News Item

View All News Items

Una ingiustizia alle origini di una devianza - martedì 22 aprile 2003 at 22:06

UNA INGIUSTIZIA ALLE ORIGINI DI UNA DEVIANZA
Quando lo stato riparerà i torti subiti dal Brigante Musolino?

Enzo Magrì, dopo aver espresso il meglio di se stesso con un precedente libro "IL BANDITO GIULIANO" pubblicato per i tipi della Mondadori nel 1987 ci offre un nuovo ed interessante spaccato della società meridionale d'inizio secolo con il volume "IL BRIGANTE MUSOLINO" dove, narrativa ed antropologia si intrecciano riuscendo a trasportare il lettore nel clima politico e culturale a cavallo tra fine '800 ed inizio '900 e riuscendo a fornire una chiave di lettura chiarissima della realtà geopolitica calabrese di un periodo storico dove i soprusi baronali, l'arretratezza culturale e morale della popolazione trovavano quasi una giustificazione nell'azione del brigantaggio mentre i tentativi repressivi da parte delle forze di polizia si scontravano con gli atteggiamenti di omertà e di complicità delle masse rurali che vedono nei ribelli un modo per esprimere la loro rivolta contro lo sfruttamento a cui erano sottoposti.
Dell'innocenza di una persona, dopo che questa ha scontato trent'anni di ergastolo e dopo il suo decesso, non interessa più a nessuno.
Eppure tutto ciò non è corretto. Un uomo condannato ingiustamente dovrebbe avere un minimo di risarcimento morale e materiale. E se deceduto, tale risarcimento dovrebbe andare alla famiglia o ai suoi discendenti. Questi hanno visto il loro casato infangato da una condanna ingiusta, che ha anche comportato nel tempo disagi e danni economici che si sono ripercossi nel tempo sui familiari e sui loro eredi.
Se fossi un magnate sicuramente finanzierei una iniziativa di revisione del processo Musolino al fine di rendere almeno giustizia ad un giovane che è stato spinto, proprio dalla giustizia che avrebbe dovuto tutelarlo, a diventare un assassino.
E' vero che Musolino viveva in un contesto in cui la spavalderia e la violenza erano moneta corrente, ma è anche vero che dopo l'unificazione italiana le condizioni morali e materiali del popolo calabrese non consentivano la crescita di una coscienza civile della popolazione: Lo strapotere dei baroni, poi, e gli intrighi dei politicanti locali, che molte volte riuscivano anche con false testimonianze a fare incriminare e, quindi, eliminare dal contesto politico, i loro concorrenti, erano occasione per alimentare una rivolta interiore delle masse popolari soggette a condizioni disumane di sfruttamento e di soggezione.
L'azione si svolge in un siffatto contesto di arretratezza e la rivolta per l'ingiustizia subita trasformano Musolino in una sorta di vendicatore e di riparatore dei tanti torti subiti dalla popolazione meridionale.
Anche la vendetta gioca una parte importante in questa vicenda, anche se, come fa osservare l'autore, la vendetta non è una pratica fiorita nel meridione ma vi è stata importata dall'esterno. Infatti la vendetta era patrimonio culturale delle regioni settentrionali d'Europa che ve la introdussero in Italia con le invasioni barbariche. Nel mezzogiorno forse attecchì con più forza rispetto alle altre regioni appuntò per le condizioni di sottosviluppo in cui versava questa regione, anche se l'autore fa notare che tale cultura della vendetta aveva in altre parti d'Italia dei sostenitori accaniti e racconta la storia di un pio uomo fiorentino che dopo essere stato pugnalato da un amico, in punto di morte chiede perdono a Dio ma lasciò nel testamento un lascito per colui che avrebbe ucciso il suo feritore.
In tale contesto si sviluppa la reazione di Musolino ai soprusi subiti e la vendetta gioca un ruolo non secondario per punire i delatori che con le loro false testimonianze lo avevano rovinato.
Che Musolino abbia potuto fare tutto da solo è uno dei dubbi ricorrenti nel volume. Fu la 'ndrangheta ad aiutarlo oppure una serie di situazioni favorevoli e la sua testardaggine, uniti ad una buona dote di abilità personali e di fortuna, gli consentirono di farla franca e di ridicolizzare centinaia e centinaia di carabinieri e di "cacciatori di taglie" che erano stati sguinzagliati sulle sue tracce per catturarlo dopo la sua evasione dal carcere di Gerace e dopo le prime vendette che aveva incominciato a praticare?
Il volume di Magrì, logicamente in molti punti frutto di intuizione personale, si scosta tuttavia da tanti altri autori che hanno romanzato altri personaggi che nel passato sono assurti agli onori della cronaca giudiziaria.
Infatti lo sforzo dell'autore è quello di una profonda accusa a tutto il sistema giudiziario di quegli anni che trovava fondamento nelle teorie del Lambroso sulle caratteristiche morfologiche e somatiche dei criminali che avrebbero, poi, avallato prima la condanna, senza approfondire gli elementi di squilibrio mentale già manifestati in più occasione dal Musolino, e successivamente l'incivile ed inumana segregazione a cui fu sottoposto per ben 10 anni nel carcere di Portolongone (oggi Porto Azzurrro) nell'Isola d'Elba dopo la condanna a 30 anni, emessa dal tribunale di Lucca.
I dieci anni di isolamento inflitti contribuirono a far peggiorare le sue già precarie condizioni fisiche e mentali fino a portarlo alla pazzia. Da qui la denuncia ancora più dura da parte dell'autore nei confronti di un sistema carcerario che, lungi dal prodigarsi per il recupero del condannato, non fece altro che aumentare o addirittura motivare, con le sue restrizioni e le sue regole inumane, l'odio verso la società e soprattutto verso coloro, testimoni, giudici e poi carcerieri, ritenuti, ed a ragione aggiungerei, la causa del suo comportamento asociale e ribelle.
Infatti quale condannato (o persona normale) sopporterebbe oggi senza dar di testa ben 10 anni di segregazione in isolamento, dovendo elemosinare un paio di fogli di carta settimanali per poter per lo meno ingannare il proprio tempo scrivendo?
La considerazione più amara sta nella constatazione che nonostante le visite mediche a cui Musolino era stato sottoposto durante la detenzione dell'Isola d'Elba da parte dell'ispettore sanitario, Filippo Saporito, inviato appositamente per ben due volte dal Ministero, e questo nonostante che nel corso del processo di Lucca del 1902 il parere dei periti si fosse diviso tra favorevoli alla sua pazzia e quelli decisamente contro, non vennero valutati gli elementi di squilibrio mentale che si stavano aggravando in Musolino e che erano già esplosi durante la sua prima segregazione all'ospedale criminale di Reggio Emilia dopo la sua cattura, soprattutto a causa dell'isolamento a cui era sottoposto e che un tentativo di reinserimento, almeno tra i detenuti comuni, avrebbe potuto evitarne l'aggravamento ed avrebbe offerto occasione di socializzazione tale da bloccare l'escalation della sua follia.
Ma l'altra più amara considerazione viene dalla constatazione che mentre la scienza ammise più tardi i propri errori, asserendo che era mancato il coraggio di porsi contro altri colleghi e contro il potere costituito nell'affermare e sostenere la pazzia di Musolino, lo stato non riconobbe mai i suoi errori.
Ed anche quando dall'America l'ex-picciotto Giuseppe Travia ammise di aver sparato lui contro lo Zoccali, episodio per il quale era stato incriminato e condannato a 21 anni di reclusione Musolino, grazie anche ad una serie di false testimonianze non valutate adeguatamente, nessuna revisione del processo fu avviata per restituire almeno giustizia ad un uomo che ritenne opportuno farsela da solo per la superficialità del sistema giudiziario.
E neppure l'unica sorella "superstite Anna era in grado di indurre lo stato, ormai fascista, a riconoscere i pasticci di uno dei suoi poteri sulla cui fedeltà faceva molto affidamento".
Ma oggi, col senno di poi e guardando a quegli avvenimenti passati diventano più chiare le parole rivolte ai giurati da Musolino nel processo di Lucca che rappresentano oggi un macigno sulla coscienza del persone del nostro tempo che credono nell'efficienza e nell'efficacia della giustizia e del diritto.
Musolino aveva detto: "Se un uomo campasse cento oppure duecento anni, una condanna a quattro o cinque anni sarebbe un fatto grave e sopportabile considerando il grande tempo che gli rimane da vivere; ma come può un uomo giovane e innocente che si sente strappare dalla sua vita e condannare a ventuno anni di carcere sopportare tutto questo?"
Ed oggi potremmo concludere anche noi con una amara considerazione: Come possono i cittadini, dopo aver saputo come realmente si siano svolti i fatti in quel lontano inizio secolo, sopportare l'ingiustizia perpetrata dalle istituzioni senza che queste avvertano ancor oggi il bisogno di avviare autonomamente una revisione di quel processo per rendere giustizia ad una persona che le stesse istituzioni costrinsero a diventare un assassino e che poi punirono in modo così terribilmente atroce?

Santoro Salvatore Armando - Lillianes (AO)


(Recensione del libro "MUSOLINO il brigante dell'Aspromonte" di Enzo Magrì - Ed. Camunia- 1989)


home page






Per inviare una tua notizia alla redazione, posta qui:

news per la redazione altomesima


Powered by Web Wiz Site News version 3.05
Copyright ©2001-2002 Web Wiz Guide