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Iraq, da seimila anni terra senza pace - domenica 9 marzo 2003 at 18:50

Seimila anni senza pace: così si potrebbe riassumere la storia di quel paese che oggi conosciamo come Iraq - dentro confini in realtà arbitrari, come tutti quelli tracciati in Medio Oriente (e non solo) dalle potenze coloniali europee - e che in passato si identificava con la Mesopotamia, nella quale sono nate e si sono sviluppate civiltà fra le più evolute e significative della storia dell'umanità. Non a caso Saddam Hussein, nella sua sconfinata megalomania, ama presentarsi come l'erede, o addirittura la reincarnazione, di volta in volta dei sovrani di Babilonia Nabucodonosor e Hammurabi o del grande re Sargon di Akkad, vissuti appunto fra il III e il I millennio a. C.
Se guardiamo all'Iraq dei giorni nostri, ci colpisce il fatto che grazie appunto alla megalomania e all'avventurismo di Saddam il suo popolo vive in stato di guerra, effettiva o latente, da ben ventitré anni, cioè dall'invasione dell'Iran nel 1980; ma in realtà il destino delle genti che hanno abitato e abitano la Mesopotamia è stato caratterizzato da sempre, appunto da molti millenni, da un succedersi e un intrecciarsi di conflitti che ne hanno fatto una delle regioni più tormentate della storia. Oggi si dà (giustamente) la colpa soprattutto al petrolio; ma al di là del petrolio, o accanto ad esso, a determinare il destino travagliato dell'odierno Iraq è stata la sua posizione geografica, insieme alle condizioni ambientali della fertilissima area mesopotamica - irrigata dai due grandi fiumi che la abbracciano, il Tigri e l'Eufrate, donde il suo nome di "terra tra i fiumi" - particolarmente favorevoli sia a farvi fiorire splendide civiltà sia a farne l'oggetto di molti appetiti dall'esterno.

L'Iraq può essere considerato infatti una sorta di marca di frontiera, un punto di snodo fra il mondo mediterraneo-mediorientale e l'Asia profonda, fra la regione del Mar Caspio e il Medio Oriente, e dunque in senso lato fra Oriente e Occidente: una sorta di confine ideale sul quale si sono incontrati e soprattutto scontrati i più grandi imperi (o coalizioni soprannazionali) della storia; un succedersi dunque di lotte aspre, di guerra, di invasioni e controinvasioni quasi continue che costituisce il retroterra e in un certo senso la spiegazione delle convulsioni e delle tragedie dei giorni nostri. E che ha contribuito anche a plasmare il carattere di questo Paese e della sua gente: un carattere fiero ma anche aspro, nobile e dignitoso, ma capace di una estrema e feroce durezza, che si riscontra anche nelle vicende storico-politiche dell'ultimo secolo.

In una regione come il Medio Oriente dove rivolte, colpi di Stato e faide tribali sono state per lungo tempo (e in parte sono ancora) per così dire congenite, le vicende che hanno avuto come teatro l'Iraq si sono molto spesso contraddistinte per una durezza particolare. Anche la rivoluzione repubblicana del 1958 ha avuto un carattere di violenza che non trova riscontro nelle analoghe vicende di Paesi vicini come la Siria o l'Egitto; basti l'immagine di re Feisal e dei suoi dignitari sommariamente uccisi nel palazzo reale, dell'odiato primo ministro Nuri Said (l'uomo di Londra) seguito, ucciso e poi addirittura tirato fuori dalla tomba e fatto a pezzi a furore di popolo nelle vie di Baghdad, e dello stesso capo della rivoluzione Abdel Karim Qassem falciato a raffiche di mitra nel suo ufficio meno di cinque anni dopo.

Tutto è cominciato, dicevamo, più o meno seimila anni fa. Nel IV millennio a. C. fiorisce qui la grandiosa civiltà dei Sumeri, tramontata mille anni dopo per l'ascesa della dinastia semitica di Akkad; sulle ceneri degli Akkadici sorge il primo regno di Babilonia, che raggiunge il suo culmine con re Hamurabi (autore di quel codice che costituisce il primo complesso di testi giuridici di cui si abbia notizia) e cade poi sotto i colpi degli Hittiti; e poi l'Impero degli Assiri, con re come Salmanassar e Assurbanipal, abbattuto a sua volta dai Medi e dalla nuova dinastia babilonese di Nabucodonosor. Siamo ormai alla metà del I millennio e la storia si avvicina a noi: la Mesopotamia è invasa prima dai Persiani Achemenidi con Ciro, poi dai Macedoni con Alessandro Magno che nella pianura di Arbela (l'odierna Erbil) sconfigge i persiani in una delle più gradi battaglie dell'antichità; poi dai Seleucidi e dai Parti e infine dai Romani, che arrivano fin qui prima con Traiano e quindi con Marco Aurelio e Settimio Severo; fino a quel 636 d. C. che vede affrontarsi a Qadisiya arabi e persiani in un'altra epica battaglia, conclusa con la disfatta dei secondi e con la islamizzazione della intera regione e dello stesso Iran (e ancora non a caso Saddam esalterà la sua guerra contro Khomeini come la "nuova Qadisiya"). Cento anni dopo con la dinastia Abbaside Baghad diventa la capita dell'Impero Arabo; ma poi verranno i Mongoli di Gengis Khan e i Timuridi di tamerlano, che la distruggeranno due volte, e ancora i Safavidi di Persia fino alla conquista ottomana di Solimano il Magnifico, portatore di un dominio che durerà dal 1534 al 1917 per essere infine sostituito dal Mandato britannico. Ma questa è ormai la storia che stiamo ancora vivendo. Una storia che rischia ancora una volta di essere scritta con il ferro e con il sangue, ma della quale è soprattutto difficile prevedere gli sbocchi. Il passato che abbiamo sopra delineato conferma infatti ciò che abbiamo scritto altre volte, che l'Iraq cioè non è l'Afghanistan e che una soluzione americana "alla Karzai" non sarebbe qui né facile né tantomeno duratura. Gli scenari che il crocevia mesopotamico può offrire probabilmente non sono ancora esauriti. Il capo del "nuovo impero" che si accinge a regolare i suoi conti con Saddam Hussein farebbe bene a pensarci sopra e a ricordare l'ascesa e il tramonto dei tanti imperi che nei secoli passati si sono già affacciati su questo confine.
Giancarlo Lannutti

Fonte: Liberazione online

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