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Intervista al ministro Frattini sul Riformista - martedì 18 marzo 2003 at 13:17
18 Marzo 2003
CONVERSAZIONE. «FIN DALL’INIZIO ABBIAMO DETTO A WASHINGTON CHE NON AVREMMO INVIATO TRUPPE»
Frattini racconta perché non saremo belligeranti «Ma l'Italia è willing e resta alleata degli Usa»
Il ministro degli Esteri invita l’opposizione a confermare la solidarietà euroatlantica su basi e sorvolo

«Le dico come sono andate le cose: fin dal primo incontro tra Berlusconi e Bush in Texas, e poi in tutti i miei contatti successivi, abbiamo detto agli americani che non avremmo partecipato con nostri soldati a un eventuale disarmo forzoso dell'Iraq. Non perché dubitiamo che la risoluzione 1441 dell'Onu sia sufficiente a dare base legale a un'operazione di polizia internazionale, di enforcing di quanto era già stato prescritto a Saddam nel '91. Ma perché l'impegno per la pace dell'Italia si è distinto tradizionalmente nella capacità di contribuire alle operazioni di peacekeeping». Franco Frattini ha appena pranzato con Francesco Rutelli, Umberto Ranieri e Franco Danieli, rappresentanti dell'opposizione, che ha informato della linea che seguirà il governo italiano. Spiega dunque al Riformista che «gli americani non ci hanno chiesto uomini e mezzi per lo sforzo bellico perché noi abbiamo detto che non avremmo potuto darli. E loro hanno capito la nostra posizione». Ma annuncia che «l'Italia si è impegnata a partecipare con uomini e mezzi all'opera di institution building nel dopoguerra, nell'ambito di quell'intervento multilaterale che il vertice delle Azzorre ha proposto». Anzi, per Frattini questo è stato un successo dell'iniziativa diplomatica italiana, che con altri governi (Londra in primo luogo), avrebbe convinto gli Usa a rinunciare all'idea di un governatorato militare dell'Iraq, lasciando invece spazio all'Onu e alla Ue per riprendere dopo il conflitto i fili del multilateralismo. Frattini ha informato l'opposizione che il governo chiederà al parlamento di confermare quello «zoccolo minimo di supporto logistico, in particolare l'uso delle basi e il sorvolo dello spazio aereo, che anche la Germania concederà, pur avendo un dettato costituzionale anche più stringente del nostro». «Io auspico - dice Frattini - che l'opposizione in parlamento non si esaurisca sulla valutazione tecnico-giuridica dell'articolo 11 o dei commi dei trattati, ma colga il fatto politico: noi non possiamo finire la guerra dalla parte opposta a quella in cui l'abbiamo cominciata. Ne va della nostra credibilità internazionale, del nostro interesse nazionale. Questo sì indebolirebbe la nostra presidenza semestrale dell'Europa. Il parlamento deve riaffermare la solidarietà euroatlantica. Noi europei non possiamo essere consumatori di sicurezza prodotta dagli Usa, senza mai essere noi stessi produttori di sicurezza. Non possiamo chiedere a gran voce l'impegno degli Usa nei Balcani e poi non aiutare gli alleati nel momento del bisogno». Per Frattini, oltre al supporto logistico e alla disponibilità per il dopoguerra, l'Italia non ha assunto altri impegni. «L'eventuale sostituzione di forze alleate in altri teatri che non siano l'Iraq è questione che dipende dalle richieste Nato. Se arriveranno, le valuteremo».
Dunque l'Italia si considera a pieno titolo nella «coalizione dei willing», e la dichiarazione resa ieri da Berlusconi di appoggio al Trio delle Azzorre ne è la sanzione politica. Non sarà cobelligerante per una decisione politica autonoma. Ma resta alleata degli Usa. E ritiene che questa politica non sia in contraddizione con la linea tradizionale di ancoraggio all'Onu e alla Ue. «Dal punto di vista legale il nostro comportamento è congruente con le prescrizioni dell'articolo 11 e con i trattati internazionali, e siamo in contatto costante con il Quirinale per rispondere di tutte le questioni costituzionali che dovessero sorgere». Ma il ministro degli Esteri di Berlusconi, al suo battesimo del fuoco, preferisce concentrarsi sugli aspetti politici.
«E' vero - dice rispondendo alle critiche sull'ambiguità della posizione italiana - che nelle ultime settimane la nostra azione diplomatica non ha conquistato la prima pagina del Financial Times o di Le Monde. Ma questo è avvenuto per due ragioni: la prima è che non eravamo nel Consiglio di sicurezza; la seconda è che abbiamo lavorato per la pace con una politica di persuasione e di convincimento, dunque meno visibile. Abbiamo però esercitato un ruolo: con pressioni sui paesi arabi per trovare una soluzione pacifica, attraverso l'esilio di Saddam. Purtroppo abbiamo fallito. E hanno fallito i paesi arabi che ci hanno seriamente provato. Gheddafi ci ha detto: se pensate che Saddam accetti la resa vuol dire che non lo conoscete abbastanza. In secondo luogo abbiamo esercitato pressioni sugli Usa: consigliando la strada multilaterale per il governo dell'Iraq dopo la guerra, e una forte iniziativa sul processo di pace in Medio Oriente, che si è esplicitata nell'annuncio di Bush di una rapida presentazione della «road map». Io stesso ho chiesto un incontro ad Abu Mazen, premier dell'Autorità palestinese, che si terrà non appena gli sarà possibile».
Frattini ritiene che l'Italia abbia le carte in regola anche per quanto riguarda la sua collocazione nell'Unione europea. «Abbiamo insistito noi perché nel documento del vertice di Bruxelles ci fosse un riferimento esplicito alla solidarietà euroatlantica, e le posso assicurare che non era affatto scontato, viste le posizioni iniziali di alcuni paesi. Noi ci sentiamo vincolati dal legame di solidarietà atlantica, neanche questa crisi può consentirci di metterci sotto i piedi quel vincolo». All'opposizione Frattini chiede ora «di dare un giudizio politico sulla collocazione internazionale del nostro paese. Ci sono forze nel centrosinistra che sanno bene di che cosa parliamo: hanno avuto responsabilità di governo nel recente passato e hanno impegnato il nostro paese nella guerra del Kosovo pur senza una risoluzione Onu. Il vincolo atlantico che giustificò quell'intervento è lo stesso di oggi. Del resto, non si tratta qui di un'aggressione a un innocente, ma del disarmo di un dittatore che ha sfidato l'Onu e ha usato armi di distruzione di massa contro il suo stesso popolo. Se almeno una parte dell'opposizione riconoscerà questo, sarà possibile una risoluzione che raggiunga un consenso più vasto dei confini della maggioranza».


Fonte: Il Riformista online

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