L'Inno di Mameli - inno nazionale di fatto, ma non di diritto, dal 1946 - dovrà essere insegnato in tutte le scuole fin dall'anno in corso. Anche se neppure la nuova legge che ne stabilisce l'obbligo ha il coraggio di chiamarlo "inno nazionale". D'altra parte, molto coraggio si richiede agli insegnanti per sostenere la validità di questa composizione retorica d'altri tempi come rappresentativa della nazione italiana di oggi, un testo che non è in sintonia con valori fondanti della Costituzione come la pace, da costruire anche attraverso l'adesione a organismi sovranazionali, e il ripudio della guerra. L'incipit "Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta" non pone problemi. Ma quando si passa a "dell'elmo di Scipio s'è cinta la testa", per gli insegnanti sono guai: sì, perché quella frase sembra indicare che l'Italia si sia risvegliata a una politica di guerra imperialistica, indossando metaforicamente l'elmo di Scipione l'Africano, magari come fece nelle guerre del Novecento per conquistare la Libia e l'Etiopia, o nei bombardamenti del 2011 contro il regime di Gheddafi. Ancora più ardua appare la spiegazione del brano successivo, in cui si pretende che una "Vittoria" personificata "porga la chioma" all'Italia per farsela tagliare - anche qui tagli! - in segno di sottomissione perché "Iddio" l'avrebbe creata "schiava di Roma". Immagino le domande: "Prof, ma attribuire questo a Dio non è una bestemmia? O stiamo a parlare di Marte, dio della guerra?". "Prof, ma dov'era la Vittoria, quando Roma perse la guerra mondiale di Mussolini? A farsi tagliare la chioma dal parrucchiere?". Riguardo al finale "Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, l'Italia chiamò", non si può negare che contenga una chiamata alla guerra. Obiezione: "Ma è questo il messaggio da dare oggi ai giovani?".
Nicola Bruni
----------------------------------------------------- Articolo pubblicato nel giornale online Belsito con vista di Nicola Bruni www.webalice.it/nbruni1 e nella rivista La Tecnica della Scuola - 20 novembre 2012
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