzia tante virtù delle popolazioni montanare quali la semplicità, la concretezza, il senso del dovere e della disciplina, la solidarietà. Quando poi la storia li ha chiamati, gli alpini hanno dimostrato quel valore sostanziato di forza e fermezza d'animo che li ha fatti entrare nella leggenda e di cui anche i più giovani tra loro portano l'eredità. Lontani dall'esaltazione di un spirito militaresco e guerriero, al cui ritorno non vorremmo assistere, riconosciamo invece in loro i significati positivi che si possono attribuire ad un corpo militare, un patrimonio morale inestimabile che fa parte della memoria storica collettiva e che, come tale, stabilisce un ponte tra passato e presente. Di uomini così la società avrà sempre bisogno".
In passato, a cavallo degli anni '70, forse senza tanto entusiasmo ma per una sorta d'impegno morale preso con il precedente Presidente deceduto, avevo assunto l'incarico di responsabile della Sezione di Aosta dell'Arma di Cavalleria e, di conseguenza, anche quella di Consigliere Nazionale.
Ed erano stati soprattutto le periodiche riunioni nazionali e la possibilità di conoscere molti ufficiali in congedo, ma anche alcuni in servizio, ed anche seduti ad alti livelli di comando, ad offrirmi l'occasione, quale cittadino militante nel sindacato e collocato in certi movimenti politici non certamente di destra, di prendere coscienza del "clima politico" esistente e "misurare la tensione" che in quegli anni agitava diversi settori delle forze armate.
E' vero che l'Arma di Cavalleria, per tradizione storica, ha sempre incarnato lo spirito monarchico di casa Savoia, ma è anche vero che ho conosciuto degli alti ufficiali che, dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica con convinzione e profonda onestà intellettuale, mal digerivano certe "espressioni eversive" che ogni tanto alti ufficiali ancora in servizio si lasciavano involontariamente sfuggire di bocca.
Prevenuto da questa esperienza avevo sempre visto le adunate nazionali dei gruppi militari come l'incarnazione di una sorta di "sciovinismo" e le avevo sempre evitate.
Ma quest'anno l'arrivo degli alpini ad Aosta era stato preceduto da una serie di iniziative e di manifestazioni che mi avevano destato un certo interesse.
La cosa che più mi aveva colpito (abituato com'ero a vivere in una regione in cui prevale la difesa strenua delle proprie tradizioni, unita ad una convinta tutela della propria autonomia e ad una forte diffidenza verso il potere centrale) era stata l'esposizione dello stendardo italiano ai balconi delle case e l'imbandieramento massiccio delle strade e degli edifici pubblici di tutta la Valle a cui si accompagnava una invasione di locandine e manifesti inneggianti agli alpini, rigidamente stampati su sfondo tricolore.
Questo sfoggio di bandiere nazionali, in una regione che ama esporre con affetto quasi morboso il proprio vessillo "rouge et noir", mi aveva dato una carica nuova indotta, forse, dal clima politico che stiamo attraversando e dai tentativi ormai non più tanto celati di "devolution" dello stato italiano portati avanti da alcune forze politiche che vedono nel federalismo un tentativo reale di riprodurre forme di gestione del potere locale che tanto rassomigliano ai "governatorati" americani.
Ebbene assistere alla sfilata degli alpini ad Aosta è stata un'occasione unica perché gli striscioni che precedevano i vari gruppi locali di Varese, di Bergamo, di Brescia, del Trentino ed Alto Adige, del Veneto, ecc…, località dove è forte la presenza della "Lega" di Bossi, ricordavano anche il sacrificio dei nostri soldati nella guerra del 1915-18 a difesa di una "Patria" unita che alcuni politici (che dichiarano di essere espressione anche di questo popolo in marcia) stanno cercando di mettere in crisi.
Striscioni che rappresentavano la volontà di un popolo desideroso di mantenere la propria identità ed unità nazionale, rafforzata dal vessillo unificante del tricolore, che in questo caso non assumeva solo una simbologia militaresca ma un significato molto più ampio di volontà unificatrice a fronte dei tentativi di coloro che vorrebbero dividere il territorio nazionale per un puro calcolo elettorale e clientelare, con tutti i rischi reali che tale divisione potrebbe comportare alla civile convivenza del nostro popolo.
Per certi versi, quindi, la manifestazione degli alpini di Aosta è stata una ricarica ideale per coloro che ancora credono in quella unità nazionale risorgimentale che è stata costruita, occorre ricordarlo a chi l'avesse dimenticato, mandando al macello centinaia di migliaia di soldati, in buona parte contadini, e molti in prevalenza meridionali, che sul Carso sono stati immolati soprattutto in funzione di una precisa scelta politica (il cosiddetto "necessario bagno di sangue" che Pio X aveva osteggiato definendolo "l'inutile massacro") tesa unicamente ad inculcare il sentimento, lo spirito e gli ideali di appartenenza alla nazione italiana.
Per questi motivi quel sacrificio, unito ai milioni di morti della seconda guerra mondiale, non può e non deve essere dimenticato ed il messaggio che parte dalla sfilata degli Alpini di Aosta sembra volerci ricordare proprio questo.
Salvatore Armando Santoro



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