Sara Barbieri * FAME DI LIBRI
Dostoevskji sosteneva che il grado di civilizzazione in una società può essere giudicato entrando nelle sue prigioni. E se cominciassimo invece a giudicarle esaminando cosa non può entrarvi? Il Regno Unito, nazione corretta e civile, quasi impeccabile, è stato protagonista di una terribile notizia. Il 26 marzo 2014 il Segretario per la Giustizia Chris Grayling ha negato a familiari e amici di spedire libri ai loro congiunti o conoscenti dietro le sbarre, adducendo ragioni di sicurezza. C'è qualcosa di strano e assurdo in questa decisione, che pare piuttosto un'ulteriore pena per il detenuto, come viene definita da Adriano Sofri su Repubblica; un provvedimento decisamente crudele e controproducente, che annulla uno dei passaggi fondamentali verso il recupero della persona, scopo ultimo della pena detentiva: l'arricchimento culturale e la lettura. Davvero vogliamo "curare" la nostra società a suon di privazioni e violenze? Davvero vogliamo crescere i protagonisti del futuro con questi ideali? Davvero vogliamo tornare a negare il potere della cultura sulle orme degli Stati totalitari? No. Io scelgo di stare dalla parte di chi, ogni giorno, con dedizione lavora con e per quelle persone che hanno sbagliato e, consapevolmente, si adoperano per rimediare e per tornare ad essere parte integrante della società come padri, mariti, figli e uomini. Ma a questo punto mi chiedo: è proprio la lettura che contribuisce alla risocializzazione? O forse essa è solo un passatempo, un divertissement pascaliano che riempie la vacuità dell'esistenza, uno stimolo per costruire mille altri mondi e universi al fine di evadere mentalmente, oltrepassare quelle sbarre che offrono una visione ristretta della realtà e impediscono di vivere davvero? Leggere cambia realmente la vita ai detenuti? La risposta è sì. È un'attività che impegna la mente e il tempo e produce nei detenuti la trasformazione verso il cambiamento; d'altra parte l'ozio è terribile, rovina la detenzione stessa, perché si pensa costantemente alla carcerazione in modo negativo. Invece, se si è impegnati in qualche laboratorio culturale o, più semplicemente, nella lettura di un libro, può essere costruttivo nella misura in cui susciti pensieri positivi e trasmetta la voglia e la possibilità di imparare nuove nozioni e di cercare il miglioramento in se stessi. Ecco allora che la lettura può avere un ruolo chiave nella riabilitazione dei detenuti in carcere. Un libro - afferma Philip Pullman - serve a rendere una persona migliore e a far sì che i detenuti escano dal carcere come persone migliori di quando ci sono entrati. Ma privandoli dei libri neghiamo loro l'accesso al mezzo che può aiutarli a migliorare. Nel frattempo a Rebibbia tre detenuti cinquantenni iscritti alla Facoltà di Lettere si sono laureati il 9 luglio grazie al progetto "Università in Carcere con Teledidattica". Ancora una volta la cultura non ha avuto timore di sfoggiare il suo grande potere e ha dimostrato come in carcere lo studio diventi strumento di riscatto sociale e un'occasione per dimostrare a se stessi e agli altri che nella vita si possono ottenere grandi successi. Evidentemente occorre continuare a promuovere il valore della cultura come strumento per il recupero sociale delle persone detenute, per portare il carcere, inteso come mero luogo di detenzione e sofferenza, ad un'occasione di riscatto sociale e morale e far valere a gran voce l'articolo 27 della Costituzione Italiana, che sancisce la finalità educativa della pena.
Ivrea, 20 luglio 2014
* Sara Barbieri due anni fa ha fatto uno stage nel carcere di Ivrea e quest'anno ha svolto la tesina di maturità al Liceo "A. Gramsci" di Ivrea proprio su questo argomento.
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