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 Dai Learning Object al software open source

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C O N T R O L L A    D I S C U S S I O N E
mimc Inviato - 20/02/2005 : 11:29:05
Dai Learning Object al software open source. L’avvenire di un’illusione?
L’importanza del software libero non risiede tanto nei risultati tecnologici quanto nel modello sociale e culturale sperimentato
di Francesca Guglielmi

Attorno agli anni Trenta Sigmund Freud si interrogava sull’esito del processo di civilizzazione (Zivilisation), termine al quale preferiva quello di incivilimento (Kulturentwicklung), giungendo alla conclusione che l’uomo contemporaneo è sottoposto a un crescente senso d’angoscia dovuto alla progressiva sublimazione dei contenuti inconsci operata dalla società moderna.
Metaforicamente, il pessimismo freudiano nei confronti della modernità può essere assimilato all’odierna messa in discussione dei Learning Object in favore del software open source, la cui rivalutazione sta producendo, nel settore dell’e-learning, effetti analoghi a quelli suscitati dalla pubblicazione de L’Avvenire di un’illusione (1927) nella teoria psicoanalitica.
La collisione e l’apparente incompatibilità tra costruttivismo e learning object, come la distanza tra approccio top-down e peer-to-peer, è stata ben chiarita da David Wiley (1), docente e ricercatore all’Università di Utah. Lo studioso inglese proponeva di riadattare la definizione di learning objects e di favorire un’attenta integrazione tra i due modelli, behaviorista e costruttivista:

Pur concordando sui vantaggi offerti dai learning object (accessibilità, interoperabilità, modularità e riusabilità), è evidente come questi ultimi si fondino sull’assunto skinneriano che la conoscenza sia facilmente trasferibile dal computer allo studente, come se l’apprendimento consistesse nell’acquisizione di piccole quantità discrete di informazione che andrebbero successivamente a costruire una rete di informazioni significative. In un esauriente articolo (2), datato sempre 2000, Wiley mostrava l’inefficacia della fortunata metafora del Lego (3) e polemizzava con la definizione di L.O. proposta dall’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), «too broad to be functionally used». A suo avviso, infatti, l’idea che un learning object corrisponda a «qualsiasi oggetto, digitale e non, che entra a far parte del processo formativo attraverso qualsiasi tecnologia e che può essere usato e riutilizzato in tempi e luoghi diversi» annovera diversi difetti: l’eccessiva ampiezza (potrebbe corrispondere alla totalità delle informazioni presenti su Internet, stimata attorno ai 15 terabyte), l’indistinzione tra risorse digitali e analogiche e l’incapacità di fornire un criterio utile per distinguere tra risorse riusabili e non riusabili. L’approccio instructional, inoltre, focalizzando sulla combinabilità e granularità dei L.O., aspetti entrambi problematici, non considera né la forte richiesta di personalizzazione, né consente una differenziazione delle risorse in termini di finalità, sequenza e struttura.


Wiley, al contrario, intende un L.O. come «risorsa digitale che può essere riutilizzata per supportare l’apprendimento» (4), escludendo la possibilità di entità non digitali e non riutilizzabili, con l’ulteriore vantaggio di legare la risorsa didattica alla specificità dell’ambiente di apprendimento. Le cinque categorie di L.O. individuate in via provvisoria nella tassonomia elaborata da Wiley sono: Fondamental, Combined closed, Combined open, Generative-presentation, Generative-instructional (5) e, a prescindere dalla tecnologia impiegata, si basano su principi generali adattabili alla molteplicità delle teorie esistenti, ovvero sulla tipologia, sulla sequenza, e, soprattutto, sulla finalità dei L.O.
Ancora più radicale l’approccio di Stephen Downes, Information Architect dell’Università di Alberta (6), che al modello distributivo dei L.O., definito sprezzantemente “Silo” (7), sostituisce un modello distribuito basato su repositori di L.O.
Downes differenzia e individua pregi e difetti di almeno tre modalità di erogazione (8): centralizzata, mista (un mix di risorse centralizzate e contenuti provenienti da agenzie separate) e distribuita (sia il contenuto che le risorse sono forniti da agenzie separate). Nel caso di un’erogazione centralizzata i vantaggi derivano dalle economie di scale e dal controllo di qualità sul prodotto, gli svantaggi dall’incapacità di adattarsi alle esigenze locali, dalla lentezza e dalla sovrapproduzione. Nel caso della modalità blended gli aspetti positivi sono la flessibilità della produzione e la possibilità di usare (dove possibile) economie di scala, mentre il principale svantaggio consiste nella sovrapposizione tra server e cliente. Il modello distribuito, infine, presenta il vantaggio di essere più flessibile, leggero, “locale”, di adattarsi rapidamente alle esigenze dell’utente e di consentire una produzione “su misura”. Tra gli svantaggi, invece, presenta costi più alti e decremento della qualità e della coerenza del prodotto.


A differenza del modello “Silo” che genera “disintermediazione”, un mercato chiuso e standard proprietari e rigidi, Downes guarda alle potenzialità di un’architettura P2P (peer-to-peer) offerte da repositori di L.O. distribuiti. In questo caso, si crea un circolo virtuoso in cui protocolli, diritti e accesso aperto da un lato, impiego di software open source e standard flessibili dall’altro, consentono di evitare le rigidità a cui vanno incontro le piattaforme e i software commerciali. L’idea di DLORN (Distribuited Learning Object Repository Network) è basata appunto su: «Open standard, Royalty-free standard, Open-Source Infrastructure Layer, Open o Proprietary Service Layer, Component Based Architecture, Distributed Architecture, Open Access, Open Market, Standards Tolerance, Multiple Channels, Multi-Party Metadata, Integration with the Semantic Web, Multiple Data Types, Simple Digital Rights Management (DRM)».
Senza concordare completamente con quella che possiede tutte le caratteristiche di un’utopia tecnologica, condivido almeno una delle obiezioni di Downes. I L.O. sono stati finora terreno di caccia esclusivo dell’instructional design theory, mentre le teorie di matrice costruttivistica sono state tenute al di fuori del loro sviluppo, tanto da giustificare la domanda avanzata da Ellen Wagner su un dossier dell’e-Learning Developers’Journal (9): siamo certi di considerare l’elemento learning quando parliamo di learning object? Secondo Wagner la consapevolezza che standard e discussioni tecniche sui L.O. costituiscono solo una parte del processo formativo, sollecita una riflessione teorica volta ad accelerare il «passaggio dalla prospettiva comportamentista a quella cognitivista, da quella oggettiva a quella costruttivistica» (10).
In un recente contributo anche David Wiley è tornato sul paradosso tra riusabilità e standardizzazione dei L.O. da un lato e contestualizzazione dall’altro (11). L’ambiguità dei L.O. è implicita nella stessa definizione Scorm (12) che veicola tre assunti: la superiorità di un rapporto 1/1 tra studente e discente, l’impossibilità economica di uno sviluppo su larga scala delle interazioni e il “ripiego” sull’automazione come unica soluzione alla domanda di e-learning.
Alla stessa domanda, tuttavia, il mondo Ict ha da tempo offerto una risposta diametralmente opposta: il software open source. A questo proposito, per esempio, la Commissione Europea ha promosso uno studio sul tema della migrazione verso i sistemi open source pubblicato a ottobre 2003 dall’Ida (Interchange of Data Between Administrations) che si proponeva di aiutare gli amministratori delle P.A. nel valutare i vantaggi della migrazione descrivendone tutti i passaggi pratici e tecnici. Alle indicazioni della Commissione Europea si affiancano anche le considerazioni della Commissione nazionale sull’utilizzo del software open source proposta a gennaio 2003 dal Ministro per l’innovazione e le tecnologie Luigi Stanca e presieduta dal Prof. Angelo Raffaele Meo del Politecnico di Torino.


Ma l’open source si adatta perfettamente anche al mondo dell’istruzione. Le prime esperienze didattiche, datate 1998, si riferiscono all’utilizzo del sistema Linux nelle scuole primarie europee e nordamericane. In Italia, nello stesso periodo, qualche sporadico tentativo venne attuato sul lato server dagli istituti superiori. Oggi il numero dei pacchetti software è notevolmente aumentato (si trova software libero per la maggior parte dei sistemi operativi: Linux, Windows, Mac, MacOsX) e sono in via di soluzione i problemi che affliggevano i primi utilizzatori: la mancanza di traduzioni in italiano e di un’adeguata conoscenza delle licenze copyleft (13) nel settore scolastico e la compatibilità con il software proprietario.
Tra le principali motivazioni, oltre alle valutazioni economiche, che spingono la scuola verso il software open source, la possibilità di modificare il codice sorgente, con ricadute positive sulla libertà di utilizzo a scuola e a casa e sulle capacità metacognitive. Lavorare sul codice offre al docente un’occasione ineguagliabile di stimolare nei propri discenti l’apprendimento significativo e il deuteroapprendimento, che derivano direttamente dai due principi a cui si è ispirata negli anni Ottanta la Free Software Foundation di Richard Stallman: libero accesso e libera circolazione del sapere.
Per il mondo dell’istruzione, l’importanza del software libero non risiede tanto nei risultati tecnologici quanto nel modello sociale e culturale sperimentato, che, in anticipo di un ventennio rispetto alle odierne riflessioni sull’e-learning, coglieva la superiorità del processo e del sapere vecolato dai partecipanti rispetto al prodotto e al risultato finale.
Ulteriore punto di forza del modello di Stallman sta nel fatto che ciò che si impara lo si insegna poi agli altri, rendendo la relazione di apprendimento/insegnamento tendenzialmente orizzontale. Secondo Pekka Himanen, autore del saggio L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione (2001), dedicato al movimento del software libero e alla sua creatività sociale, tale modello rimanda direttamente all’Accademia platonica, un “accademia della Rete” in continua evoluzione e orientata alla cooperazione intellettuale più che alla competizione.
Per quanto la visione di Stallman e di Himanen si prestino a una certa deriva utopistica, il software libero rappresenta attualmente uno sprone efficace sia per la ridefinizione del ruolo e della funzione didattica sia per la promozione di alcuni tra i principi costruttivisti più fecondi: lo sviluppo di una molteplicità di zone di “sviluppo prossimale” e delle abilità di metacognizione, la legittimazione delle differenze, un miglior controllo e gestione dell’attività didattica, un apprendimento contestualizzato e situato.
In termini pratici, il software open source consente, invece, di:

sperimentare e conoscere il software dall’interno
sviluppare nuovi ambienti di apprendimento
riutilizzare sistemi e apparecchiature obsolete
abbassare i costi delle dotazioni hardware e software reinvestendo tali costi in conoscenze
educare alla legalità
e, non ultimo, è praticamente esente da virus.
Tralasciando le criticità, per le quali si rimanda al rapporto 2003 della Commissione Nazionale (14), non sono benefici di poco conto in una scuola che punta a innovare contenuti e metodologie didattiche promuovendo la formazione dei docenti, oltre a quella degli studenti, a sostenere un modello di competizione alternativo a quello commericale e a superare la distanza tra l’insegnamento dell’informatica e delle altre discipline.




(1) David Wiley, “When Worlds Collide, The intersection of constructivism, learning objects, and peer-to-peer networking technologies v1.3”, November 6, 2000, http://wiley.ed.usu.edu/
(2) David Wiley, “Connecting learning object to instructiona design theory: a definition, a metaphor, a taxonomy”, in Wiley, Instructional Use of Learning Objects. Association of Educational Communications and Technology, 2000.
(3) Alla metafora del Lego, utilizzata da più di un autore per rappresentare il funzionamento dei L.O., Wiley preferisce quella di atomo che differisce dalla prima per i seguenti punti: «Not every atom is combinable with every other atom; Atoms can only be assembled in certain structures prescribed by their own internal structure; Some training is required in order to assemble atoms», ivi, p.11.
(4) Ivi, p.7.
(5) Ivi, pp.13-14.
(6) Stephen Downes, “Design and Reusability of Learning Objects in an Academic Context: A New Economy of Education?”, eLearning: una sfida per l’università, Milano, 12 Novembre 2002.
(7) «The silo model is dysfunctional because it prevents, in some essential way, the location and sharing of learning resources. In an important sense, such resources or architectures are broken because they require some additional step, usually involving manual labour, in order for developers or learners to make use of the material. The requirement of such a step adds significantly to the cost of a learning resource and in some case may prohibit its use altogether. In fairness, this cost or prohibition may be imposed by design. But from the point of view of a learning object economy, the resource or architecture is unusable», Stephen Downes, ibidem, p.6.
(8) Stephen Downes, “E-learning decisions: modes, models and strategies”, 25 febbraio 2003, Ottawa, in occasione di un convegno dedicato all’e-government dal titolo “Government on line”.
(9) Ellen Wagner, “The new frontier of Learning Object Design”, e-Learning Developers’Journal, n.18, giugno 2002 una pubblicazione di The E-Learning Guild (www.eLearningGuild.com).
(10) «The seemingly algorithmic nature of the process of design (“First you state your goal, then you define your objectives...”) almost suggests a stimulus/response relationship (“...and your student will perform certain tasks with 80% accuracy, 90% of the time”). Even in cases where designs are developed for cognitive tasks such as knowing, remembering, thinking creatively, and solving problems, designs tend to reflect an objectivist rather than a constructivist orientation», Ibidem, p. 5.
(11) David Wiley, Learning Objects: Difficulties and Opportunities, 2003, reperibile presso: http://wiley.ed.usu.edu/docs/lo_do.pdf
(12) «The dilemma presented by individual tailored instruction is that it combines an instructional imperative with an economic impossibility. With few exceptions, one instructor for every student, despite its advantage, is not affrodable», ivi, p.1.
(13) Il software libero, al contrario del freeware, assicura all’utente le quattro libertà fondamentali formalizzate dalla Free Software Foundation di Richard Stallman: 1) Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0). 2) Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle proprie necessità (libertà 1). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito. 3) Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2). 4) Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3). L’accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
(14) Vedi il sito internet
http://www.innovazione.gov.it/ita/egovernment/infrastrutture/open_source_indagine.shtml


Fonte: http://learningcommunity.info.it

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