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Referendum ed Unità delle Opposizioni e Sindacati - domenica 4 maggio 2003 at 10:10
Ho seguito con interesse il dibattito di Venerdì 2 maggio su Excalibur e sinceramente sono rimasto abbastanza scosso su alcuni interventi compresi quelli del mio amico ed ex-leader del mio sindacato, Franco Marini. Ma quello che mi ha di più colpito è stato l'intervento di Salvi quando replicando, mi sembra, all'economista Brunetta si è intenzionalmente rivolto più volte ai telespettatori, con un messaggio ironico ma inquietante, sui futuri progetti governativi di presentazione di una nuova legge di abolizione dell'art. 18 anche per le aziende superiori a 15 dipendenti.
Segnali che dovrebbero far meditare sicuramente i partiti politici, che si oppongono al governo di centro-destra di Berlusconi, ma soprattutto i sindacalisti che dovrebbero ritrovare la loro unità, oggi più che mai indispensabile, perché questo governo sta dimostrando nei fatti quali siano le sue reali intenzioni future in materia di politiche per il lavoro.
Va bene che Bertinotti appartiene alla mia generazione e, forse, la nostra visione della realtà ed il nostro ruolo nella società attuale potrebbe apparire a qualcuno un po' estemporaneo, ma non riuscire a capire la partita in gioco che c'è dietro la battaglia sul referendum dell'art. 18, e sulla pericolosità che l'attuale governo rappresenta per la classe lavoratrice, mi sembra pura follia.
E si badi bene: quando parlo di classe non mi riferisco sicuramente alle note categorie marxiste di divisione della società, ma mi riferisco a quanti, operai, impiegati, quadri, dirigenti, consiglieri di amministrazione, ecc… ecc.. , per poter sopravvivere o vivere, non avendo risorse proprie, hanno bisogno di un salario o stipendio o di com'altro si voglia chiamarlo.
Sembra che sindacalisti e parte delle opposizioni siano pervasi da un grande paura di chissà quali disastri potrebbero capitare se il referendum dovesse dare un esito positivo.
Intanto bisogna partire dalla premessa che il lavoratore, cioè colui che secondo il tanto vituperato pensiero marxista offre la sua forza-lavoro, è comunque e sempre svantaggiato rispetto a chi ha la possibilità di scegliere tale forza-lavoro. Se a questo si dovesse anche aggiungere la libertà indiscriminata di licenziare quando e come il patronato ritiene opportuno vorrei capire, rispetto a certe norme costituzionali, ad esempio - tanto per citarne una, anche se mai attuata - l'art. 4, quali garanzie di tutela resterebbero al lavoratore.
Nelle piccole aziende poi la situazione è drammatica appunto perché generalmente i datori di lavoro vivono e lavorano a contatto dei propri dipendenti ed il rapporto che si instaura sul posto di lavoro non è sempre così "paradisiaco", come vogliono dare ad intendere i vari imbonitori nei dibattiti televisivi, per via anche di una certa ignoranza insita in tanti artigiani o piccoli imprenditori che pretendono di governare le loro aziende come piccoli feudi dove le leggi dello stato, che prevedono tutela e diritti per i lavoratori, compresi quelli relativi alla loro dignità personale, dovrebbero restare fuori dalla propria azienda.
Ed è proprio in queste piccole aziende, dove nei fatti sopravvive una forma di taylorismo delle origini, che si perpetuano i soprusi maggiori e la liberalizzazione del mercato del collocamento contribuisce a dare maggior agibilità a questi soprusi, accelerando la convinzione nei titolari di queste aziende che potranno comportarsi come meglio riterranno opportuno, certi che le leggi dello stato non potranno disturbarli più di tanto.
Per quanti, come il sottoscritto, che tanti anni or sono hanno festeggiato nelle piazze e con i lavoratori l'abolizione delle famigerate "zone salariali", esistenti in passato nei contratti di lavoro e che nei fatti penalizzavano come sempre maggiormente i lavoratori del mezzogiorno, sentire oggi accreditare come una grande conquista la stipula dei contratti d'area, che nei fatti ripropongono le abolite "zone salariali", mi sembra una grossa assurdità ed appare strano che proprio la Cisl, nella quale ho militato come dirigente e che si è sempre contraddistinta per la sua autonomia e per le sue intuizioni in passato (vedi ad esempio la contrattazione integrativa, tesa a consentire una maggiore partecipazione agli utili aziendali da parte dei lavoratori), oggi non riesca a comprendere l'assurdità di certi accordi e di certe proposte che nei fatti tendono a sminuire il significato dei contratti nazionali di lavoro, che vengono mortificati con la stipula dei cosiddetti contratti d'area, o fornendo il proprio consenso per altre amene simili iniziative.
Il dar voce, poi, a quanti sostengono che con il collocamento privato si sia eliminata la "burocrazia" del collocamento pubblico, si commette un ulteriore grossolano errore in quanto sembra si voglia ignorare che la miriade di agenzie interinali che stanno sorgendo come funghi sul territorio nazionale nei fatti rappresentano delle vere forme di "caporalato" che "selezionano" in modo "selvaggio" e "romano" la manodopera (cioè chi accetta certe condizioni lavora e chi non li accetta è libero di buttarsi giù dalla rupe Tarpea), ignorando anche che certe categorie un tempo protette dal collocamento pubblico in futuro avranno delle grossissime difficoltà a trovare collocazione.
Se consideriamo, poi, certe forme di contratto a termine, e la condizione che il lavoro oggi può trovarsi nel comune di residenza e domani a 50 o 100 chilometri di distanza, contrariamente a quanto interessatamente qualcuno sostiene sulla bontà di tale forma di occupazione, questa condizione non garantirà in futuro ai nuovi lavoratori una maturazione di specializzazioni specifiche a causa dell'occasionalità del lavoro offerto, e non si consentirà neppure ai giovani di avere certezze per il futuro per potersi costituire una loro famiglia, in quanto sarà messa in forse dalla precarietà e mutevolezza delle condizioni di lavoro e da un salario instabile ed incerto per molti mesi dell'anno.
Sono questi i dubbi, legati alla mia esperienza passata ed al fatto di conoscere molto bene la mentalità del "padrone", che mi inducono a certe considerazioni e mi fanno comprendere che oggi non abbiamo più davanti il vecchio modello di sviluppo e la vecchia Democrazia Cristiana, che tale sviluppo aveva garantito, ma ci troviamo di fronte ad una nuova classe politica che privilegia la globalizzazione selvaggia e dove il padronato trova ascolto e leggi a sua favore mentre il lavoratore si trova espropriato anche dei più elementari diritti a tutela della sua dignità che non potranno più essere garantiti dai vecchi accordi sindacali, considerato che questi non garantiscono neppure quei tanti milioni di lavoratori che non rientrano nella sfera dei contratti collettivi nazionali delle imprese maggiori.
Per questi motivi la mia convinzione della necessità di una unità incondizionata del sindacato e dei partiti di opposizione (Rifondazione compresa che dovrebbe rinunciare a certe forme estremistiche di contrapposizione che io ritengo improduttive in questa situazione) è di fondamentale importanza per impedire che il progetto di una nuova società tayloristica prenda piede e, soprattutto, che faccia comprendere agli attuali governanti che il paese reale non sarà disponibile ad accettare una trasformazione della società democratica attraverso una fascisticizzazione "soft" delle istituzioni della nostra Repubblica nata dalla Resistenza e dalla lotta al nazifascismo.

Santoro Salvatore Armando

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