Stamattina faccio un altro un tweet
Calma! Non facciamoci illusioni. La tanto propagandata rivoluzione renziana nella scuola può attendere. È rimandata all'anno prossimo. I centomila insegnanti non verranno assorbiti subito, ma solo a partire dall'1 settembre 2015. Tra un anno. Forse. Ma in un anno, in un Paese allo sbando come il nostro, può accadere di tutto. Anche, e più verosimilmente, proprio niente. Intanto a tutt'oggi, 27 agosto 2014, i docenti precari non sanno ancora quale sarà il loro destino. Perché, forse il popolo italiano sa, ha forse qualche idea, pur solo vaga, di quello che lo attende, anche da qui a dieci anni? Riesce esso ancora a dare un significato alla parola futuro? Se c'è - come sostiene Mariapia Veladiano su Repubblica di oggi, 27 agosto - dov'è? Ma, onestamente, può ancora essere trattato e differito in maniera così disinvolta l'annoso problema della scuola? Esso dovrebbe essere invece affrontato e seriamente adesso. Subito! Riforme? Ma quali riforme? Quelli che i ministri dell'Istruzione ci hanno riservato in questi ultimi anni, sono solo spots, annunci pubblicitari. Sì, proprio come quelli a cui in quest'ultimo e sconsiderato trentennio ci ha abituato la televisione commerciale e la politica mercantile. Perlopiù, infatti, con incomprensibile pazienza continuiamo ad assistere, abituandoci e distraendoci (anche interattivamente), a programmi che dovranno andare in onda, e che però intanto interrompono l'unico programma che interessa e che conta. Ma se questo dei continui rimandi ad altri programmi e ad altri annunci pubblicitari, questo continuare a sperare in un qualcosa che verrà, se verrà mai, questo affidarsi a un Godot che si allontana proprio quando si crede di averlo raggiunto, se questo è dunque il modello televisivo illusorio e mercantile che da anni già vediamo all'opera nella politica della scuola, allora niente di strano se nel prossimo futuro il ministro consegnerà l'intero comparto dell'istruzione nelle mani dei privati. La fiducia, scrive ancora mestamente la giornalista, deve essere ricostruita. Fiducia? Ma quale fiducia può mai essere riposta in un ministro dello Stato che dice che «bisogna uscire dallo stereotipo che il mercato è nemico della scuola», che «sarà valutata l'attività positiva, anche con aumenti di stipendio, e penalizzato chi non fa il suo dovere», che «non possiamo più attenerci solo a un criterio di anzianità» e insulsaggini di questo genere? E, preso atto di queste così lusinghiere parole, si riesce a immaginare il sentimento che, fra qualche giorno, un insegnante proverà entrando in classe?
Ivrea, 27 agosto 2014
Franco Di Giorgi
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